Capitolo 26

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"Quindi adesso riporto due?"

Scoppiai quasi a ridere, ma nonostante tutto riuscii a contenere le risate.
Consapevole ormai che James non capisse nulla di matematica.

Erano passati due giorni dal mio vecchio incontro con Rei, ovvero sabato e domenica, nei quali, ovviamente non si era fatto più sentire.
Quel lunedì mattina mi ero svegliata molto più ottimista dei giorni seguenti, nei quali avevo piano piano, riallacciato i rapporti con mio padre.

Avevamo parlato per lo più della mamma. Ma se questo, in fondo, dopo tantissimo tempo, era l'unico punto che ci accomunava, e dove potevamo sfogarci senza finire per litigare, alla fine era sempre un buon inizio.

Eravamo in quarta ora quel lunedì, e saremmo usciti prima del previsto, per l'inaspettata assenza della Taylor.
Che, sperai anche, oltre a quel misero giorno di ferie, decidesse di prendersi anche un anno sabatico.

La lezione di matematica l'avevo sempre trovata noiosa, ma quell'inaspettata collaborazione da parte di James, mi aveva lasciata senza parole.

Non era da lui chiedere aiuto, e lo sapevo bene, perché anche io ero fatta così.
Ma vidi subito la difficoltà che aveva nello svolgere quelle semplicissime espressioni, così, nonostante la sua rude lunaticitá che mi faceva andare fuori di testa, riducendomi ad uno fascio di nervi, decisi di aiutarlo.

"Allora, senti. Te l'avrò spiegato si e no quattrocento volte.
Non devi riportare assolutamente niente, ah...e deve venire ottantaquattro, non ventitré."
Scossi la testa indicandogli la cifra che evidentemente era sbagliata.

Lui, di tutta risposta, si prese la testa fra le mani, appoggiando i gomiti sul banco.
"Non ho speranze" borbottò.

Accennai un sorriso.
"Non è vero! Puoi farcela, ne sono sicura. E poi, tutti non siamo portati per qualcosa."

Alzò la testa, facendomi incontrare l'azzurro cielo dei suoi occhi.
"Tu, ad esempio? In cosa non sei brava, sentiamo."

Mi morsi il labbro.
"Il francese?"

"No. Le bugie" replicò.

Mi guardai in torno. In classe non c'erano molte persone.
Kim, non era venuta. E Jackson, aveva preferito andarsene in seconda ora.
Visita dentistica, aveva detto.

La professoressa era seduta dietro la cattedra, e stava sicuramente controllando alcune autorizzazioni per la gita che quell'anno avrebbero fatto solo le prime e le seconde.
Tornai a James, che...
Mi stava fissando.

"Che c'è?" Chiesi.

Non toglieva gli occhi da i miei.
Provai ad abbassare lo sguardo, ma lui continuava a cercarlo.
Non sapevo cosa aspettarmi.
Avevo come l'idea che da un momento all'altro si sarebbe alzato, e avesse detto che non eravamo amici, e che le mie ripetizioni di matematica facevano schifo.

Tutto pensai.
Ma nulla di tutto, fu ciò che disse.

"I tuoi occhi" mormorò.
Ma probabilmente disse anche qualcos'altro, visto che ebbi il presentimento di aver capito male.

"Cosa?"

Di nuovo, non ottenni nessuna risposta comprensibile.
Solo borbottii. E questo, non mi aiutò di molto, visto che avrei solo voluto nascondermi da quel blu elettrizzante.

"Posso farti una domanda, James?"
Volevo chiedergli tante cose.
Ma, per me in quel momento fu importante solo una cosa.
Perché era difficile?
Parlare con lui, socializzare...
Era complicato. Lui, era complicato.
Non trovavo mai il modo per dirgli anche solo "ciao" senza pensare che da un momento all'altro avrebbe potuto girarsi e non rivolgermi più la parola.
E, magari sarebbe anche successo.
Nessuno mi garantiva nulla.

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