Capitolo 14

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Il sabato e la domenica passarono sereni, se però, per sereni si intende, io chiusa nella mia camera a chattare con uno sconosciuto.
Era strano, eppure quando parlavo con lui, sembrava che tutti i problemi dun'tratto sparissero.
Che mio padre, e la partenza di Seth, fossero solo dei ricordi lontani.
Ed era una sensazione, con la quale credevo di non poter fare più a meno.
Eppure tutto finiva quando mi ritrovavo sola, in camera mia, il cellulare spento in mano, ed il cuore che batteva forte.

Quel lunedì mi svegliai di soprassalto, in preda ad un incubo. Ero in cima alle scale, e mio fratello stava per uscire di casa, pronto per andare all'università.
Sarebbe stato l'ultimo giorno che l'avrei visto, sarebbe partito, e sarebbe tornato solo per Natale.
Mi regalò un sorriso malinconico ed uscì, portandosi dietro i frammenti di un cuore spezzato, e il cigolio delle ruote di una vecchia valigia.
Quando qualcosa si innalzò di fronte a me.
Un muro.
Un muro fatto di paure e rimpianti, che mi circondava, rinchiudendomi, imprigionandomi, per sempre.
Avevo così tanta paura, che non potei fare a meno di urlare, con la fronte imperlata di sudore, e la perenne nostalgia di un fratello in partenza.
Erano le sei del mattino, ed io non riuscivo più a chiudere occhio.
Non volevo rivivere di nuovo quell'incubo, quindi mi chiusi in bagno, cercando -il più possibile- di non fare rumore.
Il colmo sarebbe stato ritrovarmi mio padre sulla soglia della porta.
Entrai nella doccia, e la pressione di quei pochi minuti parve scomparire.
Lo scorrere dell'acqua, era l'unico rumore che sentivo, ed andava benissimo così.
Non appena ebbi finito, indossai dei pantaloni neri, ed una vecchia felpa grigia, presi le scarpe da ginnastica dal ripostiglio, e mi incammimai al piano di sotto nel più totale silenzio.
Credetti di essere sola per i primi dieci minuti, quando però, le imprecazioni di Seth giunsero anche in salotto.
"Porca...Hailey? Che ci fai sveglia a quest'ora?"
"Beh, forse dovrei fare la stessa domanda a te" ipotizzai.
"Hai ragione, scusa, solo che stavo cercando di farmi un caffè, ma qui la caffettiera non si svita, non so come fare"
"Da qua, faccio io"
Mi avvicinai e presi la caffettiera.
Diedi una leggera pressione e si svitò, iniziai a mettere il caffè, e accessi il gas, sotto lo sguardo, ancora incredulo di Seth.
"Ma come diavolo? Giuro che non si apriva"
"Sai fratellone, conosco un vecchio detto che dice, che a volte perfino la forza deve inchinarsi alla saggezza"
"E con questo cosa vorresti dire?"
"Che giravi dalla parte sbagliata, Seth"
"Oh"
Ridacchiai, e a Seth scappò un'enorme sorriso, uno di quelli che migliorano la giornata, almeno in parte.
Seth si avvicinò e mi abbracciò.
Sussultai dopo quel gesto.
Non me lo aspettavo, sul serio.
Le sue braccia possenti stritolarono il mio corpo, in un abbraccio grande e immenso.
"Mi dispiace, mi dispiace tanto, vorrei tanto rimanere qui, ma sai com'è, non posso, devi promettermi soltanto una cosa però"
"Cosa?" chiesi in un sussurro.
"Promettimi che non ti arrenderai, che farai di tutto per continuare ad andare avanti, non cadere Hailey, e se lo fai, rialzati, rialzati sempre, qualunque siano le circostanze, promettimelo ti prego. Promettimelo."
"Te lo prometto Seth."
Era tardi per tornare indietro, per dirgli che forse non mi sarei rimessa in piedi, che sarei caduta una volta, una volta soltanto, e non mi sarei rialzata, perché era grazie a lui, se ogni giorno trovavo la forza di alzarmi dal letto, e dire tra me e me "forse oggi c'è la posso fare, forse oggi cambierà qualcosa" Ma quella frase, dopo oggi, non sarebbe mai più passata attraverso le mie parole, o i miei pensieri.
Sarebbe rimasta nel mio cassetto, e sarebbe stata distrutta dal tempo, com'era successo a tutti i miei sogni, che avevo cercato -contro la mia volontà- di fermare, per tempo indeterminato.
Ma non esisteva nessun tempo indeterminato, c'era il tempo e basta, il tempo, che aveva permesso alla mia vita di essere stravolta.
Totalmente.

