Cominciai a scappare, ma quella forza che mi faceva correre come Speedy Gonzales, venne sostituita da stanchezza e freddo.
Ero sudata e infreddolita, le ginocchia stavano cedendo e i polpacci mi dolevano così tanto, che sembravano stessero bruciando. Le labbra erano screpolate e rigide, ero assetata.
Guardai il mio telefono ma doveva essersi scaricato ore fa Dalla parziale oscurità del cielo e i lampioni appena spenti, dedussi fossero le cinque o le sei del mattino.
Mi sedetti su una panchina del parco e cominciai a piangere forte.
Avevo paura, timore che succedesse qualcosa di male a mio padre, a mia madre e alla mia migliore amica.
Non era il fatto che si trasformassero in lupi che mi terrorizzava; era l'uomo sotto quella pelliccia che mi tormentava.
Il lupo agisce per istinto, l'uomo invece agisce per puro interesse e combinando queste due fiere non poteva che scaturirne una mostruosità.
- Ha bisogno di aiuto?-, domandò una voce alle mie spalle.
Mi irrigidii e strinsi il coltello nascosto dalla manica del parka.
- Non volevo spaventarti. Come ti chiami? vedendo che non gli davo una risposta parlò lui.
- Io mi chiamo Tyrone-, disse gentilmente; si sedette accanto a me.
- Cosa ci fai qui fuori a piangere?
- Non sto piangendo...
- Che bella voce che hai.
Tirai su la testa che era nascosta tra le ginocchia e guardai per la prima volta Tyrone. Era un ragazzone dalla pelle d'ebano, con qualche anno in più di me. Mi guardava con occhi gentili e un sorriso genuino. Capii che mi stavo comportando come una bambina dell'asilo.
- Roxanne, mi chiamo Roxanne-, gli tesi la mano e lui la accettó di buon grado.
- Cosa fai qui fuori, Roxanne?
Lo guardai e vidi una tuta da ginnastica e le Sketchers.
- Stavo facendo jogging.
Mi osservò anche lui.
- Devi aver fatto jogging mentre eri sonnambula perché sembri indossare il pigiama sotto quella giacca.
Arrossii, ma sembrò non notare la vergogna sulle mie guance sporche dal fango.
- Ti sei fatta male?
Notai per la prima un lungo taglio nei pantaloni del pigiama, arrotolai i calzoni fin sopra al ginocchio e vidi una grossa ferita nel medesimo punto.
- Sarà meglio portarti al pronto soccorso.
- No!- urlai - ho... paura dei dottori.
- Concedimi almeno di pulirtela.
Feci un cenno di assenso.
Prese la borraccia dal suo zaino e versó l'acqua delicatamente sulla ferita insanguinata.
- Fa male non è vero?
Feci di nuovo un cenno col capo.
- Sei di poche parole, non è così? Mi è venuto in mente che a casa mia ho un kit per il pronto soccorso, se vieni con me potrei medicarti.
Mi prese il braccio destro e me lo posizionó intorno al suo collo e poi mi cinse un fianco e cominciammo a camminare.
Dopo una lunga pausa di silenzio riprese a parlare.
- Sei fortunata che ti ho trovato mentre stavo tornando a casa.
Ero troppo stanca per continuare a piedi, così mi prese in braccio con disinvoltura.
Arrivammo davanti al vialetto di una palazzina.
Mi accompagnó nell'atrio e prendemmo l'ascensore. Usciti, notai che stavo lasciando impronte di terra per tutto il corridoio.
- Tranquilla, diró che sono stato io-, sembrò leggermi nella mente.
Arrivammo davanti una porta color panna, poi prese le chiavi.
La casa era piena di scatoloni con scritte che segnalavano cosa ci fosse all'interno. Doveva essersi trasferito da poco.
Una voce proviente dalla cucina parlò:
- scusa, per il casino. Non pensavo di ricevere ospiti.
Tornò con una valigetta bianca con sopra una croce rossa.
- Forse dovresti farti prima una doccia.
Ma che diavolo aveva in mente?
- Non pensare male, intendevo che se ti fascio la gamba, ma poi ti fai la doccia, sarebbe inutile.
Lo guardai per un lungo minuto, sembrava sincero.
- Ok-, risposi freddamente.
Lo so che tentava di aiutarmi, ma sembrava volesse a tutti costi che mi piacesse.
Mi mostrò dove fosse il bagno e mi fece notare la chiave nella serratura.
Mi chiusi dentro e poi controllai che non potesse entrare.
Mi guardai nello specchio appannato sopra il lavandino. Ero un disastro. Ero completamente sporca di fango; il pigiamino rosa con gli elefantini che portavo, era una macchia marrone indistinta. Mi tolsi il parka e gli stivali anch'essi completamente infangati, poi tolsi il pigiama e infine l'intimo.
I capelli erano un nido articolato di nodi e foglie e il viso completamente tinto dal pantano.
Andai sotto la doccia e non appena l'acqua toccó il mio corpo tutto il male e il dolore si alleviarono e finirono, come lo sporco, nello scarico. Sentii una voce chiamarmi dietro alla porta.
- Roxanne, ti ho lasciato qui fuori dei vestiti puliti per cambiarti.
- G-grazie!-, balbettai.
Pensai a quello che avevo visto e non potevo credere che fosse reale.
- I lupi mannari sono solo antiche leggende per spaventare i bambini, non sono reali. Non sono reali-, bofonchiai tra me e me.
Continuavo a ripetermelo, ma più lo facevo più l'incubo diventava realtà.
Derek, Alec, Tyler erano delle creature pericolose. Dovevo dirlo a June, ma come? Non avrei sopportato che le facessero del male.
Uscii dalla doccia, avvolsi un asciugamano al mio corpo e sbirciai dalla fessura della porta, mi aveva lasciato degli abiti.
Indossai un maglione più grosso di tre taglie e dei vecchi pantaloni di tuta.
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The Wolf's Hour
WerewolfPrimo capitolo della trilogia Hybrid. Compiti in classe, contrasti con i genitori, cotte adolescenziali, erano questi i problemi che Roxanne Ford, una semplice ragazza di sedici anni, doveva affrontare quotidianamente. Insomma, una vita tranquilla i...