Capitolo 7

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La voce soffusa di Conrad Sewell mi arrivò alle orecchie, e solo allora mi accorsi del mio cellulare, che stava indifferentemente squillando.
Riuscì ad allungare il braccio per recuperarlo dal comodino.
Il mio sguardo del tutto appannato non aiutò per niente, per fortuna però riuscì a decifrare quelle lettere.
Era Kim.
Trascinai l'icona verde e risposi.
"Si, pronto" dissi con la voce impastata dal sonno.
"Hailey! Ma dov'eri? Ti avrò chiamato almeno 100 volte! "
Spostai il cellulare dell'orecchio e notai subito le chiamate perse.
"Sono 14 per l'esattezza, comunque stavo dormendo"risposi secca.
"Sonno pesante direi"
"Più o meno" risposi sbadigliando.
"Comunque apparte il tuo bellissimo riposino di a quanto pare...uhm...ah sì! 5 ore..."
"Come 5 ore"gridai dall'altro lato del telefono
"Beh, ti faccio notare che sono le 19:30"
"Oh. Mio. Dio. Ho dormito un casino"
"Direi"
Mi alzai dal letto cercando di mettere a posto in giro.
"Posso arrivare al punto della mia chiamata adesso ?"
"Sì dimmi pure, ti ascolto"
Mi catapultai dall'altro lato del letto per piegare il piumone.
"Ecco questa sera il mio amico Derek, conosci Derek vero? Derek Smith, alto, biondo, occhi verdi, hai presente?"
"Sì sì, ho capito, lo conosco, è con noi ad educazione fisica, se non mi sbaglio"
"Esatto, beh ecco vedi, questa sera darà una mega festa a casa sua, visto che i suoi sono a Seattle fino al weekend, mi chiedevo quindi se ti piacerebbe venirci con me" chiese con quel briciolo di speranza nella voce.
"Non lo so...una festa?...a casa di Derek?...questa sera?"
"Ti prego Hailey" mi supplicò "per favore"
Già immaginavo la scena: labbro inferiore sporgente, mani giunte in preghiera e sguardo da cane bastonato;
Tutto incorniciato da una montagna di ricci color caramello e un paio di occhi verde smeraldo.
Riuscire a dirle di no, era sempre stata una grande impresa per me.
E a dire che ci ero sempre cascata, nonostante sapessi il suo giochetto. "...ok...verrò" risposi poco convinta.
"Siiiiiiiii"
Il cellulare quasi mi cadde tanto forte gridò.
"A che ora inizia la festa?" Chiesi non appena ebbi nuovamente la possibilità di parlare.
"Alle 21:30, ma noi possiamo benissimo andarci ad un'ora non prestabilita, passo a prenderti alle 22:00, arriveremo la, sì e no alle 22:15" disse infine
"Ok, ok"
"Adesso sù, vatti a preparare, hai al massimo 3 ore e mezza"
"Oh no! 3 ore?" Dissi fingendomi terrorizzata "Non riuscirò mai a prepararmi in tempo"
Scoppiammo entrambe a ridere ed infine lei mi minacciò di vestirmi decentemente.
"Ti ho avvertita Hailey"
"Sì Kim ho capito, il più presentabile possibile"
Alle nostre risate si susseguirono un "Ci vediamo più tardi" e un "Non ti deluderò" da parte mia, e la chiamata ebbe fine lì.

Scesi di sotto e trovai Seth comodamente buttato a pancia in giù sul divano, intento a seguire una partita di football alla TV.
"Seth!" Lo chiamai.
"Si dimmi" rispose senza staccare gli occhi dal televisione.
"Beh, ecco Kim mi ha invitato ad una festa questa sera, posso andare vero?"
Nonostante avessi 18 anni il permesso a Seth lo avevo sempre chiesto, qualunque fossero state le circostanze.
Di solito avrei chiesto a mio padre, ma sarebbe tornato tardi, ed oltretutto era meglio chiedere prima a Seth.
"Si certo!, ma mi raccomando..."
"Non fare tardi" lo canzonai.
Solo allora mi guardò negli occhi.
"Lo so, lo so. Sai sono quasi stufa delle tue raccomandazioni, non c'è il bello se tu continui a ripetermi sempre le stesse cose."
"Quasi stufa eh?" Mi scoccò un sorriso.
"Ok, ok ne ho abbastanza a dir la verità" ricambiai.
"Su adesso vatti a preparare, o farai tardi" mi spinse via verso le scale.
"Grazie fratellone" dissi voltandomi un'ultima volta verso di lui, e il suo sonoro "Ma ti pare!" rieccheggiò per tutto il corridoio del primo piano.

Non ci pensai neanche un momento che istintivamente mi buttai sotto la doccia.
Dopo essermi concessa il mio abituale momento di relax a base di acqua calda e sapone alla vaniglia, mi piazzai di fronte l'armadio alla spudorata ricerca di qualcosa che potesse miracolosamente accontentare le esigenze di Kim.
Riguardai i vestiti da destra verso sinistra, e viceversa, ma non sembrò convincermi niente.
Cosa che non mi parve del tutto strana.
I miei vestiti non erano mai stati un granché, bastava dare un'occhiata al mio armadio, per capire quanto fossi negata in ambito stilistico.
A parte camicie, jeans, tute e meglie da uomo -che fatemelo ammettere, sono la fine del mondo- nel mio armadio non c'era altro.
Non ero una grandissima fan delle gonne e dei vestitini in pizzo, ma con mio dispiacere in alcune occasioni ero stata costretta ad indossarli.
Come durante la mia comunione.
Non ricordo nulla di quel giorno, della festa, della celebrazione, dei regali ricevuti, ma ricordo esattamente la scenata fatta quella mattina a mia zia.
Mi rifiutato di voler mettere il vestito.
Tipico di Hailey Walker.
Kim mi aveva sempre un "po" persa in giro per questo, e in effetti la mia assurda incapacità di saper mettere una gonna, non aiutava.
Diceva che se me ne avesse data una, di sicuro io ci sarei saltata dentro con entrambe le gambe.
Io mi ero difesa con il mio semplice "E allora? Cosa c'è di male?!" , ma per il resto la conversazione era terminata con il mio sbuffare, e con il suo soffocare a stento le risate.
In poche parole, la moda era una di quelle tante qualità di cui non ero dotata.
Mentre constatavo se avessi fatto prima a dire a Kim che non sarei venuta, una lampadina dalla luce fioca e debole mi invase la testa.
Un'idea alla quale, forse mi sarei potuta aggrappare.
Mi avviai verso la cassettiera e aprì l'ultimo cassetto.
Rovistai sotto un gruppo di magliette che non usavo ormai da molto tempo, quando alla fine trovai ciò che cercavo.
Recuperai un top nero pieno di paillettes, aderente e abbastanza da passare inosservato sotto gli occhi di Kim.
Mi era stato regalato da mio padre per il mio sedicesimo compleanno.
L'ultimo regalo di tutti.
Poi si era limitato a regalarmi soldi, così che potessi soddisfare le mie esigenze senza fargli perdere tempo.
Perché come diceva lui, se di mezzo c'entravo io, era sempre un'assoluta perdita di tempo.
Mi stupì quando, indossandolo scoprì che mi stava alla perfezione, ma ne fui un pò delusa.
Speravo di dover trovare una scusa, giustificandomi del fatto di non avere nulla da mettere;
Certo Kim l'avrebbe presa malissimo, si sarebbe arrabbiata, avrebbe alzato gli occhi al cielo come era sua abitudine fare, ma almeno non avrei dovuto indossare quello stupidissimo top. Quella volta però decisi di stare dalla sua.
Abbinai il mio paio preferito di jeans strappati al ginocchio, dove si diffondevano sfumature di blu da tutte le parti, e degli anfibi con giusto quel po di tacco, così da far risaltare il mio metro e sessantasette più slanciato.
Mi truccai il più leggero possibile per non risultare troppo appariscente, lasciai i miei capelli liberi, anche se avrei preferito legarli, benché il caldo si facesse ancora sentire, ed infine presi il mio giubbotto di pelle dallo scaffale superiore dell'armadio.
Ammirai per una manciata di secondi il mio riflesso allo specchio circolare del bagno, e scesi di sotto sperando di trovare mio padre di buon umore.
A volte capitava.
Altre no.
Ma continuavo a sperarci comunque, anche se ormai quella speranza si era ridotta al 25%.
E ogni giorno, come un'altro, la mia fiducia in lui svaniva, si polverizzava.
Un'altra piccola percentuale spariva per sempre.
Come una manciata di polvere che veniva scagliata nel vento.
Tutto si divideva, tutto prendeva direzioni opposte, tutto diminuiva sempre di più, fino a non rimanere che un granello su tanti.
Forse per lui ero proprio questo.
Un misero granello su tanti.
Una persona come altre.
Incapace.
Incompleta.
Sbagliata.
O almeno per lui lo ero...
Sperando in un miracolo percorsi il corridoio, lasciandomi la porta della mia camera alle spalle.
Giornate a dir poco insopportabili di scuola, top neri, conversazioni al cellulare divenute quasi minaccie di morte.
Serviva qualcos'altro per renderla una giornata infernale.
E forse era mio padre, quello che avrebbe dato il colpo di grazia.


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