28. // tre passi (insieme)

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Federico si rese conto di aver rinunciato alla sua vita quando finalmente cominciò a viverla per davvero.
Non si riferiva solo a Michael, al fatto che ora amarlo alla luce del giorno stava diventando solo più facile, ma anche per quanto riguardava il suo futuro. In tutti quei mesi non aveva ancora trovato la sua strada e la sua crisi emotiva con la madre lo aveva catturato del tutto.
Ma adesso che Deborah aveva ricominciato a parlargli, a chiedergli come stava e a chiamarlo almeno due volte a settimana, adesso aveva un nuovo grande passo da fare. Trovarsi un lavoro.
Sua madre lo andava a trovare spesso nel loro appartamento e passava interi pomeriggi a parlare con il figlio sul suo possibile futuro, perché lei ancora non capiva come avesse fatto a lasciare un lavoro per cui aveva studiato e che gli dava comunque uno stipendio. Fu durante una di queste conversazioni che Deborah capì quanto fosse diverso il suo bambino da quello che lei aveva cresciuto.
"Vorresti diventare un rapper?" chiese Deborah, perché sì, Federico era riuscito ad ammetterlo, sia a sé stesso che a sua madre.
"Sì, mamma. Guarda". Prese il suo fidato quaderno dal divano e lo portò alla madre. "Sono anni che scrivo canzoni. Sono più che altro appunti ma ci ho sempre provato. Pensavo fosse solo uno sfogo, invece è una passione. Voglio provarci".
"Pensi di farcela?".
"Sì. So che è un mondo crudele ma Mik me ne ha già parlato. E stando con lui ho avuto già un po' l'occasione di vedere come funziona".
"Michael approva, quindi".
"Ha sempre provato a farmi scrivere, a dirmi di seguire questo sogno ma non l'ho mai fatto".
"Per colpa mia".
Deborah non riusciva a non dire quella frase, perché adesso che era riuscita a vedere quell'amore che il figlio viveva, riusciva a vedere quanto fosse felice e quanto tutto quello gli appartenesse. E non poteva non pensare che era stata lei la causa di blocco di tutto.
"Mamma, ti prego non dirlo. Non è colpa tua, ma mia e solo mia. Okay, ammetto che la tua opinione su questo mondo mi ha influenzato ma io non ho mai lottato abbastanza per questo e adesso che so chi sono, ho trovato il coraggio per realizzarlo".
La madre sospirò e gli prese la mano, stringendola dolcemente. Guardò il quaderno e sorrise.
"Ma non esistono università per rapper".
Sì, era proprio suo figlio.

xxx

Un po' si sentiva privilegiato, Federico, ad avere Michael. Durante la registrazione del suo ultimo album era rimasto con lui quasi tutto il tempo, in studio, in sala a riascoltare i pezzi, era presente anche quando il cantante componeva. Lui se ne stava lì, comodo su una poltrona, ad ascoltare il suo ragazzo che sputava capolavori uno dietro l'altro. Aveva il privilegio di assistere alla creazione di una magia e ad un certo punto Michael lo spinse alla batteria e gli fece provare qualche pezzo. Non aveva mai veramente suonato, lui, alle medie aveva imparato a suonare la chitarra e qualche volte la riprendeva in mano, ma altro non sapeva suonare.
Fu così che prese l'abitudine di passare i pomeriggi in studio, con o senza il suo ragazzo, le mani attaccate alla batteria e alla chitarra, uno dei musicisti sempre con lui per insegnarli. Imparò a suonare discretamente, quanto bastasse per creare una base per quelle canzoni che avevano melodia solo nella sua testa.
Una pomeriggio Michael lo trovò a comporre con una chitarra in mano e dopo appena un'ora lo spinse in sala registrazioni a registrare il suo primo demo.
Si sentiva privilegiato, sì, perché da solo non avrebbe trovato un modo per creare demo così convincenti.

Erano in Inghilterra, Michael era in tour e lui aveva accettato con molta gioia di seguirlo. In quel momento era semplicemente il ragazzo della pop star e a lui bastava quello. Seguiva i suoi show dal backstage e a volte lo aspettava nel camerino dove si metteva a scrivere qualche verso da aggiungere ai suoi testi già cominciati. Una sera dopo un concerto andarono ad una festa e lì Federico incontrò un produttore italiano, un certo Fausto. Mentre Michael si perdeva a salutare vecchi e nuovi amici, lui se ne stava lì, con questo italiano a parlare della sua musica.
"Quindi canti anche tu?" chiese Fausto.
"Il mio genere è più rap, sono lontano da quello di Mika".
"Mika è lontano da tutti con la sua musica, è unico. Hai già scritto qualcosa?".
"Sì, ho un paio di demo in lavorazione. Sono ancora agli inizi".
"Potresti farmi sentire qualche demo". Federico sgranò gli occhi, perché mai si sarebbe aspettato una proposta del genere, non così presto.
"Davvero?".
"Certo. Nel mondo del rap manca grinta. Chissà, magari quella ce l'hai tu".
Federico rimase senza parole a fissare quell'uomo che forse aveva visto troppa speranza di un futuro brillante nelle sue parole. Fausto notò il suo stupore e gli diede una veloce pacca sulle spalle.
"Ti lascio il mio indirizzo qui a Londra" disse allungandogli un biglietto da visita. "Sto qui per ancora tre giorni. Fatti vivo prima, eh".
Fausto se ne andò e Michael raggiunse il suo ragazzo nel giro di qualche secondo, avendo visto il suo sguardo decisamente perso.
"Fede, stai bene?" chiese Michael. "Chi era quello?".
"Un producer" rispose Federico, ancora troppo sconvolto per chiudere la bocca. Poi, tossì appena. "Mi ha chiesto di fargli ascoltare qualche demo".
Michael spalancò gli occhi così tanto che quasi li sentì uscire fuori.
"Davveri?".
"Davveri davveri".
Michael scoppiò a piangere dalla felicità e lo abbracciò, facendo quasi cadere il suo drink.
"Visto? Te l'avevo detto che avresti trovato tua strada!" disse. Lo baciò e Federico lo tenne stretto tra le sue braccia. Era assurdo, ma adesso aveva una possibilità.

Fausto rimase impressionato dai suoi demo, e su due piedi decise di prenderlo sotto la sua ala. Federico ne rimase sorpreso, ma Fausto gli disse che lui amava le sfide.
Michael lo spinse sempre più avanti su quella strada e per i primi mesi gli rimase accanto, poi le loro vite lavorative li portarono a vivere nei rispettivi propri paesi – perché Michael aveva un album da promuovere e Federico doveva lavorare con Fausto in Italia. Sapevano che la loro vita li avrebbe portarti a quello e non pesò più di tanto.
A un anno da quella serata, Federico si ritrovò seduto sul divano con Michael, a Milano, con in mano il suo primo CD. Era un pezzo di plastica con sopra la sua faccia e dentro la sua musica.
"Fa strano effetto, vero?" disse Michael.
"Strano? È assurdo. La gente lo comprerà, in teoria...e io mi sento come se nessuno oltre me lo prenderà mai in mano".
"È normale pensarlo, fa paura a tutti i cantanti il primo CD. Ma tu piacerà a tutti, ne sono sicuro"
"Non ne sono sicuro ma grazie. Se sono arrivato fin qui è merito tuo".
"Ce l'avresti fatta anche da solo, io ne sono sicuro".
"Però molto è successo grazie a te".
"Mmh, non tutto. Il nome d'arte non l'ho scelto io".
"Non ti piace?".
"È bellissimo, Fedez".

Amore che vieni, amore che vaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora