18. Sui bastioni di Antya

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L'odore di cenere, di metallo e sangue, di guerra si estendeva per leghe e leghe sulla pianura. I tre viandanti avevano cominciato ad avvertirne il sentore fin da quando erano scesi dalle montagne, avevano oltrepassato il confine con Thral ed erano usciti dalla protezione delle serpeggianti valli ancora incontaminate.

Per giorni il sapore di morte aveva aleggiato nelle mattine nebbiose dell'autunno come una lieve traccia, un presagio. E soltanto ora, quando dalle ultime propaggini delle morbide colline di Thral i tre viaggiatori si affacciavano sulla pianura, il presagio si era trasformato in una certezza.

Jahrien scrutava il paesaggio, inorridito e spaventato. Myrindar riusciva a cogliere sul suo volto ognuna di queste emozioni che si affastellavano una sull'altra come un castello di carte sul punto di crollare.

Quando rivolse il suo sguardo alla pianura, la disperazione la assalì. Colonne di fumo scuro sporcavano il cielo come cicatrici, alzandosi qua e là da villaggi devastati e razziati. La terra, bruciata e morta, si srotolava senza fine in tutte le direzioni. E lì, di fronte al suo sguardo costernato, dietro due accampamenti contrapposti, la sua città natale, Antya.

«Il fronte... è arretrato tantissimo» sussurrò, senza riuscire a trovare la voce.

«Soltanto una volta l'Usurpatore è riuscito a minacciare Antya, è stato cinque anni fa.»

Myrindar lo ricordava bene, quel giorno. Era stato quando Jahrien l'aveva salvata.

«Mi ricordo che l'esercito era stremato, infatti dopo una breve resistenza della città i loro comandanti hanno dovuto suonare la ritirata. Ora, invece... sembrano tutt'altro che prossimi a una disfatta» analizzò il giovane Cavaliere.

Eeshiv, silenzioso, osservava. Myrindar lo sbirciò con la coda dell'occhio. Chissà cosa il mago pensava di tutto quello. Da quel poco che aveva capito di loro, gli Elythra raramente andavano incontro a conflitti interni. Probabilmente Eeshiv, come il resto del suo popolo, considerava meschina la razza degli Uomini proprio per questo.

«Scendiamo. Abbiamo perso anche troppo tempo» scattò Jahrien, distogliendola dai suoi pensieri. Era arrabbiato per quella situazione: quasi sicuramente, se ne sentiva responsabile, sebbene non fosse così.


***


L'accampamento dell'esercito dei reami liberi si trovava praticamente sotto le mura più esterne di Antya. Era circondato da una lignea palizzata di protezione innalzata alla bell'e meglio, che in certi punti pareva essere sul punto di rovinare a terra da un momento all'altro. Le tende dei soldati erano erette disordinatamente intorno al padiglione di comando, e ovunque si respirava un'atmosfera di caos e continua tensione, ben diversa da quella che si era presentata davanti a Myrindar al suo primo ingresso nell'accampamento, risalente a qualche mese prima.

Quando i tre viaggiatori si erano presentati all'ingresso del campo, le due sentinelle di guardia avevano sgranato gli occhi come se avessero visto degli spettri. Era evidente che dopo essere spariti nel nulla per due mesi tutti li ritenessero morti.

Ora un soldato li stava scortando attraverso l'accampamento fin da Alshain. Chiunque incrociassero si fermava a osservarli, colmo di stupore, e poi prendeva a chiaccherare sottovoce con il vicino. Myrindar coglieva indistintamente parole come "Elfo", "strega", "spettro".

Il comandante non fece una piega mentre Jahrien descriveva i due mesi nel regno sotterraneo degli Elythra, mentre Eeshiv annotava nelle sue pergamene qualunque cosa catturasse la sua attenzione.

«Ma ora dimmi» chiese il ragazzo con apprensione «cos'è successo? Perché il fronte è arretrato cosi tanto?»

Alshain corrugò la fronte, preoccupato. Myrindar osservò che dall'ultima volta sembrava molto invecchiato: il suo volto era un intrico di linee, profonde occhiaie segnavano i suoi occhi stanchi del peso del comando, e i suoi capelli, un tempo neri, ora erano completamente ingrigiti.

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