Capitolo 24

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Lì, in quel tetro reame, si trovava davanti a me l'Alfa. Me l'ero immaginato migliaia di volte, eppure non lo avevo mai pensato con quelle fattezze. Non era molto alto e neanche massiccio, come nei miei pensieri. Il volto era scarno e magro per l'età. Un'articolata cicatrice andava dal sopracciglio sinistro allo zigomo che non gli permetteva di aprire l'occhio, mentre l'altro era di un grigio argenteo. La sua bocca era bloccata in un ghigno compiaciuto e sotto al suo mento c'era una strana rientranza; doveva essere la ferita che gli avevo procurato. Al ricordo di quell'infelice notte, mi portai istintivamente la mano al mio ciondolo.
Eppure quello sconosciuto aveva qualcosa di familiare...
- Chi sei!-, gridai.
- È solo un ricordo-, confessò la succube con voce suadente. Strisciò al mio fianco in una nube oscura.
- Che posto è questo?
- Ci troviamo nel suo subconscio.
- Ma quelli di prima erano miei sogni...
- Quando ti sei gettata dal dirupo hai lasciato la tua mente e sei entrata nella sua.
- Com'è possibile?- mi sorrise malignamente, ma non rispose alla mia domanda.
Avanzai verso di lui, ma scomparve.
- Dov'è andato?
- C'è un pedaggio da pagare, se ti vuoi inoltrare nella sua memoria-, disse dietro di me.
- Pagheró.
Stesi il braccio e mostrai la ferita alla mano.
La donna venne risucchiata dall'ombra che proiettavo e ricomparve davanti a me.
Annusò la mia mano e gemette di piacere.
Spinse via il mio braccio e con i suoi lunghi artigli mi lacerò la pelle del collo.
Cominciò a nutrirsi del mio sangue. Le gambe si facero deboli, la vista si annebbiò e il cuore rallentò.
All'improvviso sentii una voce chiamarmi da qualche posto lontano.
Roxanne...
Cosa sarebbe successo nel mondo reale se fossi morta in quel posto?
La donna si staccò dal mio collo, si leccò avidamente il sangue rimasto sulle sue lunghe unghie e mi lasciò lì da sola con l'eco della sua risata come sottofondo.
Mi lasciai andare...

Quando rinvenni non ero più in quel posto angusto; mi trovavo in un bosco in inverno, sembrava di stare in un vecchio film in bianco e nero. Cominciava a nevicare e il freddo mi intirizzì le membra. Decisi di cercare un posto in cui riposare. Camminai per molte miglia, finché trovai un paesino completamente distrutto. Sembrava ci fosse stata un grosso incendio e che si fosse propagato per l'intero villaggio. Camminavo tra cumuli di macerie e tizzoni ancora ardenti, cercando aiuto, ma la città era completamente disabitata.
Là, in fondo alla strada, si trovava la chiesa che continuavo a trovare nei miei incubi.
Avevo paura ad entrare, dato che tutte le volte bruciava, ma era l'unico posto ancora con un tetto e quattro mura.
La chiesetta era stata tinta con mano frettolosa di bianco, il tetto era grigio scuro e accoglieva il campanile.
Aprii la porta e una ventata di aria satura mi investì. Non era molto grande, poteva contenere al massimo una sessantina di persone. Sembrava non ci andasse nessuno da molto tempo; infatti le panche in legno erano ricoperte da grossi teli bianchi; ne tolsi uno e da lì sotto uscì il tanfo di legno marcio. Nell'aria c'era una grossa concentrazione di pulviscolo che mi fece starnutire, facendo riecheggiare il suono in tutto l'edificio. C'erano grosse vetrate colorate che riflettevano la poca luce che riusciva ad oltrepassare lo strato di sporco che si era depositato con gli anni su di esse. Andai nella sacrestia per vedere se c'era qualcosa di utile per riscaldarsi, ma non trovai altro che libri e oggetti per le cerimonie. Controllai la porta, ma era chiusa dall'esterno, perciò tornai all'ingresso.
Stavo per sedermi su una delle panche, quando un rumore mi mise in allerta. Mandai giù il groppo che avevo in gola e mi guardai attorno, ma non vidi nulla, forse era solo un ratto. Sentii di nuovo quel suono, pareva che qualcuno stesse trascinando qualcosa. A causa del rimbombo, sembrava che il fruscio provenisse da tutte le direzioni.
Mi avvicinai ad una delle panche, quando qualcosa mi strattonò la gamba e mi fece cadere a terra: un cadavere mi stava graffiando la gamba. Cominciai a divincolarmi, ma la sua stretta era salda e non voleva lasciarmi andare. Poi un altro morto cadde sull'altro e cominciò a lacerarmi il busto. Diedi loro dei calci e finalmente riuscii a liberarmi, ma qualcuno dietro di me mi afferrò: ne erano comparsi altri due. Sotto quelle orbite profonde e la pelle coriacea, riconobbi i loro visi: i primi erano i due lupi mannari che Derek e Alec avevano ucciso, i secondi erano Lucas e l'uomo che avevo trovato morto nel bosco.
Scappai vicino all'altarino, ma quelle creature erano decise ad uccidermi. Lanciai loro contro tutto ciò che trovavo, ma niente li scalfiva. Altri due cadaveri si unirono alla festa, erano i due cacciatori trovati morti nel bosco. Le loro teste pendevano in modo innaturale sui loro corpi senza vita.
Continuavano ad avanzare, poi qualcuno aprì la porta dell'ingresso e lanciò una torcia accesa sui vecchi teloni ingialliti, che presero immediatamente fuoco.
Roxanne...
Una voce continuava a chiamarmi imperterrita, ma in quel momento avevo altri problemi per la testa.
Corsi verso l'ingresso, ma era stato bloccato. Ero in trappola.
Mi ricordai che dall'esterno avevo visto il campanile.
Schivai due morti e mi lanciai verso la mia unica via d'uscita, ma venni intercettata dal giovane lupo mannaro morto.
Più aspettavo e più le mie possibilità di sopravvivenza diminuivano. Presi uno dei teloni ancora integro, poi lo incendiai e lanciai il panno infuocato contro il nemico che cominciò a strillare in modo spaventoso; così terribile che mi fece accapponare la pelle.
Lo superai e corsi su per la cedevole scaletta in legno che portava al campanile.
Le fiamme cominciavano a divampare e tutto si stava sgretolando. Arrivata in cima scavalcai il muretto e mi ritrovai sul tetto. Dalle tegole salivano dei riccioli di fumo e cominciavano a scottare. Osservai attentamente dove mettere i piedi, ma una parte di tetto crollò e scivolai giù, ma per fortuna riuscii ad ancorarmi ad una delle tegole. Osservai l'orrido spettacolo che stava avvenendo sotto di me. Le travi si piegavano su se stesse e le panche erano diventate legna da ardere. I morti si contorcevano e morivano, trasformandosi in cenere.
Mi feci forza con le braccia e riuscii a tirarmi su. Camminai carponi fino al limite della tettoia e poi guardai giù. Non era una caduta da poco, ma se non mi buttavo avrei fatto la fine di quei mostri.
Cercai il punto giusto dove potermi lanciare e trovai una piccola cunetta innevata che poteva attutire la mia caduta. Appena saltai, venni catapultata in un nuovo scenario: ero sempre in una foresta coperta dalla neve, ma sembrava quella di Oldwood.
L'impatto sulla neve fu dolorosissimo, avevo le gambe in fiamme e nella caduta avevo colpito con il torace il terreno, perciò cominciai ad ansimare.
Mi voltai a pancia in su e rimasi distesa nella neve a riprendere il controllo sul mio corpo. Mi trascinai fino alle radici di un albero bianco. L'Alfa arrivò sogghignante ai miei piedi, mi prese per i capelli, così che potessi vederlo in viso. Mi appoggiò sul petto, dove era situato il cuore, un pugnale dal metallo lucente. La punta bucava dolorosamente la mia pelle.
- La madre, il padre e il figlio-, recitò, poi spinse il coltello nel mio petto. Sentii la lama andare in profondità e lacerarmi la pelle, i tessuti e i muscoli. Dalla ferita sgorgò molto sangue che tinse di un rosso intenso le radici su cui mi trovavo. La vita stava scorrendo via dal mio corpo, quando sentii un sussurro.
Svegliati...
Quella voce si propagò per tutto il bosco, come se fosse stata trasportata da un vento caldo, che mi rianimò. Mi aggrappai saldamente al suono di quelle parole e finalmente mi svegliai da quel terribile incubo.

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