33. La Notte degli Spiriti

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Il silenzio dell'accampamento non era mai stato un silenzio completo. C'erano troppe persone, presenze, anime perché la notte non ne fosse in qualche modo turbata; anche quella precisa notte, che le leggende raccontavano come il momento in cui il mondo degli spiriti sfiorava il mondo dei vivi, là, nel cuore del campo, appariva meno spettrale ai suoi occhi.

Lei non aveva mai creduto più di tanto alle dicerie sulla Notte degli Spiriti, forse perché il suo potere di percepire l'aura magica attraverso il marchio le consentiva di verificare che non c'era nulla di diverso rispetto a qualsiasi altro momento. Però ne era comunque, in qualche modo, suggestionata.

Il primo novilunio d'inverno. La notte in cui tutto può succedere, diceva la tradizione.

Appena un anno prima, Myrindar aveva passato tutto il tempo a raccontare fiabe del terrore a Cody alla luce di candele di cera verde. Ora era seduta sulla terra battuta, in una tenda sgangherata; i soffici bagliori delle candele erano stati sostituiti dalle lingue di fuoco delle torce la cui luce filtrava oltre il tessuto, al posto delle storie c'erano i respiri di un intero esercito e i passi regolari delle sentinelle di pattuglia.

Cody... Altair, si corresse mentalmente. Era giusto che ora usasse il suo vero nome, e non il soprannome che gli aveva dato suo padre, ora che Mearth era morto. Aveva dodici anni ormai, e con tutto quello che era successo doveva essersi trovato costretto a crescere in fretta. La ragazza non se la sentiva più di riferirsi a lui con il nome della specie di scoiattoli che vedevano tutte le primavere dietro casa, e che lui adorava così tanto da meritarsi quello come soprannome.

Dodici anni... l'età che aveva lei quando Jahrien l'aveva salvata. Ma Altair non aveva incontrato nessun Cavaliere Errante, quella notte di quasi un anno prima, né l'aveva incontrato Mearth, o sarebbe ancora vivo. No, i cavalieri in cui si erano imbattuti loro erano tutt'altro.

Percepì il sapore del sale sulle labbra e solo allora si rese conto che stava piangendo, aveva le guance del tutto inondate di lacrime. Si sentiva svuotata. Le mancava la sua famiglia, le mancava Jahrien, anche se il ragazzo dormiva a qualche tenda da lei. Non voleva disturbare il suo sonno, era tornato quella sera da una ricognizione durata un'intera settimana; ogni persona in quel campo, di fronte alla battaglia imminente, provava il suo stesso sgomento, perché lei avrebbe dovuto fare pesare a Jahrien, che già aveva molto a cui pensare, la sua stupida malinconia?

Si strappò le lacrime dalle guance, si alzò in piedi di scatto gettando di lato le coperte che si era avvolta intorno e scostò il drappo che faceva da ingresso. Cominciò a camminare a caso per l'accampamento.

Non guardava dove stava andando e nemmeno le importava. Voleva solamente zittire la tempesta che le infuriava nella mente.

Superò le ultime file di tende e si trovò alle capanne dei rifornimenti. Oltre quelle, solo il perimetro sorvegliato dalle sentinelle, la barricata e poi la pianura. Lì, però c'era un po' di buio e più tranquillità. Aggirò la capanna più vicina e posò la schiena sulla parete; chiuse gli occhi e si concesse un lungo sospiro. Il legno sotto i palmi delle mani era freddo, come anche l'aria del buio, e lei era uscita solamente con addosso la tunica e il giustacuore di lana. Finché si muoveva, animata da quel sentimento cui non sapeva dare nome, a metà tra frustrazione e nostalgia, non aveva sentito il gelo, ma ora era scossa dai brividi.

Quattro giorni. Quattro giorni e potrei essere morta. Esalò un lungo respiro mentre la consapevolezza si faceva strada dentro di lei e la atterriva.

Colse un movimento alla sua sinistra, nel buio della capanna accanto. Eeshiv le stava venendo incontro con il suo incedere fluido nella sua lunga veste bianca; la chioma baluginava del suo lieve chiarore e lo faceva assomigliare agli spiriti che, secondo le leggende, quella notte facevano la loro apparizione nel mondo.

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