Prologo. La bambina dagli occhi di foschia

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La guerra era arrivata anche tra quelle regioni del pacifico regno di Thral, fin sotto quelle mura. Si sentiva nell'odore di fumo e acciaio di cui era impregnata l'aria, si vedeva nella desolazione vuota delle strade di quella città, Antya, che portava il pesante epiteto di Inespugnabile. E inespugnabile lo era stata davvero, ai tempi delle Fate e degli Elfi, quando sulle sue mura bianche erano incisi misteriosi e potenti incantesimi, e quando gli eroi delle leggende combattevano per la libertà delle genti. Ma ora quei tempi erano andati per sempre, e le Fate e gli Elfi erano scomparsi, gli incantesimi se n'erano svaniti con loro, gli eroi non esistevano più e quella era solo una città con una reputazione troppo pesante da difendere.

Jahrien scosse la testa, recuperando la concentrazione. Si era di nuovo distratto dal suo compito di pattuglia delle strade. Si intuiva che quella città era stata bellissima, un tempo: s'intravedeva negli spiragli che restavano dello splendore perduto per sempre, si avvertiva l'aura di epica grandezza ormai sbiadita negli angoli di edifici maestosi, nella pietra chiara delle strade, nelle decorazioni leggiadre che sbucavano qua e là dal nulla, tra le macerie e la sporcizia, come una sorpresa.

Ora che tutto era illuminato dalla luce di bronzo del tramonto spiccava ancora di più la decadenza di quella che secoli prima era stata una delle leggendarie città delle storie antiche, ma che adesso non era che il simulacro pallido e grigio della passata fama. Il cuore del ragazzo straripava di tristezza al pensiero di ciò che attendeva quella città, quelle genti, e la sua attenzione tornò alle strade. Cercava chiunque fosse ancora lì, fantasmi di una città fantasma. Presto l'esercito dell'Usurpatore sarebbe stato là, e per quel momento tutti gli abitanti dovevano essere portati in salvo.

Erano ormai due mesi che lui e il suo maestro erano lì a combattere per quel piccolo regno. Loro erano Cavalieri Erranti, era loro compito difendere la pace. O meglio, questo era stato prima dell'ascesa dell'Usurpatore: ora il loro compito era diventato combattere per i reami liberi minacciati dalla sua tirannia.

A dire il vero Jahrien non era ancora propriamente un Cavaliere Errante: aveva quindici anni, ne mancava ancora uno all'investitura. Secondo le regole del suo Ordine era apprendista da quando aveva sei anni, e in parte non vedeva l'ora di essere un Cavaliere a tutti gli effetti, in parte lo temeva. Ma il suo maestro aveva fiducia in lui.

Era così perso nei pensieri che quasi non si accorse del lieve rumore che proveniva da uno stretto vicolo alla sua sinistra. Jahrien si bloccò nel mezzo della strada, credendo di averlo immaginato, ma subito dopo lo sentì ancora. Era il pianto di un bambino.

Il ragazzo si mosse sicuro verso il rumore. Il vicolo era così stretto che la luce del sole già non ne raggiungeva il fondo, rendendolo inaspettatamente buio. C'era un mucchio di stracci laceri in un angolo: il pianto veniva da lì. Jahrien si avvicinò piano, con cautela, per non spaventare ancora di più il bambino nascosto, poi scostò lentamente una logora coperta.

Non era un bambino, era una ragazzina. Doveva avere undici o dodici anni ed era minuta e sporca, avvolta in un vecchio vestito con la gonna strappata che sembrava troppo grande di svariate taglie. I suoi capelli erano un groviglio nero e impiastricciato di terra, che le ricadeva sul volto coperto dalle mani.

Quando si accorse di lui, la ragazzina strillò e si ritrasse di scatto, piangendo ancora più forte, terrorizzata. Jahrien cercò di calmarla.

«Stai tranquilla, non voglio farti niente di male. Voglio aiutarti.»

Le tese una mano, ma lei indietreggiò ancora con un urlo.

«Non voglio farti del male...»

Lei lo guardò, e il ragazzo si accorse che aveva due occhi enormi, grigi come la nebbia di novembre, che straripavano disperazione pura.

«No... non ho paura di te» sussurrò la ragazzina con voce sottile. «Lo so che non vuoi farmi del male. Ti ho visto che aiutavi i feriti, dopo la battaglia di ieri... ma... io ti farò male. Ti prego, vai via...»

Jahrien non capiva cosa volesse dire, ma non l'avrebbe lasciata là, nel bel mezzo di un assedio, in balia dell'Usurpatore.

«Sono certo che non mi farai del male. Vieni con me. Ci sarà la guerra, ti uccideranno se resti qui.»

Gli occhi le si riempirono di lacrime.

«Lasciami qui, ti prego... non voglio che tu muoia...»

Scostò un poco il vestito, e il ragazzo notò un disegno nero che spiccava quasi con violenza sulla sua pelle pallida, all'altezza dello sterno: un ragno e un teschio. La stoffa tornò a coprire il marchio, ma Jahrien deglutì, sforzandosi di apparire sereno lo stesso. Se si fosse mostrato intimorito, con quale coraggio avrebbe potuto rassicurarla, quando lui per primo temeva il marchio che le deturpava la pelle? Perché lui lo conosceva, quel segno. L'aveva studiato.

«Hai capito, vero? Sono maledetta...» mormorò lei, gli occhi già pieni di lacrime, e la voce le si spezzò. «Uccido tutti quelli che tocco.» Distolse lo sguardo.

Jahrien sospirò: non l'avrebbe lasciata lì, maledizione o no.

«Riesci a camminare?» le chiese.

Gli occhi le saettarono a una gamba, attorno a cui era avvolto un brandello di stoffa sporco di sangue raggrumato, e scosse la testa. Jahrien allora corse fuori dal vicolo, fischiò e si fece lanciare una coperta da uno dei collaboratori del suo maestro. Era vecchia, ruvida e sapeva di polvere, ma almeno era pulita. La porse alla ragazzina, che se la avvolse strettamente intorno, sbucando solo con il viso. Allora il ragazzo la prese in braccio, realizzando solo ora quanto fosse scheletrica. Non faceva fatica a trasportarla, e sul suo volto, contornato dalla massa di ricci sporchi, spiccavano le ossa.

«Ti cureremo la ferita, vedrai. La tua famiglia dov'è?»

Lei scosse la testa. «Loro... mi hanno abbandonata. Quando ho scoperto la maledizione.»

«Mi dispiace...»

Lei scrollò le spalle, come per dire che non le importava. «È stato tanto tempo fa.»

«Ti troverò una famiglia. Qualcuno che ti voglia adottare. Va bene?»

Due lucidi occhi grigi si sollevarono a incontrare il suo sguardo. In mezzo a tutto quel pallore, sembravano ancora più grandi.

«Davvero lo faresti?» mormorò con un filo di voce.

«Certo. Perché non dovrei?»

«Sei davvero buono.»

Jahrien le sorrise e strinse lievemente la presa sull'involto di stoffa, come ad abbracciarla. «Mi dici come ti chiami?»

Lei esitò un attimo, e lo sbirciò da sotto la cortina di capelli aggrovigliati.

«Myrindar» sussurrò, infine.


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Ciau a tutti, popolo di Wattpad(?)

Tempo fa avevo pubblicato già questa storia, con un vecchio account, e ora rieccola ^^

L'ho scritta ancora anni fa su un'idea che ho da quando sono bambina, per cui non è eccezionale, né come stile né come trama - avrebbe bisogno di una revisione profonda -, ma ci sono affezionata in modo particolare e spero possa piacervi!

Alla prossima!

~ Vy

Aleestrya [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora