Capitolo 33

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Derek, come al solito, aveva scalato furtivo il paravento ed era entrato dalla porta finestra. Mi baciò una guancia, poi mi strinse tra le sue braccia, ma io lo spinsi giocosamente sul letto e cademmo entrambi uno sopra l'altro. Io mi misi a sedere sopra di lui, inizialmente sembrò contemplarmi, poi con le gambe si avvinghiò a me e mi attirò a sé. Cominciammo a giocherellare facendoci i solletichi, poi ci baciammo per lungo tempo. Le nostre lingue si sfioravano cercandosi freneticamente. Decisi di togliermi la maglietta e rimasi in reggiseno; i suoi occhi fluorescenti parlarono per lui. Poggiò le sue calde labbra nell'incavo del seno, mentre io mi beavo nell'intensità dei suoi baci. Qualcosa dietro di noi attirò la mia attenzione. Mi girai di scatto, ma non vi era nulla; era stato solo frutto della mia immaginazione. Derek sembrò non farci caso, perché prese tra le mani il mio seno e una spallina del balconcino cadde involontariamente, poi la medesima sensazione di essere osservata ricomparve. Sbirciai dietro di me e vidi la mia gatta che scrutava incuriosita lo specchio nell'anta del mio armadio. Nonostante le proteste del mio ragazzo, mi alzai e la presi in braccio, c'era qualcosa di strano nell'immagine rispecchiata, eppure non capivo cosa. In apparenza era tutto ordinario, ma poi notai che il mio riflesso non era la copia esatta di me stessa, c'era una sfumatura di sfrontatezza nel mio sorriso e gli occhi sembravano mi stessero giudicando, poi il mio riflesso mi fece l'occhiolino. Mi spaventai così tanto da lasciar cadere la mia gatta, che atterrò in piedi e se ne andò offesa, Derek si era messo dietro di me e cominciò a baciarmi il collo, tenendomi sempre stretta a sé. Avvicinai il palmo allo specchio e lei fece lo stesso simultaneamente, poi lo toccai e sentii come una scossa di elettricità invadermi il corpo e propagarsi fino alle estremità. Ritirai indietro immediatamente la mano.
«Hai visto?», domandai di stucco. Lui cosse il capo e tornò a baciarmi; forse solo io potevo vederla.
«Chi sei?», le chiesi.
«Oltre che traditrice sei anche stupida, chi sono se non te?», rispose acerbamente. Pareva che il mio ragazzo non percepisse le nostre parole.
«Perché sarei una traditrice?». Lei guardò alle sue spalle il riflesso di Derek.
«Come sei melodrammatica», disse una voce alle mie spalle. Scansai Derek e rivolsi lo sguardo verso il piccolo specchio decorato che si trovava sull'anta opposta. I miei occhi aveva una sfumatura gialla come quella dei licantropi.
«Chi sei?», chiesi nuovamente.
«L'avevo detto che era stupida.»
«Sono te», rispose dolcemente l'altra. Le due Roxanne erano una l'opposta dell'altra: la prima scontrosa e senza peli sulla lingua, mentre la seconda dolce e comprensiva.
«Non capisci che stai andando contro ogni valore della tua razza, quando stai con quel cane che puzza di bagnato?»
«Io trovo che abbia un odore sublime», commentò l'altra. La ragazza acida roteò gli occhi in segno di resa.
«Roxanne, è solo grazie ai tuoi poteri da cacciatrice che quella bestiaccia prova dei sentimenti per te». Non capivo a che cosa si riferisse; stavo per domandarglielo, ma la Roxanne dagli occhi luminosi si inserì nel discorso.
«Tipico di voi cacciatori, seminare l'odio e attenderne i frutti.»
«Sai anche tu che è la verità.»
«No, non possiamo saperlo», commentò la ragazza. La testa stava per esplodermi. Derek mi strinse tra le sue forti braccia. Guardai il suo riflesso allo specchio, ma il ragazzo che mi abbracciava non era lui; era Alec. Lo specchio andò in frantumi.

Mi svegliai grondante di sudore nel mio letto. Ero talmente accaldata, che cacciai con dei calci le coperte infondo al letto e mi alzai per prendere una boccata d'aria. Quella notte era stranamente silenziosa, sembrava che gli animali avessero perso la voce. Una stella risplendeva solitaria nell'oscurità, circondata da tetre nubi nere. La brezza invernale mi strinse in una morsa gelida, penetrandomi nella pelle. Mancavano ancora poche ore all'alba, ma avevo paura di addormentarmi; ogni volta dovevo sfidare l'ignoto.
«Che strano sogno», commentai ad alta voce. Mi sdraiai nuovamente nel letto, accesi il portatile e digitai le parole "luna di sangue" sulla tastiera. Su per giù ogni sito mi dava la medesima risposta, cioè che la luna rossa era un fenomeno ottico di rifrazione che si manifestava durante l'eclissi di luna. Alcune pagine riportavano anche che nel Medioevo, questo avvenimento, era visto come presagio di sventura e la gente si rinchiudeva nelle case per evitare di incontrare le creature della notte, mentre altri asserivano che in alcune culture fosse il simbolo della fertilità. Mi alzai dal letto insoddisfatta da ciò che non avevo trovato e cercai il bestiario da cui attingevo per ogni tipo di informazione sul sovrannaturale. Tornai alle pagine dedicate ai licantropi e ai lupi mannari per vedere se mi fosse sfuggito qualcosa. A piè di pagina c'erano scarabocchiate in matita delle frasi incomprensibili. Sbuffai sonoramente sul vecchio libro. Dovevo aspettare che arrivasse Miller per saperlo. Decisi di uscire dalla mia stanza e, non appena lo feci, un profumino di cibo mi fece venire un languorino. In quell'istante mi resi conto che non avevo avvertito mia madre del nostro ospite. Corsi al piano inferiore seguita da Koška ed entrai in cucina.
«Buongiorno, tesoro». Mi diede un tenero bacio sulla guancia mentre aveva le mani ancora nel ripieno. Affondai un dito nella farcia per il tacchino e me lo gustai.
«Sai che non mi va che lo fai!», affermò spazientita mia madre.
«Mi sono dimenticata di dirti che abbiamo un ospite stasera...»
«Derek?», domandò. Stavo per risponderle, ma mio padre mi interruppe.
«Le mie donne!». Ci strinse tra le sue braccia e ci stampò un bacio. Per un secondo mi sembrò di vivere una vita normale.
«Roxanne stava dicendo che aveva invitato qualcuno alla nostra cena del Ringraziamento.»
«Chi?», chiese mio padre, rubando altra farcitura dalla ciotola.
«Non si può fare mai niente con voi dietro alle spalle come due avvoltoi a rubare il cibo». Mia madre prese il contenitore, lo coprì con la pellicola trasparente e lo ripose in frigo.
«Più ne mangiate e più non ce ne sarà per stasera», avvertì.
«Ho invitato Miller», sbottai. Il mio stomaco si sentiva più leggero ora. Mio padre e mia madre si guardavano in silenzio, sembravano stessero comunicando telepaticamente.
«Allora aggiungerò un posto in più», rispose lei per entrambi. Pareva che mio padre fosse meno propenso alla pace, rispetto a lei; le sorrisi grata. Prese il tacchino per farcirlo e io senza alcuna esitazione scappai dalla scena che trovavo sempre molto raccapricciante.

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