Capitolo 38

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Tutto divenne chiaro. La voce, la figura nell'ombra e quelle scarpe appartenevano allo sceriffo Black.
«No... non può essere lui!». Mi urlò contro Alec. Gli occhi gli cominciarono a splendere per la rabbia. Derek si frappose immediatamente fra di noi.
«Erano quelle scarpe!», gridai per la rabbia. Stava dando a me della bugiarda per redimere un traditore.
«Potrebbero averle un sacco di persone». Mi contraddisse.
«Ma quanti del branco le hanno?». Emise un ruggito di rabbia che mi fece accapponare la pelle.
«L'unico modo per scoprirlo è andare a casa sua, in una delle mie visioni ho visto uno scantinato. Lo riconoscerei immediatamente». Proposi.
«Allora andiamo», concordò Derek.
Salimmo tutti nell'auto di June e ci dirigemmo con velocità verso casa Black. June sembrava apparentemente tranquilla, ma dal sedile posteriore potevo vedere che stringeva con così tanta forza il volante che le nocche erano sbiancate per la tensione. Alec se ne stava in silenzio a guardare in tralice dal finestrino. Mentre io e Derek eravamo seduti dietro insieme. Lui teneva stretta a sé la mia mano. Appoggiai la mia testa sul suo petto e constatai che il suo cuore batteva veloce, compresi che anche lui era rimasto scioccato come il suo fratellastro dalla possibilità che un membro di spicco del loro branco potesse fare il doppio gioco.
«Mi spiace per tutto questo», confessò Derek. «Volevo vivere la nostra storia diversamente. Desideravo qualcosa di meno incasinato.»
«Le nostre vite sono incasinate. Anche io volevo qualcosa di più semplice ma forse non era per noi.»
«Stai tremando?». Si tolse la giacca e me la porse.
«Ho paura. Ho paura di morire, paura di non aver fatto ancora niente nella mia vita, paura di non averti vissuto abbastanza». Il calore e l'odore del suo corpo rimasto intrappolato nella giacca, curarono per pochi secondi quel senso di smarrimento che provavo ormai da chissà quanto tempo.
«Hai una lunga vita che ti aspetta.»
«Come fai a saperlo.»
«Istinto». Gli diedi un buffetto scherzoso.
«Stupido lupo». Lui mi guardava coi suoi occhi pieni di affetto. Mi accarezzò una guancia con il pollice e quel tocco leggero mi provocò una sorta di conforto immotivato, data la situazione a cui stavamo andando in contro. Appoggiai le mie labbra sulle sue e mi accorsi di averne sentito la mancanza; le sue accarezzavano amorevolmente le mie e per un istante dimenticai ogni problema, godendomi quell'attimo di normalità.

Arrivammo a casa Black e, senza aver bisogno di suonare, Victoria ci aprì la porta.
Odiavo il loro udito sviluppato da licantropi.
Notai come cercava di non guardare Alec perché se lo avesse fatto, avrebbe tradito le forti emozioni che ancora provava per lui.
«Che cosa volete?», domandò scocciata.
«Dov'è tuo padre?», chiese freddo Alec.
«È con il tuo.»
«Ci fai entrare?», domandai cortesemente ma con una certa fretta.
«Vogliamo prendere tè e biscottini tutti insieme?».
«Victoria è importante», dissi. Lei roteò gli occhi, si scansò dalla porta e ci fece entrare.
Per la prima volta vidi la casa di Victoria e notai come ogni cosa era perfetta ed immacolata, sembrava di stare in una brochure di case. All'ingresso erano appese delle foto di famiglia. Lei si sedette sul bellissimo divano bianco a "L" e ci fissò uno ad uno.
«Perché siete qui?».
«Hai uno scantinato?», chiesi di punto in bianco.
«Vuoi fare la venditrice di case?», domandò sarcastica.
«Rispondi», ordinò Alec. Lei sembrò arrabbiarsi per come lui si stesse ponendo con lei, però obbedì.
«Sì.»
«Ce lo potresti far vedere?». Ci condusse giù per delle scale in legno e finalmente ci ritrovammo nello scantinato, ma non era quello che avevo visto nella mia visione: era ampio e pieno di sostegni in legno per vini pregiati e non era né sporco né umido.
«Allora?». Mi pungolò June.
Scossi il capo.
«Ve lo avevo detto», commentò Alec con nota di biasimo.
«Potreste spiegarlo anche a me?», domandò Victoria confusa.
Tutti guardarono me e mi sentii una stupida per aver fallito.
«Roxanne aveva visto nella sua visione uno scantinato e pensavamo che tu potessi averne uno», spiegò Derek.
«Prima di tutto questa è una cantina e non uno scantinato; secondo perché uno dei suoi stupidi sogni dovrebbe riguardarmi?».
«Era solo una falsa pista, pensava che tua padre potesse aver collaborato con Roman», commentò Alec. Sembrava che mi odiasse anche solo per aver pensato che lo sceriffo fosse la talpa. Ormai avevo perso la mia credibilità; eppure sapevo che quella voce nel buio che pianificava di tradirci era lo sceriffo Black.
«Tutti noi ti stiamo aiutando e tu hai anche il coraggio di insultare mio padre?», disse furiosa. Victoria ci ordinò di uscire da casa sua e i miei amici le chiesero scusa per essere piombati lì con accuse infondate. Io rimasi fuori con l'ego ferito e un grande senso di colpa. D'un tratto, osservando la sua casa, mi venne in mente un'idea. Victoria stava per chiudere la porta quando le chiesi di aspettare. Lei mi guardò irritata, ma non ci diedi peso. L'unica cosa che mi importava era confutare la mia tesi.
«Che c'è ancora!», esclamò seccata.
«Ho bisogno di sapere se avete un'altra proprietà nei dintorni.»
«Non ti vuoi arrendere, vero? Ti sei sbagliata!». Vedevo le vene del collo di Alec gonfiarsi pericolosamente. Sapevo che lo diceva in un impeto di rabbia, ma mi ferirono comunque le sue parole.
«In realtà...», disse a bassa voce. Sembrava incerta nel continuare.
«È importante, Victoria». Le toccai il braccio, ma lei istintivamente si scansò e si strinse nelle braccia come per proteggersi. Per la prima volta vidi dell'incertezza nel suo comportamento che non faceva parte della sua maschera da ragazza perfetta.
Guardai Alec. Si era avvicinato a lei e le mise un braccio sulla spalla. Quel gesto fece lo stesso effetto che faceva a me il tocco di Derek.
«Abbiamo... abbiamo una piccola baita nel bosco, ma non ha uno scantinato». Finalmente lo aveva detto.
«Dove? Sai condurci lì?», domandò pacatamente Alec.
«C-credo di sì...».

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