CAPITOLO QUARTO

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La sera arrivò presto ed Emma era sempre più agitata.
Dopo la scuola era andata al centro commerciale ed aveva comprato della lingerie nuova,tanto per sentirsi un po' più audace.

Decise di non truccarsi,non voleva indossare una maschera.
Quante volte trovava ridicolo e frustrante camminare in mezzo a migliaia di suoi coetanei tutti uguali.
Con lo stesso taglio di capelli,le stesse scarpe e gli stessi vestiti.

Loro erano delle maschere,per evitare di essere giudicati imitavano gli altri.
Emma pensava che fossero delle macchine,delle stupide macchine difettate perché vedevano diversi quello che non erano come loro.

Arricciò leggermente le punte dei capelli formando delle onde perfette,lavò i denti e poi mise un paio di jeans neri e una maglia non troppo larga grigia.

Prese la borsa,dei soldi per l'autobus e controllò se ci fossero notifiche sul cellulare.
Ovviamente non ce n'erano.

Scese al piano inferiore e non salutò neanche i genitori,perché erano troppo impegnati a non parlarsi per dar retta alla figlia.

Emma si trascinò fino alla stazione del pullman e nell'attesa iniziò a tremare per il freddo.

In poco tempo il pullman arrivò,Emma salì e si diresse verso i posti in fondo ma vedendo alcuni compagni di scuola, decise di sedersi verso la metà dell'abitacolo.

Mise le cuffiette alle orecchie e si fece trasportare dalla musica soave che trasmetteva il cellulare ma improvvisamente le vennero sottratte le cuffie.

"Allora ogni tanto esci eh"la derise Matt.
"Lasciami stare"sussurrò Emma abbassando il capo.
"Cosa?Alza la voce non ti sento"
"Ridammi le cuffie Matt"ordinò cercando di intimorirlo ma provocò una risata nel ragazzo e ai suoi amici.

"Adesso ti metti a dare ordini sfigata?"chiese retoricamente avvicinando il suo volto a quello di lei "Ricordati che ora non c'è più il fratellino a proteggerti,puttana".

Voleva piangere e urlare.
Piangere per come la beffeggiava e perché la chiamava con quegli appellativi orrendi e poi voleva urlare in faccia a quello stronzo che si sapeva difendere da sola,ma sapeva di star mentendo.

Non disse niente e riprese le cuffie ignorando gli schiamazzi dei ragazzi e delle ragazze.
Li odiava.

Qualche fermata dopo,Emma arrivò alla meta.
Fece qualche metro a piedi e quando si ritrovò davanti alla villa di Christopher,il panico l'assalì.

Mille domande iniziarono a ronzarle in testa.
Era la cosa giusta da fare?Avrebbe fatto male?Come l'avrebbe trattata?Ma soprattutto a lui sarebbe piaciuto?

Non riuscì a darsi una risposta perché il cancello  venne aperto proprio come la porta da dove spuntò la figura di Christopher.

Emma gli andò incontro e lui le diede un bacio vicino alla bocca che la fece restare di stucco.

"Entra Emma"disse dolcemente l'uomo.
"Ehi,non essere agitata"continuò mettendole una mani sulla bassa schiena.

"Non sono agitata"mormorò la ragazza guardandosi i piedi e poi sollevando lo sguardo sul bellissimo ragazzo che le stava di fronte.

Lui sorrise e per la prima volta lei vide una fossetta sulla guancia liscia di lui.

"Hai solo una fossetta"disse e senza pensarci,affondò l'indice nella fossetta.
Lui la guardò stranito ma gli piacque quel contatto improvviso e naturale.

"Scusa io..."iniziò Emma ma lui la interruppe poggiando le sue labbra su quelle delicate di lei.

Fu un bacio dolce ma passionale.Intenso.

Si staccarono pian piano e si guardarono negli occhi,poi Chris disse:"Vogliamo iniziare o hai bisogno di tempo?"

Scosse la testa.Non voleva più aspettare,voleva togliersi il pensiero.
"Andiamo"disse subito facendo un respiro profondo.

Lui le prese la mano e iniziarono ad avviarsi verso la stanza a letto.

