29. Verso terra

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Sciabordare d'onde che si frangevano contro la chiglia, cigolii e schiocchi dei legni e delle cime tese tra vele e alberi, le voci indistinguibili dei marinai, gli ordini gridati; e poi il vento, che impattava sulla tela sospingendo la Drago Bianco verso i Regni dell'Ovest.

Solo quei suoni giungevano a Myrindar, nel buio degli occhi chiusi, avvolta nel suo mantello pesante a gambe incrociate sul cassero. La mente vuota e proiettata fuori da sé, Myrindar percepiva con straordinaria chiarezza ogni cosa – il legno umido e screpolato su cui poggiava i palmi, i ricci che le schiaffeggiavano il viso e il collo, l'odore della salsedine; il rollare ritmico della nave sulle onde, sporadici spruzzi d'acqua che arrivavano a pungolarle la pelle, il tepore del Craidhal sul suo petto, sotto la camicia.

Non era ancora l'alba e il gelo mordeva con la furia delle bestie. Pochi della ciurma erano già fuori, e nessuno dei passeggeri oltre lei e Jahrien, i cui passi verso di lei producevano leggere vibrazioni all'impatto con il legno.

«Non è saggio fare gli esercizi di concentrazione con questo freddo» mormorò il giovane, prendendo posto accanto a lei. Prima di riemergere e accelerare il respiro, Myrindar avvertì il calore e l'energia magica che promanavano da lui, e ne fu sorpresa: non era mai sprofondata così intensamente in se stessa.

«Tanto non avevo freddo» gli rispose, squassata da improvvisi brividi.

«Ma ora sì. E dovresti riposarti e dormire, sei stata sveglia tutta la notte.»

Myrindar non rispose. La notte scorsa aveva dormito poco e male, soverchiata dal senso di colpa e dalla preoccupazione. Dane era poco distante da lei, oltre una semplice parete di legno, in pericolo di vita, assistito da Tarazed e Jahrien che, sfruttando tutti i loro poteri di Cavalieri Erranti e la magia che scorreva nel sangue misto del giovane, tentavano di trattenerlo con loro.

«Come sta?» disse invece. I suoi occhi fluttuavano sul ponte senza fermarsi su nessun dettaglio, alla deriva.

«Meglio, ora. Si riprenderà, vedrai.»

La ragazza si voltò a guardarlo. Alcune ciocche sfuggivano alla treccia, che alla luce scarsa dell'aurora pareva quasi argentea, e guizzavano come fiamme fredde all'aria scoprendo le orecchie a punta, ma lui non se ne curava. I suoi occhi fissavano senza guardarle le fasce che gli avvolgevano i polsi e le mani che ne tormentavano senza sosta un brandello sfilacciato; cupi, si perdevano nell'ombra tra la fronte aggrottata e le occhiaie livide sul suo volto disfatto. Nemmeno lui aveva avuto sonni tranquilli, da quando avevano lasciato le Isole.

E come avrebbe potuto? Sua sorella è là.

La sorella di Jahrien, la sua unica amica. E Dane, che con quella guerra non aveva a che fare, ora era disteso tra le lenzuola, pallido e svenuto. E suo padre era morto, e chissà quanti altri degli abitanti di Tadun, e chissà quanta altra gente.

Ognuno di noi avrà perso moltissimo prima che tutto questo sia finito.

E lei aveva un'enorme, colossale responsabilità in quella guerra, perché solo lei poteva fermare Layrath. Di colpo il Craidhal appeso al suo collo si fece pesante.

«Cosa succederà ora?» sussurrò.

«Ho contattato Alshain in sogno, la notte scorsa» rispose lui, passandosi le dita sugli occhi per scacciare la stanchezza, «Più o meno tre settimane fa un'avanguardia elfica si è unita all'Esercito Libero. Grazie a loro – e al fatto che Layrath non sembra più partecipare ai combattimenti – sono riusciti a prendere Thora in due giorni, e da lì l'esercito di Uthrag si è scompaginato. Tra una decina di giorni arriveranno a Sham, insieme con i due plotoni di Elfi che i Consiglieri di Gylne Lyset hanno inviato. Noi risaliremo il fiume Lokra e arriveremo direttamente là.»

Myrindar spalancò gli occhi. «Vuole attaccare direttamente la capitale?!»

«Ha deciso di sfruttare quest'occasione. Potrebbe essere quella definitiva di concludere la guerra, ora che abbiamo anche gli Elfi con noi.»

La giovane non rispose, sopraffatta dalla consapevolezza che entro due settimane, forse, tutto si sarebbe concluso. Entro due settimane affronterò mio fratello.

Sarebbe stata pronta, entro quattordici miseri giorni?

No, si rispose subito dopo. Per una cosa come quella nessuno poteva essere pronto.

***

Anser.

Non vedeva nulla attorno a sé. Tenebre liquide scorrevano in ogni dove, impedendogli di distinguere il sopra e il sotto, come se galleggiasse in un nulla indefinito. La voce gli era giunta lontana, soffocata dall'oscurità, distorta fino a diventare irriconoscibile.

Anser, mi senti?

Il lampo di un ricordo apparve a illuminare quel nero. Fiamme divampavano in ogni dove; la sua gola bruciava, irritata dal fumo che lo faceva tossire; i suoi muscoli dolevano dalla fatica di continuare a combattere malgrado la stanchezza. E poi l'angolo di una strada, il lampo di una spada, il vuoto.

L'avevano tramortito e imprigionato, concluse. Doveva sforzarsi per allineare i pensieri; scorrevano melmosi, densi, come impediti da qualcosa.

Se lui era caduto significava che l'insurrezione era fallita. Oppure i suoi avevano seguito i suoi ordini e avevano seguito il piano fino in fondo, e ora la città era divisa in due e contesa?

Maledizione, Anser, ascoltami!

Conosceva quella voce, ora che la sentiva più chiaramente. Un altro lampo attraversò il buio, un volto: una ragazza dalle curiose orecchie a punta sotto i capelli biondi e grandi occhi dorati. Keeryahel.

Che ci faceva lei lì? Ma dov'era questo ?

Keeryahel?, la chiamò. La sua voce rimbombò tra le volte delle tenebre nonostante lui non avesse fiatato.

Anser!, rispose lei. Il sollievo colorava quella semplice parola, il suo nome. Non ero certa che questa magia funzionasse, ho voluto provare.

Dove siamo?, chiese il giovane. Sondava tutto intorno con lo sguardo per vederla, ma non la trovava. La sua stessa voce sembrava provenire contemporaneamente da ogni direzione e da nessuna.

In un sogno, disse. Purtroppo non posso fare altro, mi hanno addormentata perché non usi la magia per fuggire. Ci hanno imprigionati entrambi, questo era l'unico modo che avevo per parlarti.

Anser annuì, ammirato dalla sua determinazione, prima di ricordare che lei non poteva vederlo.

Va bene. Qual è il piano? Cos'è successo finché ero svenuto?

Non lo so, si rammaricò lei. Un sospiro crepitò nell'aria nera. Non riesco a introdurmi nei sogni delle persone con cui non ho avuto un contatto visivo.

Mano a mano che il tempo passava, la nebbia che gli stritolava la mente si stava disperdendo. La scoperta di questo potere posseduto dalla ragazza aveva cambiato ogni cosa: potevano andarsene. Doveva solo elaborare un piano.

Aleestrya [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora