Capitolo 23

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Ero innamorata.
Mi piaceva, ne ero sicura.
Certo, ci avevo messo un pò per capirlo, per rendermene conto.
Mi capiva nonostante tutto, e sin dall'inizio era diventato mio amico, nonostante non ci conoscessimo.
Ecco, era questo il problema più concreto...
Non lo conoscevo.
Eppure mi faceva stare bene.
Mi faceva sentire me stessa, come se passassi una qualunque giornata in compagnia di Seth, o Kim.
Mi faceva ridere, essere creativa.
Stavo bene, e non potevo negarlo.
Mi piaceva, e non potevo negarlo.
Era migliore di persone che conoscevo da tutta una vita.
Migliore dal mio punto di vista.
E sebbene, come detto prima, non avevo la più pallida idea di chi fosse, mi sembrava di conoscerlo da una vita...
Di averlo atteso da tutta una vita.
Di aver bisogno di lui per tutto.
Sia al presente che al passato.
Mi piaceva e non potevo negarlo.
Lui era il mio Rei.
Quello egocentrico, spiritoso, divertente.
Quello che non capiva nulla di matematica, quello che per quanto ne sapevo, era migliore di me.
Era il mio stronzo preperito, la persona più ridicola sulla faccia della terra.
Forse stavo correndo troppo.
L'avrei spaventato...
Io mi sarei spaventata...
Ma rimaneva il mio Rei.
Ed io la sua ragazzina.

Era la vigilia di Capodanno, ed io non stavo più nella pelle di vivere in allegria quel fatidico giorno...
Si, va beh...
Ero buttata sullo scomodo divano di mia nonna, mentre lei in salotto, si divertiva a lavorare la maglia.
Avevo promesso a Seth, che avrei fatto qualcosa per quella sera, ma non ne avevo voglia.
Chiamare Jackson per sapere come avrebbe passato la serata, non mi entusiasmava.
E poi, andiamo! Chi si era mai organizzato per Capodanno la stessa sera?
Certo le feste organizzate per la città erano a migliaia, mi sarei potuta imboscare ad una qualsiasi...
Ma no! Non ero in vena.
Dopo aver ricontrollato per la millionesima volta il cellulare (eventuali messaggi, ovviamente) presi in considerazione l'idea di andare a dormire.
Erano le otto, e io non avevo nulla da fare.
Era già ovvio, che quella serata l'avrei catalogata tra:
"Il miglior Capodanno della mia vita"
Ma, quando suonarono alla porta, a stento riuscii a rimettermi in piedi.
Sperai con tutta me stessa che non fosse Edward.
Questa volta l'avrei mandato a calci fuori di casa, appena avrebbe solo proposto di andare ad un'altra festa.
Ma per fortuna tutto filò liscio.
Non era Edward.

Quei ricci.
Quell'odore quasi soffocante di fragola e lacca per capelli.
Quel sorriso che mozzava il fiato.
Gli occhi verde smeraldo.
Era Kim.
Non le diedi il tempo di dire qualsiasi cosa.
L'abbracciai, con tutta la forza di cui ero disposta, con tutta la volontà che avrei potuto mai avere.
Era Kim, cavolo! Non potevo crederci.
"M-ma cosa...?" Riuscii solo a dire, fra la miriade di ricci.
"Mi sei mancata" dichiarò.
La guardai negli occhi.
Era lei, si. Forse quanto? Due settimane? Tre? E chi le aveva contate!? Mi era mancata, e questo bastava.
Non mi importava.
Averla lì, fu la cosa migliore di tutta la vita.
Il sole dopo un giorno di pioggia...
"Oh, Kim..." riuscii a farfugliare.
"Se anche solo lo negassi, direi la cazzata più grande della mia vita"
Sì scostò da me per guardarmi negli occhi.
"Ho avuto bisogno di te, ogni giorno. Volevo chiamarti, anche se la distanza non lo permetteva.
Accidenti, fare una chiamata in Italia? Sarebbe stato impossibile!"
Portai le mani in faccia, soffocando una risata nervosa.
"Scusa" bisbigliò.
"Di che?"
Le lacrime solcavano solitarie le mie guancie.
"Per non aver attivato la promozione per l'Estero..."
Sorrisi nonostante le lacrime.
"Anche tu mi sei mancata, Kim"

Io e Kim parlammo per un'ora circa.
Le raccontai ciò che avevo fatto nelle ultime due settimane, tralasciando il fatto "James" e "Rei", forse in pratica non le raccontai nulla, ma accennai al fatto di aver rivisto mio cugino dopo quattro anni.
A quella data, lei scoppiò a ridere.
Certo, lo capivo.
Quale cugina sta lontana dalla propria famiglia per quattro lunghi anni?
Nessuna.
Ecco, appunto.
Lei mi raccontò del viaggio in Italia.
Accennò alla capitale, e alla bellezza stupefacente dei monumenti.
Parlò anche della cucina di sua nonna, e a quanto avrebbe voluto rimanere lì, ma parlò sopratutto dei ragazzi che c'erano.
Mi raccontò di come ne avesse adocchiato uno, e di come si fosse avvicinata a lui, per chiedere indicazioni.
"Per fortuna sapeva l'inglese" Disse.
"Se no, immagina la brutta figura!"
Le ero scoppiata a ridere in faccia, ma lei non aveva obbietatto, anzi, si era unita sonoramente a me.
Mi disse anche di come avesse instito per venire qui l'ultima settimana, e di come i suoi genitori le avessero lasciato la casa libera, e di come loro abbiano sfruttato l'occasione per rimanere in Italia, e godersi una breve "luna di miele."
L'aveva fatto solo per stare con me, e in quel momento non resistetti all'impulso, e l'abbracciai, farfugliando un flebile "Grazie."

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