Capitolo 4

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Il tragitto alla fine non fu poi così lungo. Sbirciai con la coda dell'occhio l'orario:7:50; perfetto.
Approfittai di quel momento per guardarmi attorno.
Per la prima volta guardai Orlando con più curiosità.
Non c'era granché li, era come ogni altra città, semplice e banale, ma notai qualcosa di più in quei 5 minuti, in cui mi parve di vedere, il luogo dove ero nata e cresciuta, per la prima volta.
Durante l'estate a Phoenix, l'avevo trascurata -ma si fa per dire- infatti mi accorsi subito che alcune cose non erano esattamente come ricordavo che fossero.
Notai che la signora Berty aveva appena fatto rinnovare la sua graziosissima merceria, e che il signor Williams dopo tante indecisioni aveva finalmente comprato il cane che tanto desiderava.
Mi risaltò subito all'occhio la nascita di un nuovo edificio vicino al supermercato e del nuovo colore che Alyssa Clark aveva dato ai suoi capelli , e anche che gli alberi dove mi arrampicavo quando ero una bambina erano diventati enormi. Contavano ormai quasi 150 anni.
Ma mi ci vollero soltanto 10 minuti prima di iniziare a intravedere quello squallido edificio giallo dove stavo per passare un altro anno della mia patetica vita.
Indugiai svariate volte, presi un bel respiro e varcai il cancello.
Il mio incubo da li stava per avere inizio.

Iniziai subito ad intravedere ragazzi e ragazze: c'era chi stava in gruppo e rideva ricordando l'estate o menzionando i viaggi che aveva fatto, o semplicemente ridendo e puntualizzando il fatto di aver trascorso l'estate letteralmente sul divano.
C'era chi invece stava solo in un angolo con il cellulare fra le mani.
Creavano indifferenza, e questo lo sapevo bene.
Lo facevano solo per non guardare le persone davanti a loro, i quali ridevano, stavano bene, avevano amici e non avevano problemi perché principalmente la loro vita era perfetta.
E quelle persone in un modo o nell'altro le capivo.
Le capivo perfettamente.
Perché in fondo so, cosa si passa, so cosa si prova e so quali pensieri percorrono le loro menti.
Nonostante tutto però, quel velo di amarezza e di tristezza che ci percorre è facile da nascondere.
Basta un sorriso e le persone pensano subito che tu stia bene.
Ma ciò che loro non sanno è che prpio la verità è nascosta, si sbagliano.
Perché non sanno cosa passiamo, cosa pensiamo, fanno lo stesso identico errore.
Sempre.
E lo fanno con tutti.
O almeno con me , hanno sempre sbagliato.
Non hanno mai provato a guardare le persone negli occhi, ad osservare ciò che si nasconde realmente dietro ai nostri sorrisi finti.

Diedi un'occhiata qua e là finché non intravidi gli occhi smeraldo e i capelli arancio caramellato di Kim, che si tuffo'sopra di me con la speranza che io potessi prenderla.
Barcollai un po'all'indietro.
Ma c'è la feci.
Ci volle circa un minuto prima che riuscissi a staccarmela di dosso e riuscire, nuovamente, a farmi incontrare quegli occhi grandi, verdi e lucenti, come un albero che brilla sotto il sole alle prime luci del mattino.
Giuro, che se non fosse stato per lei, me li sarei sposati.

Kim è sempre stata la mia migliore amica sin dalle elementari.
Lei è il contrario di me su ogni prospettiva, anche la più improbabile o la più impensabile.
Tutti i guai che mi ha fatto passare mio padre li devo indubbiamente a lei.
Siamo passate dal scambiarci le figurine, a svegliarci presto la mattina per andare a fare colazione insieme , con il risultato di arrivare ugualmente in ritardo a scuola.
Abbiamo avuto entrambe quella sosta adolescenziale -Oh mio dio!, sono pazza di quel tipo-.
E ci siamo fermate anche alla sosta che diceva - Le Cover dei nostri cellulari devono essere uguali!-.
Per non parlare di tutte quelle foto che ci scattavamo ad ogni ora della giornata e in qualunque posto ci trovassimo.
Era così con Kim.
Era tutta un'avventura.
Non ti fermavi mai, non c'era sosta.
Eri capace di fare diecimila cose in una giornata, purché con te ci fosse lei. Io la definivo uno spirito libero.
Era una ragazza con i piedi per terra, ma il 50% delle sue giornate le passava tra le nuvole.
Era audace, libera di fare ciò che le andava di fare, insolente quanto basta, e attiva solo quando serve.
Kim era così.
Non riuscivi neanche a immaginare quale fosse il suo stato d'animo in quella giornata.
Lo notavi o dal sorriso smagliante il sabato pomeriggio , o dalla faccia impastata di sonno il lunedì mattina.
Avrei davvero voluto un giorno essere come lei.

"Hailey mi sei mancata tantissimo!" Gridò non appena riuscì ad arrivare all'altezza del mio viso.
"Anche tu Kim, e non sai quanto! " la abbracciai un ultima volta, rendendo ufficialmente quel momento prezioso e indispensabile.
"Mi dispiace averti lasciata sola questa estate, però per farmi perdonare ti ho portato qualcosa"
"Questo significa che il i tuoi 2 mesi e mezzo a Londra sono andati bene?" Le chiesi.
"Si, ma lascia perdere quello, guarda questo invece."
Mi passo' un porta chiavi di acciaio con incisa una grossa scritta a stampatello, "All Over Again"c'era scritto.
"Appena l'ho vista...non lo so, ma ho pensato fosse perfetta per te."
Disse chiudendo la tasca dello zaino dalla quale l'aveva tirata fuori.
-Ricominciare da Capo-
Sarebbe stato fantastico poterlo fare , poter ricominciare la tua vita da 0, sapendo di non commettere quegli stupidissimi errori che te l'hanno condizionata.
Cercando di far incastrare quel puzzle che per tutta la vita non hai fatto altro che distruggere.
In sostanza, avere la possibilità di ricominciarlo da capo, assicurandoti questa volta che i pezzi ci siano tutti e si incastrino alla perfezione.
Il regalo perfetto. Pensai
"Ti piace? "
Mi ricomposi dai miei pensieri non appena la voce di Kim non rimise in funzione il mio cervello, riportandomi alla realtà.
"Penso sia il regalo perfetto, grazie"
La immobilizzai con un abbraccio, all'inizio non se lo aspettò, perché sussulto', poi però ricambio'.
Ritornammo a guardarci negli occhi, ma un ragazzo mi passò accanto correndo, volontariamente voltai la testa da quella parte, e vidi una dozzina di ragazzi che si stavano riunendo a semicerchio.
Sembrava una rissa.
Io e Kim ci guardammo preoccupate, finché non capimmo tutto.
"Jackson!" Gridammo all'unisono.

* * * * * *

"Ma anche il primo giorno?! " lo rimprovero' Kim.
"Su adesso smettila di lagnarti e vedi se riesci a trovarmi un fazzoletto, e poi quel tizio mi ha ricattato" disse toccandosi il labbro inferiore, da cui fuoriusciva una piccola quantità di sangue.
"Certo, è pensi che dovrei credereti?"
"Dovresti"disse lui con un leggero ghigno sulle labbra.
"Tu non cambi mai eh?" Gli ricordai
"Direi proprio di no"disse mostrandomi uno dei suoi sorrisetti sexy.
"Comunque mi sei mancata"
Mi abbracciò lievemente, posando poi il suo sguardo su Kim.
"A differenza di altre persone, invece"
"Ah ah ah, molto divertente, che spiritoso oggi il nostro Jackson"rispose Kim gelandolo con un'occhiata.
"Basta fare i bambini adesso, dai andiamo"
Li presi entrambi sotto braccio e finimmo di fronte la segreteria, intenti a decifrare i microscopici caratteri dell'orario del giorno.
"Prima ora Scienze" lesse Kim dopo tanta fatica.
"Credo che sarà una giornata molto lunga" si lamento' Jackson.
"Non posso darti torto" risposi.
Ci dirigemmo senza tanto entusiasmo verso l'aula di scienze.
Da li il mio cuore inizio la corsa contro il tempo.
Iniziò a battere all'impazzata.
Avevo paura.
Avevo paura e non potevo negarlo.

Spazio autrice.
Scusate per l'attesa di questo capitolo, ma ho avuto molto da fare.
Spero che la storia vi stia piacendo, fatemi sapere.
Grazie :)

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