Quando Christopher aprì la porta in legno,Emma rimase a bocca aperta.

Una stanza enorme con le pareti grigio chiaro si presentò davanti ai loro occhi.
Christopher rise leggermente per l'espressione buffa della ragazza al suo fianco e la spinse leggermente all'interno di essa,chiudendosi la porta alle spalle.

Al centro della stanza vi era un grande letto a baldacchino con lenzuola bianche e candide,ad ogni lato d'esso un comodino in legno scuro come la porta e nella parete opposta una scrivania,sempre in legno,con sopra solo alcuni fogli e una penna.

Una porta era situata a destra ed una a sinistra.

Emma le guardava incuriosita e come leggendole nel pensiero,Chris disse:"Se hai bisogno del bagno è la porta a sinistra,quella di destra porta alla cabina armadio".

"Okay grazie.Posso andare in bagno un momento?"disse con voce soave la ragazza.
"Certo va pure"rispose l'uomo mettendo una mano sul viso bianco della ragazza "non devi avere paura di me Emma.Non ti farò del male"

"Non ho paura"mentì la bionda allontanandosi e aprendo la porta del bagno.

Girò la chiave nella porta e si guardò allo specchio.
Era agitata perché non sapeva cosa fare ma era felice perché una piccola parte di se sapeva di interessare a Christopher,aveva sentito tendersi i pantaloni eleganti mentre si baciavano e mentre i loro corpi erano attaccati.

Fece un profondo respiro,si diede ancora qualche pizzicotto sulle guance che divennero subito più rosse.

Si prese ancora un po' di tempo per se mentre nella stanza da letto, Christopher era seduto sul letto con la testa fra le mani e gli occhi chiusi.
Non ce l'avrebbe fatta, non sarebbe riuscito a toccarla, non poteva.

Non voleva macchiare di nero un'anima già nera come quella di Emma.
Voleva lasciare quella piccola macchiolina bianca che viveva nel profondo di lei.

Voleva lasciarla in qualche modo pura.
Si alzò di scatto e andò nella cabina armadio.
Controllò che la ragazza non fosse nei paraggi,prese la scatola grigia da sopra lo scaffale delle scarpe e ne tirò fuori una foto.

Rappresentava uno dei pochi momenti felici della sua infanzia, quando i suoi genitori non litigavano e gli parlavano.
Quando tutti lo consideravano Christopher Smith, il giovanotto sempre impeccabile.

Con voti perfetti,vestiti perfetti,famiglia perfetta e vita perfetta.
Poi ne prese un'altra dove c'era lui con il suo migliore amico poco prima di partire in missione.

Aveva deciso di arruolarsi quando ormai era una delusione.
I genitori non gli parlavano più perché aveva deciso di farsi uno stupido tatuaggio,poi un altro e un altro ancora, fino a riempirsi il petto ed il braccio destro.
Aveva deciso di scappare da quella vita di merda, voleva lottare per il suo Paese, essere qualcuno.

Ma non era qualcuno, era solo uno dei tanti soldati che partivano  con l'esercito ma l'aveva capito troppo tardi, quando la morte e la guerra avevano affondato gli artigli nei suoi organi,lacerandoli.

In quegli anni passati a fare la guerra aveva capito tutto quello che aveva perso.L'amore dei suoi cari.
Quante volte avrebbe voluto cancellate tutto,riavvolgere il nastro e ritornare quello di prima, senza dovere vedere la morte tutti i giorni, senza dover vedere uomini come lui e anche più giovani ,padri di famiglia,mariti,figli essere uccisi con una tale crudeltà.

Delle volte si immaginava al posto di quelle vittime ma poi si ricordava che se lui fosse morto non sarebbe importato a nessuno, neanche ai suoi genitori,forze sarebbe importato solo al suo amico e a sua sorella Brooke che non vedeva da mesi.

Sentì il dolore per quelle perdite farsi strada sotto la carne per cercare di arrivare al cuore ma lui strinse i denti,mise via quei maledetti ricordi di un'infanzia felice e ritornò in camera da letto,dove rimase a bocca aperta alla vista di Emma davanti al letto con della lingerie nera in pizzo e con le gote in fiamme.

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