La prima ora quella giornata, avevo educazione fisica.
Avevo appena detto addio a mio fratello, che avrei rivisto soltanto due mesi dopo, e non era di certo una gran cosa iniziare la giornata correndo in cerchio come una stupida.
Avete presente Hitler? Bene, toglietegli i baffi, un pò di capelli, e avrete davanti il mio professore di -come la chiamava lui- discipline motorie e sportive.
Sarà stato per il suo carattere, o per la sua rigidità, ma sta nel fatto che quasi nessuno provava molta simpatia per lui.
Non si prendeva neanche la briga di alzarsi.
Rimaneva seduto un'ora, a sbraitare contro chiunque quella giornata fosse sulla sua lista nera.
E noi, sfortuanatamente, non potevamo mandarlo letteralmente a quel paese.
Iniziava, come ho detto prima, con una leggera corsetta in cortile, tanto per farci sembrare strani agli occhi delle persone che passavano di fronte la scuola.
In confronto, l'addestramento militare sarebbe stato una passeggiata.
Ero al mio terzo giro, quando, secondo la mia sfortuna, inciampai.
Il caso volle anche che sbattessi violentemente il mio povero ginocchio sulla ghiaia.
Ora. Si può anche tollerare di cadere una, due, tre volte, ma sempre, non rientra nella mia lista. Mi rimisi in piedi, e iniziai a zoppicare verso il professor Bennett.
"Scusi professore?"
Aveva gli occhi incollati ad una rivista sportiva, le gambe accavallate, e gli occhiali da sole che gli penzolavano dal mento.
Mi chiesi il perché leggesse così tanto riviste di quel genere, se per lui era già troppo alzarsi per andare in bagno.
"Mi dica signorina?"
Diede un rapido sguardo al registro.
"Walker" lo precedetti.
"Walker" ripeté, quasi fosse disgustato.
"Mi scusi, non è che potrei salire in classe? Sono caduta, e vorrei solo un fazzoletto, e potrei anche prendere del ghiaccio in segreteria nel caso.."
"Ok, ok, ok! Adesso la smetta di blaterare, salga pure in classe, non mi importa, le chiedo solo di farsi accompagnare"
Stavo per ribattere, ma Bennett fu più svelto.
"Ehy tu ragazzo, vieni qui un attimo. Si tu, proprio tu. Si dia una mossa su!"
Sapevo che quel giorno sarebbe stato pessimo, e adesso, ne avevo la conferma assoluta.
James si avvicinò lentamente, richiamato dal professore.
La fronte leggermente umida di sudore, dovuto al sole, che quella mattina era alto nel cielo.
La maglietta bianca, e la tuta blu.
Il ciuffo che ricadeva disordinato sulla fronte.
Allen giusto? Quello nuovo"
"Sì professore, sono io"
"Bene, mi faccia il favore di accompagnare la signorina Walker in classe"
"Ma non ce n'è bisogno" ribattei
"Oh si, invece, perché se dovesse farsi male mentre sale le scale, la responsabilità sarebbe mia, ed io di certo non ci tengo a perdere il lavoro per una stupida ragazzina che non sa neanche stare in piedi"
Avrei voluto ribattere, sul serio, ma non potevo, se non volevo finire in direzione.
Lanciai uno sguardo a James, e zoppicai afflitta verso le scale.

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