Capitolo 1

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Proprio quando pensavo che la giornata non potesse andare peggio, vidi il professore di matematica, il professor Montgomery, che se ne stava in piedi vicino al mio armadietto a battere il piede impazientemente.
June, la mia migliore amica, continuando a parlare, non si era accorta del professore.
«Roxanne, mi stai ascoltando?», domandò June.
«Sì, certo, mi stavi parlando di Tyler», commentai distratta.
«Secondo te a lui piaccio? Lui sostiene che sono carina, ma non so se quell'aggettivo lo intende come un'amica o come la sua ragazza. Capisci cosa intendo?».
«Secondo me gli piaci», tagliai corto, altrimenti mi avrebbe trattenuta tutto il pomeriggio. «June ci sentiamo dopo, ora devo andare; mi aspetta una sgridata da Montgomery», dissi, indicando con la testa nella direzione del professore.

Conoscevo June Carter da quando eravamo piccole. Era una di quelle persone che per te avrebbe fatto qualsiasi cosa; era energica e piena di vita. Ultimamente usciva con Tyler Park, il ragazzo della squadra di football di cui lei era cotta dalla prima superiore.

Camminai verso l'insegnante; mi sembrava di andare al patibolo. Eravamo uno davanti all'altra.
«Signorina Ford, è la terza volta che arriva in ritardo alle mie lezioni. Resterà in punizione per due settimane!», disse senza riprendere fiato, come se fosse stata una lunghissima ultima sentenza.
«Professore, non volevo. È tutta colpa del mio motorino e poi due settimane non pensa che siano esagerate?», protestai.
«Vada nell'aula 111 e non me lo faccia ripetere».
«Ma...»
«Subito!», ordinò furioso.
Me ne andai infuriata.
Tutta colpa di quel catorcio di motorino che mi ritrovavo!
Mandai un messaggio a June per dirle della punizione e andai nella stanza 111.
L'aula era grande ed ospitava molti banchi quasi tutti occupati da studenti che avevano infranto delle regole scolastiche. Mi sedetti tra un ragazzo del primo anno e una ragazza dark dell'ultimo.
La punizione non finiva più, le lancette dell'orologio sembravano rallentare a ogni rintocco. Quando sentii la campanella, mi precipitai fuori, presi il catorcio e andai a casa. A metà strada circa il motorino si fermò.
«Non è possibile!», gridai in mezzo alla strada.
Accostai e chiamai June, che poco tempo dopo mi venne a prendere con il suo maggiolino giallo. Le raccontai cosa mi era successo da quando ci eravamo lasciate.
«Sei in punizione e in più il tuo motorino non funziona; sei proprio sfortunata!», commentò scherzosamente.
«No, sono proprio sfigata, è diverso!». Mi rispuntó il sorriso.

La mia città si chiama Oldwood, è un paesino disperso nel verde nello stato del Massachusetts, non molto distante da Boston. La cittadina prende il nome dal suo fondatore, Phineas Oldwood. Non è molto grande, è una di quei posti dove tutti si conoscono e si salutano, dove ci si può immergere nella natura, dimenticare i problemi quotidiani per qualche secondo e perdersi nel profumo di conifere tipico di casa.

Il bosco si apriva davanti a me e ogni volta il richiamo era forte; scossi la testa e ritornai in me.
June parcheggió nel vialetto ed entrammo in casa. Sentii dei rumori in cucina: era mia madre che era indaffarata a preparare la cena.
«Tesoro, com'è andata la giornata? Ciao anche a te, June», disse mia madre sbucando dalla porta della cucina. June salutò di rimando.
«Quel catorcio di motorino mi ha fatto arrivare in ritardo a scuola e così il professore mi ha messa in punizione, mi ha lasciato in mezzo alla strada ed è dovuta venire June a raccattarmi!», spiegai furiosa.
«Tesoro, che ne dici se per un po' prendessi l'autobus e, intanto, io e tuo padre ne prendiamo uno nuovo?».
- Che ne dite se accompagno io Roxanne a scuola?- guardai la mia amica e mimai con le labbra un "ti voglio bene" e lei ricambió con un sorriso affettuoso.
Cominciammo a mangiare e dopo cena June se ne andò, mentre mio padre rincasò.
- Papà, com'è andata?-
- Ancora niente- disse sospirando.
Mio padre era giornalista presso una rete televisiva di Boston ma era qualche tempo che non trovava notizie degne di nota.
Gli diedi un bacio sulla guancia e me ne andai in camera mia a leggere una rivista, ma venni interrotta dalla mia gattina che era appena entrata dalla porta. Si coricò sulle mie gambe e al mio tocco cominciò a fare le fusa come un trattore.
Andai a dormire verso le undici.
Mi svegliai alle due di notte a causa di un rumore strano. Dalle persiane entrava una luce argentea che mi colpì in pieno viso, le aprii e guardai fuori dalla finestra. Era una notte fredda e lugubre, solitamente il bosco era un luogo in festa di notte mentre adesso era tutto troppo silenzioso.
All'improvviso da una zona imprecisata degli alberi si levò un suono gutturale e agonizzante, un brivido mi percorse tutto il corpo. Ebbi così paura che decisi di andare da mio padre. Attraversai il corridoio con gran velocità ed entrai nella stanza dei miei genitori.
- Papà!- sussurrai, non ottenni risposta.
- Papà, svegliati!- stavolta lo spinsi anche col palmo della mano.
Mio padre emise un suono incomprensibile.
- Papà, vieni un attimo in camera mia!- sussurrai per non svegliare mia madre.
- Cosa succede?- chiese sbadigliando.
- Vieni e basta!
Si mise le ciabatte e tentennante mi seguì nella mia stanza.
Gli spiegai velocemente la situazione.
- Ci sono tanti animali selvatici nel bosco. Tentò di dare una spiegazione all'accaduto.
- Non era un animale!-, chiarii singiozzando, una lacrima scivolò sulla mia guancia.
Mi strinse forte tra le braccia e mi disse che non mi dovevo preoccupare e che sarebbe andato tutto bene.
Guardai di nuovo fuori dalla finestra, il cielo era cambiato e ora si poteva vedere una grandissima luna piena; diressi lo sguardo verso il bosco e vidi qualcosa di davvero inaspettato...
Là, ai piedi della radura, vi era un uomo non molto muscoloso e magro con una cicatrice profonda sul costato. Come facevo a saperlo? Era completamente nudo!
Cominciai a ridere come una sciocca.
Sembró avermi sentito perché si girò verso di me e mi paralizzai di colpo. In un battito di ciglia scomparve come se fossi stata in un sogno. L'unico particolare del viso che non potrò mai dimenticarmi erano quegli occhi luminosi e ambrati.

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