19. // respiri spezzati dalla buia notte

708 56 50
                                    

Il suo cuore stava per scoppiare, lo sentiva quasi letteralmente spingere contro il suo petto per uscire e morire nella sua mano. Un groppo in gola lo bloccava dal parlare e le sue gambe non rispondevano ai suoi comandi, e ostinate continuavano a correre senza fermarsi.
Non poteva essere vero, no, decisamente non poteva essere vero.
Non aveva ricevuto quella chiamata, quella mattina.
Non si era svegliato di soprassalto come se qualcuno lo avesse ucciso nel letto.
E in quel momento non era in ospedale davanti a un letto in terapia intensiva.
Eppure era lì e non sapeva come spiegarsi quel che i suoi occhi vedevano.
Sul letto, ricoperto da lividi e tubi, attaccato ad una serie di macchine rumorose, c'era Michael.
"Cos'è successo?".
Era Giulia a parlare perché lui non ci riusciva.
"È stato coinvolto in un incidente stradale questa notte, è stato in sala operatoria fino a un paio d'ore fa. Per adesso è stabile ma non è fuori pericolo".
"Cosa dobbiamo aspettarci?".
"Se si sveglierà avrà bisogno di aiuto i primi tempi. I danni erano consistenti, costole rotte, un polmone perforato, ma è qualcosa da cui si può riprendere".
Federico si sentì svenire e trovò il modo di far uscire la sua voce.
"Se si sveglierà?" chiese.
"C'è sempre la possibilità che non si riprenda. È troppo presto per fare previsioni certe, ma è per prepararvi ad ogni eventualità".
Ci fu un momento dove Federico si estraniò dalla conversazione e lasciò che le informazioni s'impressero nella sua mente. Il dottore e Giulia continuarono a parlare ma lui non ascoltava, era come se una nebbia avesse avvolto il suo cervello e il suo cuore stava puntando una spada contro di lui, come a difendersi da quel dolore che non voleva accettare. Era troppo, sentiva un forte rigetto, dentro di sé, e non capiva se fosse nausea o semplicemente un vortice di doloranti emozioni.
"Sapete come contattare la famiglia? Non aveva il cellulare con sé".
"Li chiamiamo noi, grazie dottore".
"Se avete domande non esitate a chiamare".
Sentì la mano di Giulia posarsi sulla sua spalla e gli disse qualcosa che assomigliava a "Vado a chiamare la mamma di Michael". La porta si chiuse e Federico si ritrovò da solo seduto accanto a Michael.
C'era un respiratore attaccato all'uomo che faceva in modo che il suo petto continuasse ad alzarsi.
Fili uscivano dalle sue mani da pianista e i suoi occhi erano troppo chiusi per Federico.
"Mik..." sussurrò. Si aspettò un improvviso movimento da parte dell'amico ma i suoi occhi rimasero chiusi. Ci riprovò ancora una volta.
"Mika, svegliati...". Ancora niente. Michael non si voleva svegliare. Federico gli prese la mano facendo attenzione a non staccare niente.
"Mik, ti prego svegliati. Non...non è divertente".
Le macchine continuarono a suonare, a fare rumori troppo meccanici e le lacrime cominciarono a cadere. Guardò la porta e poi avvicinò la sedia il più possibile al letto.
"Non puoi lasciarmi, hai capito? Non puoi, cazzo. Ti ricordi quando un anno fa mi hai detto che ti avevo salvato la vita? Tu hai salvato la mia, Mik. Avrei dovuto dirtelo subito. Io non esisto senza di te, quindi non puoi morire, no, non puoi, non-".
Si sentì travolgere dalle più bastarde delle emozioni e i suoi occhi rilasciarono tutto il dolore che la sua voce cercava di nascondere con i singhiozzi. Solo dire la parola morte lo fece morire dentro.
"Sei troppo importante per me, Michael, quindi svegliati, cazzo. Svegliati e rimani con me, perché una vita senza di te non è neanche contemplabile".
Le sue labbra andarono a posarsi sulla mano dell'uomo che ancora non rispondeva ai suoi richiami.
Ci pensò un attimo, a quel futuro, a quel mondo triste che adesso poteva essere una possibilità. Un mondo dove Michael non illuminava le sue giornate con il suo sorriso, dove non rispondeva alle sue battute scritte via messaggio con tre ore di ritardo, un mondo dove la sua musica era un ricordo collegabile solo al passato, perché quello che poteva essere futuro era tutto morto in quel letto.
Era una prospettiva triste, gelida, così fredda da fargli venire il mal di testa. Non ci voleva pensare, perché Michael non era ancora morto. Non ancora.
Poi, il suo cuore si lasciò andare.
"Ti amo, Mik. So che non è così che doveva andare, ma adesso so di non aver mai smesso. Ti amo, okay? Quindi non puoi lasciarmi, cazzo, perché la nostra storia non può finire così. Ti amo".
E gli ci era voluto un incidente stradale per rendersene conto e per ammetterlo finalmente a sé stesso. Non credeva nelle frasi fatte e in quel momento odiava chi aveva inventato la frase "Non sai quello che hai finché non lo perdi". Perché quasi perdere Michael gli aveva fatto capire che in realtà non aveva mai smesso di amarlo, che per anni avevano preferito fare quello che tutti ritenevano convenzionale piuttosto che amarsi.
"Ti amo. Torna da me, ti prego".
Il suo petto continuò ad alzarsi, i suoi occhi rimasero chiusi e le sue mani non ricambiarono la stretta di Federico. Il più piccolo appoggiò un bacio su quella mano quasi fredda.
"Io sono qui, Mik. Io sono qui".
E Federico quasi non lasciò mai quella sedia.

Amore che vieni, amore che vaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora