Quella mattina quando suonò la sveglia, capii dal primo istante in cui aprii gli occhi che sarebbe stata una giornata pesante. Mi misi stancamente a sedere sul letto e mi stiracchiai bene i muscoli, poi andai alla finestra: durante la notte aveva nevicato sulla piccola cittadina di Oldwood e le strade erano ricoperte da un sottile strato biancastro. Amavo la neve, dava quella sfumatura un po' malinconica alla stagione che già di per sé era delle tonalità grigiastre. Potevo stare delle ore ad osservarla depositarsi placida sul terreno, ma ero in ritardo e dovevo sbrigarmi.
Andai a fare una colazione lampo, non potevo rinunciare ai Conte Chocula! Mi vestii in fretta e scesi al piano di sotto. Quella mattina avevo scritto a June di non venire perché mio padre aveva deciso di accompagnarmi lui a scuola.
Corsi in macchina e mi sedetti sul sedile del passeggero cullata dal calore dell'auto.
Durante il tragitto non conversammo molto. Quando arrivammo davanti al liceo decise di parlare.
«Roxanne, volevo chiederti scusa per ieri sera.»
«Papà, non sono io quella con cui ti devi scusare». Gli diedi un bacio sulla guancia, presi lo zaino e uscii dalla macchina e lui andò con tutta fretta in redazione.Stranamente il mio cervello mi aveva fatto dimenticare che una settimana prima, vicino a casa mia, erano stati uccisi tre miei compagni di scuola. Non appena varcai la soglia della Oldwood High School, tutti gli occhi si fissarono su di me, come se pensassero fossero mie le mani insanguinate che avevano commesso quei terribili omicidi. Mentre attraversavo il grande corridoio che conduceva all'aula di scienze, percepivo dei sussurri e delle voci. Gente che mi fissava e poi abbassava lo sguardo non appena mi avvicinavo, altri che parlavano e poi smettevano in mia presenza. Camminai a testa alta, le persone si spostavano al mio passaggio come i grandi conquistatori, ma l'unica cosa che avevo conquistato era il disprezzo da parte della mia gente, quella che avevo tentato di salvare invano. Entrai in aula e tutti i ragazzi che parlavano e scherzavano giocosi, smisero immediatamente di ridere e cominciarono a schivare il mio sguardo. Mi sedetti in fondo all'aula e nascosi il viso dietro il libro di biologia. Non desideravo mi vedessero in procinto di piangere.
«Roxanne?», domandò qualcuno oltre l'interessantissimo manuale. Alzai il viso e oltre le pagine bianche spiegazzate, vi era la folta chioma selvaggia della mia amica Megan.
«Ciao Megan», risposi. Si sedette al banco accanto al mio e si scrutò attorno.
«Che fine avevi fatto? Molti dicevano che ti eri nascosta, perché sei tu la colpevole», sussurrò.
«E tu ci credi?», domandai fingendo disinteresse.
«Certo che no!». Tirai un sospiro di sollievo, almeno una dalla mia parte.La lezione iniziò. Come al solito il professore indossava un completo dal gusto discutibile. All'improvviso qualcosa atterrò sul mio banco. Era un areoplanino di carta, realizzato frettolosamente. Lo aprii e rimasi ferita dallo scarabocchio all'interno. Il disegno raffigurava me con in mano due teste mozzate con scritto in fronte il nome dei due miei amici e sotto c'era una domanda scritta in modo sbrigativo: "chi sarà il prossimo?".
«Che succede?», domandò Megan perplessa, vedendomi visibilmente sconvolta. Mi prese dalle mani il foglio e lo studiò attentamente. Sul suo viso comparve un'espressione di disgusto. Poi si guardò attorno e vide tre ragazzi che sghignazzavano e sorridevano malignamente nella nostra direzione. Megan ricompose l'aereoplanino, ci soffiò sopra e mirò uno dei tre ragazzi dritto nell'occhio. Il bersagliato si alzò portandosi una mano al viso.
«Tu, brutta...». Tutti fissarono il ragazzo incuriositi.
«Ha qualcosa da aggiungere sugli elementi che compongono una cellula eucariote?», domandò il professore.
«N-no...». Biascicò lui.
«Allora si sieda e continui a leggere». Lanciò un ultimo sguardo furioso a Megan e poi si mise a leggere faticosamente con l'occhio ancora funzionante.
«Che mira!», sussurrai compiaciuta alla mia amica e lei mi sorrise di rimando.La lezione proseguì fino al suono della campanella. Io e Megan ci dirigemmo insieme verso il secondo plesso e poi ci dividemmo per andare ognuna alla propria lezione. Stavo pensando a quanto mi fossi affezionata a Megan, quando Tyrone apparve all'improvviso dietro di me e mi fece prendere uno spavento.
«Lo sai che dovresti aiutarli i ragazzi e non fargli venire dei problemi psicologici?», commentai sarcasticamente, mentre ascoltavo l'assolo del tamburo nel mio petto. Il suo sorriso colpevole mostrò i candidi denti bianchi.
«Non pensavo di fare questo effetto sulle donne», scherzò. Sentii le mie guance infiammarsi.
«Roxanne, che ne dici se durante la pausa pranzo venissi nel mio ufficio per una chiacchierata?»
«Ho fatto qualcosa di male?», domandai preoccupata.
«Dimmelo tu». Osservai la sua espressione, ma riusciva sempre a non far trapelare niente. Il suo volto era come una tela bianca.
«Ora devo andare in classe, ci vediamo». Tagliai corto la questione.
«Ci conto.» Mi fece l'occhiolino e se ne andò.
Corsi alla mia lezione successiva e, per colpa di Tyrone, arrivai con qualche minuto di ritardo. Il professor Montgomery, che teneva molto alla puntualità, per qualche strana ragione non mi redarguì come al solito. June mi fece segno di sedermi accanto a lei. Notai gli sguardi di biasimo dei miei compagni che, invece, avrebbero preferito che mi sedessi, non altrove, ma proprio su un altro pianeta.
«Non ci sentiamo da quando hai scoperto del nuovo paparino!», disse June scontrosa.
«Ti ha raccontato tutta la storia?», domandai.
«L'ho costretto e dopo un po' ha ceduto, altrimenti non ti avrei scritto il messaggio.»
«Scusami se non ti ho fatto più sapere nulla, ma avevo un sacco di cose per la testa.»
«Immagino...», convenne con me.
«Però vorrei sapere come stai.»
Il professore venne ai nostri banchi e con timore ci chiese di fare silenzio. Mi accorsi che lo sguardo di Montgomery era sfuggente e non voleva posarsi sui miei occhi. Qualcosa di positivo da questa storia era finalmente accaduto: non mi sarei beccata una punizione per molto tempo.
Al suono della campanella, io e June, ci dirigemmo verso l'edificio a est per la pausa pranzo, quando mi ricordai che dovevo passare nell'ufficio del consulente scolastico.
«Scusa June, mi ero dimenticata che sono stata convocata nell'ufficio di Tyrone». Sembrò rimanerci male.
«Da quando lo chiami per nome?». Mi ero appena resa conto che nessuno a parte Meg sapeva che mi stavo allenando in segreto con loro.
«Stasera vieni a dormire a casa mia, così ti racconterò tutto.»
«Non c'è anche la strega, vero?».
«No, Megan non ci sarà.»
«Ottimo», disse quell'ultima parola e si dileguò.
Mi diressi verso il lungo corridoio che portava all'ufficio di Tyrone e mi sedetti nella piccola sala d'aspetto, perché la vecchia segretaria, che si occupava delle questioni burocratiche, mi avvertì che c'era già una studentessa nella stanza. Attesi pazientemente il mio turno e, intanto, mi mangiai il mio tramezzino al prosciutto. Da dietro la esile porta in compensato, potei udire due voci che stavano discutendo animatamente, poi si spalancò e vidi uscire Megan visibilmente sconvolta. Quando mi vide, notai il suo stupore negli occhi e un lieve senso di vergogna.
«Megan, stai bene?», domandai turbata.
«Non ti preoccupare, va tutto bene». Se ne andò di fretta.
«Accomodati, Roxanne», disse con tono pacato anche se riuscivo a percepire del nervosismo nel suo tono. Tentennai per pochi secondi, seguendo con lo sguardo la mia amica mentre si allontanava scontrosamente. Entrai e mi sedetti alla solita sedia davanti alla scrivania, seguita da lui. Mi guardai attorno e notai che tutto ciò che si trovava negli scatoloni, era stato accuratamente riposto.
«Noto che ti sei sistemato». Osservai.
«Sì, ho avuto del tempo libero e mi sono organizzato.»
«Perché Megan è uscita da qui così sconvolta?».
«Mi spiace, ma ciò di cui parlo dentro queste piccole quattro mura con uno studente, rimane sigillato qui», commentò, sviando la domanda.
«Veniamo a noi: hai riflettuto sul perché ti ho convocato qui?». La domanda mi destabilizzò.
«Sinceramente no...», risposi. Lui unì le dita e formò una specie di triangolo.
«Il preside mi ha chiesto di parlarti, ma avevo intenzione di farlo anche senza il suo suggerimento». Cosa avevo fatto da essere interpellata addirittura dal preside?
«Non so a cosa ti riferisci.»
«Sono stati ritrovati tre corpi vicino a casa tua, proprio durante la festa che avevi organizzato». Sentivo una morsa di paura lacerarmi lo stomaco.
«Parla chiaro», dissi, mettendomi sulla difensiva.
«Voci di corridoio dicono che tu sia stata a fare quel massacro, ma la polizia non ha trovato alcuna traccia per incastrarti. Devi sentirti al quanto scossa.»
«Non è piacevole ritrovarsi la polizia a casa ogni tre per due», asserii. La ferita ormai quasi del tutto rimarginata cominciava a pizzicarmi, come se volesse urlare la mia colpevolezza.
«Raccontami un po' cosa è successo e come ti senti al riguardo». Mi guardava dolcemente con i suoi piccoli occhi neri, come se fosse il mio migliore amico, pronto ad ascoltare ogni mio tormento. Dovevo ammettere che era davvero bravo nel suo lavoro: ti metteva a tuo agio con il suo comportamento amichevole e poi lasciava che ti aprissi in modo naturale, così che ti potessi fidare di lui; eppure una parte di me, non riusciva a confidarsi con lui. Sapevo che sotto quel sorriso accondiscendente si celava molto di più.
«Ho già raccontato tutto alla polizia, non mi va di rivangare la storia». Tentai di tagliare corto la questione.
«Hai ragione, deve essere molto brutto ricordarsi quel terribile accaduto, ma vorrei sapere cosa provi. Non devi tenerti tutto dentro, altrimenti esploderai come una bomba a orologeria.»
«Credo di stare bene». Mentii a Tyrone e a me stessa.
«Davvero, Roxanne? Io credo che tu stia reprimendo un grande dolore dentro di te. Nel giro di due mesi hai perso i tuoi due amici e hai visto ucciderne altri due e, nonostante ciò, chi ti sta vicino non capisce cosa tu stia passando e credono che tu sia stata a commettere quelle atrocità». Rimasi in silenzio cercando di mantenere la calma.
«E i tuoi amici non capisco il vuoto che si è creato dentro di te che niente potrà riempire. Pretendono che tu sia forte e combattiva...»
«Basta», sussurrai.
«Roxanne, io so le atrocità che hai dovuto sopportare e quanto sei cambiata per poterle affrontare, ma non devi respingerle.»
«Adesso basta!», urlai. La mia mano reagì d'istinto, non riuscii a controllarla, stavo per colpire il consulente sulla sua liscia pelle d'ebano, quando lui intercettò lo schiaffo e, prima che lo potessi colpire, mi afferrò il polso e lo strinse.
«Roxanne, devi sfogare tutta la rabbia che hai e lasciarla uscire». Mollò la mia mano e ritornò nella stessa posizione pensierosa iniziale. Sentivo ancora l'adrenalina che mi scorreva in tutto il corpo e scandiva il ritmo del mio petto. Feci un respiro profondo e tentai di controllare il battito cardiaco.
«Hai tutta questa rabbia da sfogare e per poterla trasformare in energia positiva ti serve qualcosa per scaricare tutta questa tensione; per questo ti ho invitato agli allenamenti, ma senza costanza non riuscirai mai a sconfiggere il demone che hai dentro.»
Le lacrime cominciarono a scorrere libere, niente le stava più trattenendo. Mi portai le mani agli occhi, mi vergognavo a farmi vedere da lui in quello stato.
«Sfogati». Tirai su col naso e mi asciugai gli occhi con un fazzolettino che mi aveva porto Tyrone.
«Prometto che frequenterò di più se mi aiuterà a star meglio.»
«È quello che volevo sentirti dire», disse con un sorriso smagliante.Uscii dal suo ufficio con ancora gli occhi gonfi e il naso rosso per il pianto. Mi diressi in bagno e mi sistemai un po'. Il mio viso era uno strazio, dovevano essere delle settimane che non facevo una dormita decente e la consapevolezza che mi restavano ancora due giorni, non aiutava affatto. Mancava ancora un po' di tempo alla lezione, ma decisi lo stesso di entrare in classe. Guardai il tempo scorrere all'esterno dell'aula oltre la finestra e quel quarto d'ora fu il più pacifico che vivevo da molto tempo. Gli alunni cominciarono a riversarsi lamentosi nelle aule. Il tempo non aiutava affatto. La neve cadeva imperterrita da quando mi ero svegliata quella mattina e sembra non volesse smettere.
Passai le ultime ore di lezione ad ascoltare attentamente il mio professore di storia raccontare delle popolazioni che abitavano l'America all'arrivo di Colombo.Quando le lezioni terminarono, decisi di incamminarmi verso casa di Tyrone. Mi avevano ferito le sue parole, però aveva ragione sul mio bisogno di sfogare tutta la rabbia che avevo dentro.
A metà strada una macchina accostò proprio davanti a me. Era una mini Cooper rosa confetto e solo una persona aveva quella macchina di quel terribile colore.
«Ti ho cercata dappertutto!», affermò Victoria scendendo dalla sua auto.
«Perché mi cercavi?».
«Non farti strane idee, ti stavamo cercando tutti.»
«Tutti chi?»
«Come chi? Il branco!».
«E per quale motivo?».
«La smetti di fare stupide domande e ti decidi a salire?». Entrai nella sua auto, poi con un'inversione a "U" andò nella direzione opposta.
«Ora mi vuoi rispondere?»
«Il branco si riunisce a casa Oldwood e stranamente sei stata convocata anche tu», commentò sarcasticamente.
Cominciarono a frullarmi un sacco di domande per la mente e il mio corpo reagì di rimando. Sentivo tanto caldo e l'aria non era mai abbastanza; le mani mi tremavano come in preda ad un incubo.
Cercavo il finestrino, ma non riuscivo a trovarlo in quell'auto. Victoria capì cosa stessi cercando: schiacciò un pulsantino e il vetro calò, lasciando entrare l'aria gelida invernale.
«Ford, smetti di stressare quella piccola testolina ancora prima di arrivare a destinazione.»
«Non si può rimandare l'inevitabile», dissi boccheggiando ancora dal finestrino.
«Tu lo farai o stavolta sarò io a schiaffeggiarti». Aveva uno strano sorriso compiaciuto, perciò non ribattei alle sue parole. Tentai di tranquillizzarmi, ma non appena parcheggiò nel vialetto degli Oldwood, l'ansia si ripresentò nuovamente.
«Ho bisogno di un attimo.»
«Non lo abbiamo, sono già tutti dentro!»
Accesi la radio per distrarmi e, dal CD inserito nello stereo, partì la canzone "Carry on my wayward son" dei Kansas.
«Non credevo che ascoltassi questo genere di musica», commentai piacevolmente stupita.
«Infatti non è mia». Estrasse con rabbia il CD e lo lanciò nel sedile posteriore, poi scese dalla macchina, aprì istericamente la mia portiera e mi tirò di peso fuori dall'auto, seguita dal rumore inconfondibile della chiusura automatica delle portiere.
Mi trascinò alla porta e suonò il campanello. Venne ad aprirci Alec, stavo cominciando a pensare che fosse il portinaio di casa.
«Era ora che arrivaste, il branco cominciava a spazientirsi», sussurrò lasciandoci entrare. Victoria mi strinse forte il braccio in reazione alla vista del suo ex; capii immediatamente che lei non lo aveva ancora dimenticato.
«Victoria... io volevo...».
«Non ti azzardare a compatirmi, tu sei solo una nullità». Lasciò il mio braccio e si andò a sedere tra i suoi genitori.
Cercai un posto a sedermi prima di venire fulminata con lo sguardo. Osservai intorno a me ma tutti i posti erano già occupati, poi la madre di Derek si avvicinò a me.
«Roxanne, siamo lieti ad averti qui. Il tuo posto è all'altro tavolo là in fondo». Indicò un punto incerto della sala. Attraversai la stanza e trovai un tavolino composto da Miller, mio padre e June.
«Anche voi qui?»
«Siamo stati convocati tutti». Miller rimarcò l'ultima parola.
«Siamo stati messi da parte al tavolo dei bimbi come nei giorni di festa», commentò seccata June.
Oldwood si alzò in piedi e tutti si ammutolirono.
«Ora che ci siamo tutti, la riunione può cominciare.»Scusate per la lunga attesa!
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Buon Natale a voi e alle vostre famiglie!
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The Wolf's Hour
WerewolfPrimo capitolo della trilogia Hybrid. Compiti in classe, contrasti con i genitori, cotte adolescenziali, erano questi i problemi che Roxanne Ford, una semplice ragazza di sedici anni, doveva affrontare quotidianamente. Insomma, una vita tranquilla i...