CAPITOLO 29

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"È già ora di alzarsi?" domandai qualche ora più tardi, cercando a tentoni il mio orologio.
"Sono le quattro, torna a dormire" rispose Joelle, e ciabattó fuori dalla stanza verso il bagno.
Mi girai nel letto. Ancora cinque ore; cinque ore per tornare a sembrare un'allegra animatrice,  per stamparmi sul viso il sorriso adatto a dire a Jack quanto fossi felice che le cose si fossero messe così bene per lui.
Mi girai ancora, e vidi che qualcuno aveva accesso una luce. Joelle di solito andava in bagno semi addormentata e nel buio totale. Ma quella notte la luce del bagno era accesa, e non si spegneva. Saltai fuori dal letto.
"Joelle?".
Bussai alla porta del bagno, e dato che non mi rispondeva, l'aprii. Era in piedi, un asciugamano attorno al corpo, tremando e guardandosi la camicia da notte. Grondava sangue.
"Stai calma, adesso chiamo aiuto".

La grande finestra della sala d'attesa dell'ospedale guardava ad est. Avevo visto sorgere il sole, e poi avevo guardato passare le macchine lungo la strada sottostante. L'odore della colazione che proveniva dal bar mi nauseava, ma alle otto scendemmo giù con i miei genitori, ognuno sperando che l'altro avesse la forza di mangiare. Cosa che non accadde.
Alle otto e mezza mio padre telefonó ad Harry per avvertirlo che non sarei andata al lavoro. Io non ce l'avevo fatta; stavo da cani.
Più tardi venne un'infermiera a parlare con i miei genitori, e mio padre mi disse che Joelle voleva vedermi.
Ancora prima di entrare nella stanza già sapevo che l'aveva perso, che Buddy non c'era più.
"Joelle?".
Aveva il viso appoggiato sui cuscini, e guardava verso la finestra. Non sapevo se andare verso di lei o restare dov'ero, lasciandole la possibilità di non guardarmi in faccia.
Ormai era troppo tardi per dirle che volevo essere una Superzia, e che non sarebbe stata sola a tirare su il suo Buddy. "Mi dispiace".
Non mi rispose.
"Mi dispiace per Buddy...e ti voglio bene, Joe. Per quello che può servire".
Per un momento non si mosse. Poi chiuse gli occhi, e li strinse con forza.
"È buffo, ma qualsiasi cosa può servire".
La abbracciai e la tirai su, o forse fu lei ad abbracciarmi, ad ogni modo ci mettemmo a sedere.
Aprì la bocca, come se volesse ridere, e poi scoppió a piangere sulla mia spalla.

Nel pomeriggio il dottore la rimandó a casa.
Harry telefonó alla fine della giornata. Disse che i bambini di terza avevano preparato qualcosa per lei, e mi chiese se poteva portarla o era meglio aspettare che io tornassi al campo. Rimanevano solo due giorni di lavoro, e io avevo già deciso che sarei andata a lavorare il giorno dopo, ma gli proposi comunque di passare: non sapevo se a Joelle avrebbe fatto piacere, ma io avevo voglia di vederlo.
Arrivò con un grande rotolo di carta, che profumava di pittura fresca. I bambini avevano disegnato il proprio ritratto; alcune delle figure avevano addirittura dei fumetti, nuvolette che uscivano dalla bocca, con messaggi per Joelle e per me.
"Li ha aiutati Jack" disse Harry. "Non sono fantastici? A proposito, Cristal, questo è per te" aggiunse, passandomi un biglietto.

            C'è qualcosa che
            posso fare?
           Telefonami
           Jack

Avevo una voglia matta di chiamarlo. Avevo voglia del suo aiuto e della sua comprensione.
Desideravo la sua amicizia, se mai fosse stato possibile; ma non subito, mi dissi, non prima di essermi liberata della spirale di sentimenti che provavo per lui.
Come avrei potuto mangiare noccioline guardando una partita come fossimo vecchi amici, se non riuscivo a smettere di guardargli le labbra, cercando di immaginare come sarebbe stato baciarlo?
Respirai a fondo, e Harry mi posò una mano sulla spalla. I miei genitori stavano ancora ammirando il disegno.
"Vado a chiedere a Joelle se ha voglia di ricevere visite" gli dissi. "Ma ti prego, non ti offendere se non vorrà vederti".
E invece Harry rimase con Joelle un'ora e mezza. Mi chiesi di che cosa parlassero tanto a lungo. Ma sicuramente, se lei desiderava che restasse, significava che le stava facendo bene.
Quando alla fine Harry se ne andò, io e mia madre, gli occhi rossi dal pianto, preparammo il vassoio per la cena di Joelle.
Il campanello suonò ancora una volta, mentre già stavo salendo le scale per portarglielo.
"Ciao, Katy" sentì dire mio padre. Proprio quello di cui avevo bisogno.
Sta solo cercando di essere utile, mi dissi.
"Sono Katy e Luke" mi disse mio padre. "Sei Luke, vero?".
"Jack" rispose, e mi guardò.
"Ciao" salutai a denti stretti dalla balaustra.
Li raggiunsi accanto alla porta, e rimanemmo lì in silenzio, rilassati come estranei. L'ultima cosa che desideravo era stare con loro; d'altra parte ero sicura che lo stesso valesse anche per Katy e Jack.
Katy aveva un mazzo di fiori in mano, mentre l'altra era appoggiata attorno alla vita di Jack, un dito nella cintura. "Abbiamo comprato dei fiori per Joelle" disse. "Non sapevo quali fossero i suoi preferiti, così Jack mi ha chiesto quali siano i tuoi. Spero che non ti sembrino troppo banali"
"Margherite e campanule" risposi, evitando gli occhi di Jack. "Sono bellissimi, e Joelle sarà felice di riceverli. Grazie".
"Harry ce lo ha detto questo pomeriggio" disse Jack. "Mi dispiace davvero".
Annuii. "Grazie".
"Come sta?" chiese ancora Jack.
"Fisicamente sta bene. Per il resto ci vorrà probabilmente un po' di tempo".
"Possiamo fare qualcosa?" disse Katy.
Possiamo. Noi. Erano davvero una coppia, adesso.
"No. Ma siete stati carini a pensare a lei" la voce mi si ruppe. "Oh, Cristal, mi dispiace" Katy mi abbracciò forte, come ai vecchi tempi.
Sarebbe stato bello che tutto fosse come prima: io e Katy, amiche per la pelle, Joelle allegra e spensierata, il futuro radioso davanti a lei.
Katy si staccò da me. Jack era ancora in silenzio e mi guardava. Cosa stava pensando? Se solo avessi potuto sfiorargli la mano.
Poi Katy gli si fece di nuovo vicina, e lo fissò. "Andiamo, Cristal è troppo scossa. Te lo avevo detto che era meglio telefonare, per avvertire della nostra visita".
E si diresse verso la porta.
Jack non la seguì. Mi guardava così intensamente che pareva leggermi nel pensiero. Ma non è possibile, mi dissi. Ed è un bene che sia così.
"Grazie per essere venuti"
Jack annuì. Katy lo raggiunse, ed uscirono mano nella mano.
Mi sedetti sui gradini, a guardare i fiori che tenevo in grembo. Cercai di ricordare le parole di una delle ninne nanne che Jack aveva cantato quella notte al campo. Pensai a come mi aveva stretto; a come mi aveva preso la mano.
In altri momenti mi sarei sentita peggio aggrappandomi a questi brevi, insignificanti momenti. Ma quella sera avevo raggiunto il massimo dello sconforto, e quei ricordi mi scaldarono un po'.

Una calda estateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora