Rimasi leggermente interdetta alla precedente affermazione di Miller/Blackwood. Lo guardai confusa, ancora incapace di capire se stesse scherzando o meno. Guardai i miei amici, sembravano alquanto scossi, credo optassero più per la seconda ipotesi.
Non sapevo cosa dire, lui mi guardava con occhi amorevole e dispiaciuti ed io ero ferma ad osservarlo come uno stoccafisso.
- Non mi sembra il momento di scherzare-, risposi seccata.
- Roxanne, non è uno scherzo. Io sono tuo...
- Basta! Non lo dire più!-. Mi tappai le orecchie.
La rabbia cominciò a montare dentro di me. Non poteva essere vero...
- Mio padre è James Ford!-, obiettai a gran voce. Il dottore cercò di rassicurarmi, toccandomi la mano, ma la spostai di scatto in tutta risposta.
Levai le coperte con ferocia e tentai di alzarmi e andare fino al corridoio. Sembravo un pulcino che faceva i primi passi. Derek mi afferrò prima che cadessi di nuovo.
- Ti prego, portami a casa-, chiesi implorante.
Mi prese in braccio con agilità, mi strinsi al suo petto e cominciai a piangere, dando sfogo a tutta la rabbia repressa che avevo.
Mentre Derek si voltava per scendere le scale, guardai nuovamente verso quell'uomo. Sembrava sinceramente rammaricato per come fosse finita la conversazione. Una lacrima scese timida lungo il suo volto e per la prima volta lo vidi piangere.
Derek attraversò a grandi passi la casa. Mi caricò con cura in macchina e partì.
Per tutto il tragitto non fece altro che alternare i suoi occhi dalla strada a me e viceversa. Sembrava volesse dire tantissime cose, ma evitava di dirle, per il momento.
Mi accompagnò in casa, stavolta cercai di camminare con le mie gambe. La ferita tirava terribilmente la pelle, sapevo che mi sarebbe rimasta una terribile cicatrice. Non appena entrammo in casa, sentii il tipico odore di lavanda, proveniente dalla piccola piantina appesa vicino all'ingresso che donava quell'aroma alla stanza.
- Mamma! Papà!-. Li chiamai ripetutamente.
Sentii uno scalpiccìo di piedi giungere dal piano superiore. Mia madre e mio padre vennero ad accogliermi con calore.
- Pensavamo che saresti rimasta più a lungo in convalescenza da Miller-, mi informò mio padre.
Mia madre notò la mia espressione sconvolta.
- Tesoro, che succede?-, domandò preoccupata.
Derek mi cinse la spalla per farmi capire che mi sarebbe stato vicino anche in quella circostanza difficile.
- Voi siete i miei veri genitori?-, chiesi incerta. Sembravano spiazzati da quella domanda, ma allo stesso tempo potevo vedere gli sguardi colpevoli che si scambiavano. Mio padre prese tra le sue mani quella di mia mamma.
- Rispondete!-. Li esortai arrabbiata.
Erano rimasti senza parole, mi guardavano in silenzio sperando non continuassi con l'interrogatorio.
- Siete o non siete i miei genitori?
- Non ti abbiamo messo al mondo noi, ma ti abbiamo sempre amato come fossi nostra. Noi siamo i tuoi veri genitori!-, tentò di spiegare mio padre.
Il mio volto si rifletteva sullo schermo del televisore. Guardai il mio viso ancora tumefatto dalla lotta con l'alfa. Mi toccai il naso, gli occhi e infine la bocca dolorante, poi guardai i miei genitori e notai le piccole differenze che non avevo mai visto prima: i capelli rossi e le lentiggini di mia madre, gli occhi neri e la bocca a cuore di mio padre. Non centravo assolutamente niente con loro, ma prima d'ora non ci avevo mai fatto caso. I miei capelli e occhi castani e il mio viso squadrato raccontavano una storia diversa da quella dei Ford. Mi sentivo spaesata, come se non sapessi più chi fossi...
Mia madre mi strinse la mano, ma mi divincolai dalla sua presa. Vidi che gli avevo spezzato il cuore non accentando il suo gesto. Il suo singhiozzo ruppe il silenzio di quel momento.
- Chi sono i miei veri genitori?-, domandai d'un tratto.
- Non sappiamo chi siano. Sappiamo soltanto che sei stata abbandonata d'avanti alla nostra porta.
Un vuoto improvviso allo stomaco, mi fece barcollare.
Guardai Derek con sguardo pietoso e gli chiesi sottovoce di portarmi via da lì.
- Dove stai andando?-, chiese furibonda mia madre.
- Lontano da questa menzogna su cui si basa la mia vita!
- Non essere melodrammatica, lo so che è difficile, ma noi ti siamo sempre stati accanto.
- Melodrammatica? Scoprire che mi hanno abbandonato davanti alla vostra porta e che forse Miller è il mio vero padre, non mi sembra una cosa facile da digerire!-, sbraitai.
- M-Miller?-, domandò mio padre.
Mi tappai immediatamente la bocca, come se avessi rivelato un segreto di stato.
Mio padre sembrava stesse soffrendo molto per quella notizia, forse perché mi aveva rivelato tempo addietro, che provava molta stima per lui e riponeva in lui la sua fiducia; una parte di me, chissà quale, provava una sensazione di soddisfazione.
Feci un altro passo verso la porta.
- Roxanne, torna subito qui!-. Mi ordinò.
- Non sei mio padre, non mi dici cosa posso o non posso fare!-. Sapevo di averlo ferito profondamente, ma era l'unico modo per andarmene da lì.
- Come hai potuto dire una cosa del genere?-, disse mia madre con voce spezzata. Derek mi aiutò ad andare nella sua macchina. Poi guidò fino a casa sua.
Mi aprì la portiera, mi prese la mano e sostenne parte del mio peso, tenendo un mio braccio sulla sua spalla.
Mi portò in camera sua.
- Dico a mia madre che per stanotte resterai qui da noi-. Mi informò.
Feci un cenno di assenso col capo.
Il cellulare cominciò a squillare. June mi stava cercando, probabilmente era preoccupata per me, ma non volevo parlare in quel momento.
Mi rannicchiai in posizione fetale e strinsi gli occhi, sperando che tutto il dolore sparisse.
- Ross...-. La voce di Alec mi fece scattare e aprire gli occhi.
Lui si sedette accanto a me e mi guardò intensamente, poi si morse il labbro inferiore con incertezza.
- Ne vuoi parlare?
Scossi la testa.
- Vuoi che me ne vada.
Ripetei il gesto.
Un singhiozzo ribelle mi scappò dalle labbra. Alec mi tirò su, mi avvicinò al suo corpo caldo e mi abbracciò forte. Mi accarezzò i capelli con dolcezza. Piansi intensamente tra le sue braccia confortanti.
Lui mi tirò su il viso e mi asciugò una lacrima con il pollice, infine mi diede un bacio sulla fronte.
Lo sguardo di uno si fissò in quello dell'altra, non riuscivo a fare altro che guardare i suoi occhi verdi che nascondevano tanto dolore.
Vidi le sue labbra in modo diverso: erano carnose e morbide, come il tocco delicato di una rosa.
Mi staccai da lui in imbarazzo; le guance erano bollenti.
- Scusami, ti ho sporcato la felpa con le mie lacrime-, dissi, tirando su col naso. Mi asciugai frettolosamente il viso con la manica della maglietta.
Mi accorsi solo in quel momento che Derek stava sulla porta a scrutarci impassibile.
Notai che anche Alec sembrava sorpreso di non aver percepito la sua presenza.
- Mia madre ha detto che puoi restare fino a quando non te la senti di ritornare a casa tua-, disse con voce piatta.
- Grazie-, risposi, sentendomi in colpa per quel momento d'intimità con il fratellastro.
Alec si alzò e mi pose una mano sulla spalla in segno di conforto e poi mi sorrise. Uscì dalla stanza cercando un'ultima volta il mio sguardo.
Derek mi accompagnò nella stanza degli ospiti. Era una grande stanza dai colori pallidi in stile coloniale. Un grosso letto a baldacchino si trovava al centro della stanza, poggiato alla parete su cui si trovava un grande arazzo raffigurante due lupi che lottavano. Le loro lingue aguzze saettavano dai lunghi musi. Gli occhi erano di un rosso acceso, come quello di due alfa.
Sullo sfondo una foresta luccicante dai colori accesi. Dalla parte opposta si trovava un comò dalle forme curvilinee sul quale era stato posto uno specchio in stile gotico.Derek appoggiò la mia borsa con i miei effetti personali sul letto e si sedette accanto a me.
Mi gettai sul letto dalle coperte in seta e scivolai a terra con un tonfo.
Io e Derek ci guardammo e scoppiammo a ridere. Nella caduta il mio sedere aveva cominciato a farmi male, ma per fortuna i punti erano ancora intatti.
Mi aiutò a risalire sul copriletto e mi fece accoccolare tra le sue braccia. Appoggiai delicatamente la mia testa al suo petto e sentii battere forte il suo cuore.
Lui mi baciò ripetutamente una guancia, tenendomi sempre attaccata a sé.
La madre di Derek ci informò che era pronto in tavola, ma non avevo per niente fame.
- Vai pure, io rimarrò qui a sistemare le mie cose.
Mi baciò sulle labbra e se ne andò.
Mi sedetti sul grande davanzale vicino alla finestra. L'aria aveva un odore pungente di terra e pioggia e il cielo era uggioso e malinconico. Il vento ululava sprezzante contro il piccolo borgo di Oldwood. Le persone rincasavano dalle loro famiglie, le luci erano tutte accese nei piani inferiori. Una goccia colpì spavalda la mia guancia, che si freddò al contatto, poi le gocce si moltiplicarono e avvolsero Oldwood in un atmosfera lugubre.
I lampioni illuminavano quei liquidi rettilini che cadevano dalle fitte nubi.
Un lampo apparve all'improvviso nel cielo; il suo bagliore mi scatenò un sentimento di timore nel cuore e, dopo quella saetta, ne seguì un fragore clamoroso. Chiusi la finestra. La mia pelle era umida e fredda, un brivido scosse il mio corpo e mi fece accapponare la pelle. Potevo sentire la peluria delle braccia indicare il soffitto.
Indossai un vecchio felpone di mio padre e mi coricai nel letto. Le lenzuola di seta ricadevano sensualmente sul mio corpo e disegnavano le linee delle mie forme.
Annusai la mia felpa; aveva l'odore di casa.
La paura fece gentilmente spazio ad un senso di sconforto profondo nel mio stomaco.
Perché stava accadendo tutto quello a me?
Le poche cose della mia vita che erano stabili e sicure dai brutti colpi, erano crollate come castelli di sabbia al sole.
Miller... mio padre...
Scacciai immediatamente via quel pensiero dalla mia mente, ma ritornò contro la mia volontà.
Era realmente mio padre?
Perché mi aveva abbandonata?
Cosa c'entrava il mio abbandono con l'Alfa?
Mi resi conto in quel momento che Roman Blackwood era mio zio. Presi il cuscino e me lo poggiai con forza sulla nuca, come se quel gesto potesse cancellare la mia parentela con quell'essere immondo. Ricordai i momenti felici con i miei genitori adottivi: quando mi avevano insegnato ad andare in bicicletta, il mio primo libro, la mia prima guida. Tutte cose che fanno le persone che ti amano realmente.
Perché ora non riuscivo a sentirmi parte di nulla? Ero una Blackwood o una Ford?
Non sapevo più chi ero.
Iniziai a piangere abbondantemente, le lacrime scorrevano come fiumi sulle mie pallide guance. Mi rannichiai in posizione fetale e cercai di farmi forza.
Un nuovo squillò mi riportò all'esterno della mia testa. Era un'altra chiamata di June. Declinai la telefonata, indugiai sullo schermo e tornai sotto le coperte.
Speravo che uno dei miei genitori mi avesse cercato per sapere come stavo e dove mi trovavo, ma ero stata fin troppo chiara con loro...
Mi sentivo terribilmente in colpa per le taglienti parole che avevo lanciato contro di loro, ma ero arrabbiata e delusa.
Mi si formò un groppo in gola e piansi di nuovo.
Fuori dalla porta sentii dei passi nervosi venire verso di me.
Derek entrò con un vassoio di frutta fresca e un tè caldo dall'aroma esotico.
Mi resi conto che, alla vista di quel ben di Dio, il mio stomaco cominciò a brontolare.
- Io conosco la mia polla-, disse con un sorriso.
Mangiai avidamente ogni frutto succoso. La mia bocca era in festa. Nel mio stomaco oltre ad esserci delle brutte sensazioni, ora si trovava la sazietà. Bevvi in un sorso quella bevanda bollente e ne trassi beneficio. Le ossa cominciarono a rinvigorirsi, i muscoli a sciogliersi e la pelle a scaldarsi.
- Grazie-, dissi, leccandomi le labbra.
Se ne stava per andare quando lo chiamai per nome.
- Derek... rimani...
Lui si tolse la maglietta e si introdusse sotto le lenzuola. Mi abbracciò da dietro e intreccio le sue gambe alle mie.
Lo baciai sulle labbra e poi chiudemmo gli occhi.
Quando stavo finalmente per addormentarmi, il display del mio cellulare si illuminò. June mi aveva mandato un messaggio:Devi assolutamente ascoltare ciò che ha da dirti il dottore.
Fatti viva xoxImmaginavo quale sarebbe stato l'argomento della conversazione. Spensi il telefono e mi addormentai per gli occhi pesanti e stanchi dal pianto.
Secondo voi cosa racconterà a Roxanne? Vi siete fatti un'idea?
Grazie per il sostegno di chi mi segue *-*
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The Wolf's Hour
WerewolfPrimo capitolo della trilogia Hybrid. Compiti in classe, contrasti con i genitori, cotte adolescenziali, erano questi i problemi che Roxanne Ford, una semplice ragazza di sedici anni, doveva affrontare quotidianamente. Insomma, una vita tranquilla i...