36. Fratello e sorella

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Jahrien risollevò il drappo nero che dalla fronte gli era caduto di nuovo negli occhi.

La strada era libera e quella zona della città silenziosa, fin troppo. Le grandi case delle famiglie nobiliari parevano deserte, i loro occupanti dovevano essersi rintanati oltre la cinta più interna al primo suono delle campane. Meglio così, si disse. Almeno non aveva dovuto affrontare anche le guardie delle ville.

Sollevò la mano e fece cenno ai suoi uomini dell'avanguardia di avanzare e posizionarsi nella via successiva. Quelli, silenziosi come fantasmi, si spostarono tra le ombre.

Le mura della cittadella si ergevano davanti a loro. I soldati sui camminamenti e sulle torri erano occupati a tenere a bada le truppe di Nemanar che attaccavano da nord e a preoccuparsi della divisione comandata da Talja, in arrivo da ovest. Nessuno avrebbe badato al lato est, da dove si stavano avvicinando.

O almeno così sperava il giovane – e il generale. Finora, la tattica pareva aver funzionato, ma era da quel momento che ogni cosa si sarebbe complicata.

Attese il segnale dell'avanguardia, poi fece procedere il corpo principale della squadra. Tra mantelli e drappi neri, colse il luccicare delle lame, delle frecce e dei rampini.

Aspettò che anche la retroguardia prendesse posizione e poi corse avanti. Trovò nascondiglio dietro il muro ricoperto di edera di un giardino. Prese un respiro e cominciò ad arrampicarsi. Doveva essere visibile almeno dai suoi uomini.

Il cuore accelerò i battiti a mano a mano che il ragazzo saliva. Infine, appollaiato sulla sommità della cinta, si prese qualche istante per osservare.

Due soldati erano in vista, ad almeno venti metri di distanza l'uno dall'altro. Come aveva supposto Alshain, Uthrag si aspettava un qualche tranello, sfruttando la distrazione, ma non poteva rischiare di spostare uomini che servivano per reggere l'assalto solo per inseguire spettri.

Sollevò il pugno destro in aria e alzò due dita. Un istante dopo, il fischio sottile delle frecce fendette l'aria, seguito da due tonfi sordi distinti. Dalla sua posizione, Jahrien vide le due sentinelle crollare a terra, poi quattro rampini dell'avanguardia tintinnarono incastrandosi all'orlo del muro. Come ragni, i primi si arrampicarono sulle corde e raggiunsero il camminamento, subito seguiti da altri quattro soldati, e poi assicurarono nuove corde e discesero dall'altro lato. Jahrien attese che i dodici dell'avanguardia fossero saliti, poi scese dal muro e raggiunse la retroguardia, sondando con lo sguardo le tenebre verso la battaglia.

In pochi minuti, tutti i quaranta uomini avevano scavalcato la cinta della cittadella.

Il Cavaliere tirò un sospiro di sollievo. Un ostacolo era superato. Ora dovevano solo raggiungere le porte e aprirle dall'interno. Con il supporto di Nemanar e Talja, avrebbero assaltato la fortezza di Uthrag.

Fece cenno agli uomini di riprendere la formazione. In quel momento, gli parve di cogliere, con la coda dell'occhio, un movimento alla sua destra. Due dei soldati della retroguardia puntarono all'istante le frecce incoccate nella stessa direzione.

Jahrien sollevò la mano e ordinò l'alt. Eppure, nulla si muoveva. L'eco dei combattimenti era più vicino, ora.

Un lampo nero si abbatté dal cielo sui due arcieri. Jahrien evocò uno scudo magico e l'onda d'urto si infranse su una barriera di luce.

«Via!» gridò, e la squadra scattò e si disperse per le strade, verso le porte. Jahrien sguainò la spada e corse, il cuore in gola.

Non aveva mai visto una magia simile. Ne aveva sentito la forza persino attraverso lo scudo e ben sapeva che se la saetta fosse stata indirizzata a lui sarebbe morto, magia di protezione o meno.

Questo poteva significare solo una cosa. Lo Zerisha Ynahar era sceso in campo.

***

Myrindar parò il primo, rabbioso colpo per pura fortuna. Balzò indietro, recuperando la distanza, la spada tesa contro il fratello.

«Ascoltami, Layrath!» gridò. «Non dobbiamo combattere per forza. L'Ynahar non ti libererà di Aleestrya. Non può farlo!»

«Sta' zitta!» Il ragazzo la caricò di nuovo. Myrindar schivò l'affondo scartando di lato. «Tu non sai nulla!»

La ragazza non ribatté, si limitò a parare un tondo che le sarebbe arrivato alla faccia. Aveva fallito. Sperava di convincerlo a venire con lei, o almeno ad arrendersi senza combattere, invece aveva avuto l'unico effetto di turbarlo.

Strinse i denti e contrattaccò, mirando alla gamba. Non appena vide che Layrath spostava lo spadone per parare, fulminea modificò la traiettoria e colpì all'altezza della spalla. L'arma slittò sulla placca di metallo dell'armatura e tracciò uno sfregio sulla guancia del giovane.

Urlò.

Myrindar, di nuovo, balzò fuori portata. Layrath era così sconvolto che non aveva nemmeno rimesso l'elmo.

Un fulmine biancastro balenò tra le dita del suo avversario e si diresse verso di lei, fulmineo. La ragazza lo schivò per miracolo e si trovò sbilanciata, impreparata a parare i colpi del fratello. La lama si abbatté all'altezza della gola, Myrindar frappose la propria arma, ma cadde a terra.

Prima che il giovane potesse calare lo spadone sulla sua testa, saette viola proruppero dalle mani della ragazza e si avvilupparono attorno a Layrath come catene. Il ragazzo gridò di dolore, ma tese le braccia e la magia si dissolse.

Myrindar deglutì. Aveva recuperato equilibrio e distanza di sicurezza, ma non poté nascondere il turbamento. Non pensava che qualcuno potesse neutralizzare i suoi attacchi.

«Ci sono molte cose che non sai» disse il giovane, indovinando la sua preoccupazione.

«Layrath, te ne prego, ascoltami» riprovò la ragazza, ora che anche l'avversario pareva più calmo. «Perché accetti di essere uno schiavo?»

«Credi di essere tanto diversa? Sono certo che Alshain e i tuoi preziosi Cavalieri Erranti avrebbero accettato un tuo rifiuto di combattere, non è vero?» Myrindar sussultò. «Oh, come non detto! Quanto mi dispiace! Vedi, Myrindar, quelli come noi non possono essere altro che schiavi.»

«Quelli come noi? Dannazione, Layrath! Tu non sei la tua maledizione! Non ci sei nato, con quel marchio, per gli dei, è stato qualcun altro a importelo. Il Sacerdote dei Demoni ti ha reso l'Aleestrya, ma puoi scegliere, puoi sempre scegliere! Puoi essere qualunque altra cosa, anche se lui ti ha convinto del contrario. Non sei uno schiavo più di quanto non lo sia ogni singolo soldato che sta combattendo e morendo in questa maledetta notte!»

Tremava. Rabbia, preoccupazione e tristezza si rimescolavano nella sua mente come un vortice.

Layrath non parlò. Aveva abbassato la spada e guardava un punto indefinito alle sue spalle, come perso. Allora Myrindar si accorse che se non voleva perderlo doveva fare l'ultimo tentativo, ora.

Gettò la spada a terra e avanzò fino a due metri da lui. Si inginocchiò a terra, lo sguardo deciso e fisso nei suoi occhi.

«Non rivolgerò più la spada contro mio fratello» disse. «Se credi in ciò che hai detto, uccidimi ora, perché io non combatterò più.»

Aleestrya [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora