Una variazione nell'oscurità. Un sussurro appena percepibile. Era un respiro nel buio, così lieve che nessuno l'avrebbe udito, nessuno oltre a lei.
Mya sentì chiaramente il sottilissimo cigolio della porta che si apriva, seguito da passi cauti e leggeri. La piccola camera era immersa nelle tenebre.
I passi si avvicinarono a lei, lenti, tesi. Erano i passi di piedi scalzi sul pavimento di legno, passi di qualcuno che tentava in tutti i modi di non farsi individuare. Ma lei era Mya. Lei avrebbe udito anche il più sottile fruscio. Il più infimo movimento.
Protetta dalla morbida oscurità della sua camera, Mya si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Non avrebbe mai imparato.
Il buio era suo alleato tanto quanto era nemico di quella persona che aveva mosso un ultimo, cauto passo verso il suo letto ed era saltato sul mucchio di coperte con un urlo di guerra. Ma Mya non era più lì. Nell'attimo di spaesata incredulità in cui il grido si spense, la ragazza aprì con un unico, deciso gesto le imposte, inondando la piccola stanza con la luce dell'alba.
I raggi del sole nascente abbagliarono un ragazzino piuttosto contrariato mentre tentava di riemergere dalla montagna di coperte dove si era tuffato.
«Uffa, Mya. Puoi anche lasciarmi vincere, per una volta.»
La ragazza davanti alla finestra sorrise.
«Certo che no. Se ti lascio vincere è un po' come se tu avessi perso, no? Perché in realtà ti ho aiutato.»
La faccia imbronciata del ragazzino mostrava chiaramente la sua opinione a riguardo.
«Te l'ho detto, Cody, non mi batterai mai.»
Il bambino sollevò il mento con fare sdegnoso. «Non è vero! Riuscirò a farti uno scherzo, sarò così bravo che prenderai uno spavento grandissimo!»
La ragazza scoppiò a ridere. Controllò che i lunghi guanti le coprissero interamente le braccia, e corse ad abbracciare il fratellino scompigliandogli i capelli già arruffati dalla notte. Cody si divincolò.
«Dai, Mya, piantala, mi stai stritolando...»
Mya rise ancora, e lo lasciò andare. Lui corse fuori dalla camera, ma appena sulla porta si bloccò, tornò indietro con un sorriso a trentadue denti e gridò: «Buon compleanno, Mya!»
Poi corse di nuovo via, e la ragazza scosse la testa, sorridendo.
***
Mya si spogliò con calma, mentre il vapore saliva dalla tinozza piena di acqua calda e cominciava a formare un'evanescente foschia bianca. Fuori dalla finestra, le campane del villaggio suonavano a festa, attutite dalla distanza. La ragazza sorrise: aveva la fortuna di festeggiare il suo compleanno il giorno della festa di primavera. Sua madre le preparava sempre una tinozza d'acqua calda per fare il bagno, poi avrebbe indossato il suo vestito più bello e sarebbero andati tutti al mercato del paese. E la sera avrebbero festeggiato con tutti i cibi buoni comprati là.
Ovviamente non era il suo vero compleanno. Quello era il giorno in cui, cinque anni prima, aveva incontrato la sua nuova famiglia. Non sapeva quand'era davvero il suo compleanno.
Cinque anni. Era davvero tanto tempo. Ora Cody aveva la stessa età di quando lei era arrivata lì, dodici anni.
Lo sguardo le cadde sullo specchio già appannato lievemente dal vapore. Tese un dito e scrisse il suo nome sul vetro, freddo sulla sua pelle. I suoi genitori adottivi le avevano insegnato a leggere e scrivere, ma aveva imparato tropo tardi, e ora aveva ancora una grafia esitante, da bambina. In un impeto di frustrazione passò la mano sullo specchio, cancellando la scritta.
Guardò il riflesso con curiosità. Non le capitava spesso di specchiarsi, visto che di solito usciva di casa solo per andare a caccia nel bosco poco distante con suo padre, oppure per lavorare al piccolo orto dietro casa, e per quelle cose certo non doveva prestare attenzione al suo aspetto. L'ultima volta che si era guardata era stato l'anno prima, che era stata anche l'ultima volta che era andata al villaggio.
La ragazza che la fissava dallo specchio era alta e pallida, magra come uno spettro, con due enormi occhi grigi da bambina, seminascosti da un ciuffo di ricci ribelli. Aveva diciassette anni, ma la ragazza nello specchio non ne dimostrava più di quindici, così mingherlina, e con quegli occhi che spiccavano sul viso bianco incorniciato da selvaggi capelli corvini.
Il suo sguardo scese giù, sul petto, e si impigliò sul marchio nero. Era proprio al centro, sullo sterno, e risaltava nerissimo sulla sua pelle così pallida. Non era mai sbiadito, in tutti quegli anni. Era rimasto sempre lì, come in agguato, aspettando di rubare un'altra vita. L'enorme ragno le ammiccava attraverso lo specchio, accarezzando il teschio su cui era adagiato, che sembrava schernirla con il suo ghigno e le sue orbite vuote.
La ragazza distolse lo sguardo, e si immerse nell'acqua calda.
***
«Mya, vieni qui un attimo.»
La madre adottiva era sulla porta della camera che la aspettava. La ragazza la seguì infreddolita, avvolgendosi un drappo intorno ai capelli gocciolanti. Steso sul letto c'era un vestito blu notte, semplice ma davvero bello, con il corsetto allacciato dietro e la gonna di stoffa lucida.
«Vorrei che tu oggi mettessi questo vestito.»
Mya guardò Alya con occhi sgranati. «Ma mamma, non posso. È il tuo vestito più bello...»
Il sorriso della donna sembrò illuminarle il volto e i caldi occhi marroni. Era sempre così: quando sua madre sorrideva, riusciva a far apparire un raggio di sole anche nel bel mezzo di una tempesta. Mya avrebbe tanto voluto essere come lei.
«Certo. È la tua festa, oggi.»
Mya allora sorrise. Lasciò che Alya la aiutasse ad indossare l'abito. Notò l'amore con cui compiva ogni singolo gesto, la cura con cui le stringeva i lacci del corsetto e le lisciava la gonna. Non contenta, le pettinò gli indomabili ricci e li asciugò con il drappo di stoffa.
Alla fine la portò davanti allo specchio, e Mya quasi non si riconobbe. Aveva i capelli intrecciati per lasciare scoperto il volto, invece che legati a casaccio con un nastro come faceva di solito, e quel vestito era troppo scollato e la faceva sentire leggermente a disagio. Ma sua madre era raggiante quando la guardava, e Mya decise che doveva farlo per lei che l'aveva presa in casa sua cinque anni prima, una bambina con una strana maledizione e un passato oscuro. Le era infinitamente grata perché le aveva dato qualcosa che non aveva mai avuto: una famiglia e un po' di amore.
La sua mente si riempì di immagini, all'improvviso, come talvolta le succedeva.
Il rosso fuoco di un tramonto.
L'odore di fumo in lontananza.
Le persone che gridavano e correvano da tutte le parti.
E poi il silenzio. E un viso gentile che strappava la solitudine del vicolo buio.
Capitava spesso che Mya si domandasse che fine avesse fatto Jahrien. Aveva fatto il conto che doveva avere vent'anni ormai. La ragazza aveva stampata indissolubilmente dentro di sé l'immagine del ragazzo che scompariva all'orizzonte seguendo un uomo enorme con un mantello nero svolazzante, l'immagine dell'ultima volta che l'aveva visto. Quella volta, lui si era voltato a guardarla e le aveva fatto un cenno con la mano, prima di girarsi e svanire dietro una curva del sentiero. Chissà cosa stava facendo in quel momento... qualcosa che aveva a che fare con azioni eroiche e battaglie grandiose, ne era certa – questo facevano i Cavalieri Erranti, in fondo. Chissà se pensava ancora a lei, la bambina con la strana maledizione... sicuramente no, era solo una tra le tante persone che aveva salvato in quella città; per lui, lei era insignificante.
Per lei, invece, lui era vita. L'aveva salvata.
Si riscosse. Cody la stava chiamando. Era tempo di andare.
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Aleestrya [Completa]
FantasyMyrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrind...