Capitolo 13

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Dalla finestra entravano i primi raggi solari di quel giorno. Gli uccellini cinguettavano energici alla vita. La neve ricopriva ogni cosa, nascondendo il marcio della città.
Quella notte non ero riuscita a chiudere occhio, continuavo a pensare a tutti i miei amici. Cosa gli sarebbe successo? È davvero colpa mia come hanno detto al telegiornale? Non sapevo più nulla, tranne che ero stanca di temere per la vita dei miei cari.
Mi alzai dolorante dal letto e andai in pigiama sul balcone. Faceva davvero freddo, sentivo la pelle d'oca fino alla nuca, ma il gelo pungente non mi dava fastidio, anzi mi ricordava che ero viva. Mi rigirai tra le dita il dente di licantropo, con il polpastrello del pollice spinsi sulla punta del canino, non appena sentii pungere tolsi il dito. Ero rimasta tutta la notte con quell'affare in mano, ormai era diventato il mio tesoro. All'improvviso mi venne in mente un'idea: perforai il dente alla base con un vecchio strumento che usava mio padre e poi presi una collana che non indossavo più; sfilai il vecchio ciondolo dalla cordicina in pelle e inserii il canino.
Andai nella mia cabina armadio e mi guardai il collo, la collana scendeva fino all'insenatura del mio seno. Mi faceva sentire forte e che avrei potuto affrontare ogni cosa con quella addosso.
Sentii dei passi vicino alla porta, nascosi immediatamente la collana sotto la maglietta.
- Roxanne, tutto a posto?-, chiese mia madre da dietro alla porta. Probabilmente aveva sentito il rumore dello strumento mentre perforava l'osso.
- Tutto a posto.
Indugiò davanti alla porta, ma poi se ne andò.
Guardai il cellulare, Derek aveva tentato di chiamarmi una decina di volte, ma non avevo voglia di parlargli in quel momento. Andai in bagno, accesi la doccia e in un secondo lo sbalzo di calore provocò nembi di vapore. Guardai il mio corpo nudo attraverso lo specchio non ancora del tutto appannato dalle gocce di vapore; nonostante le ferite che mi erano state inferte e il pallore per la stanchezza, sembrava che, a ogni scontro fisico, il mio corpo reagisse in positivo. In qualche modo il dolore mi fortificava.
Tolsi le bende che coprivano le mie ferite e poi coprii i punti cosicché non si bagnassero.
Entrai in doccia e l'acqua cominciò a scorrere lungo tutto il corpo.
Le ferite cominciarono a bruciare a contatto con l'acqua calda.
Del liquido nero cominciò a sgorgare dalla gamba, tentavo di fermarlo ma defluiva rapido dalla mia coscia e scorreva lungo il polpaccio fino a creare una pozza scura. Il mio cuore cominciava a battere all'impazzata, quando ad un tratto tutto scomparve, non ne era rimasta traccia.
Non capivo più cosa fosse reale e cosa non lo fosse.
Corsi in camera mia e mi gettai sul letto.
Koshka salì sul letto e si accoccolò tra le mie gambe.
- Non so cosa devo fare. Ogni cosa che faccio crea delle conseguenze irreparabili.
La micia starnutì in disapprovazione.
- Cosa dovrei fare?
Koshka balzò a terra e si andò a nascondere sotto al letto.
Mi sdraiai a pancia in giù e mi allungai per poter prendere la mia gatta, quando vidi che era rannicchiata su un vecchio libro. La spostai e lo presi.
Era il bestiario che mi aveva donato il dottor Miller.
Avevo bisogno di risposte e solo una persona poteva darmele.
Mi vestii velocemente, presi la bici e cominciai a pedalare trafelata.
Il freddo pungente mi raggelava le membra, quel paessaggio invernale era stimolante ai miei occhi. La neve cadeva placida e si depositava su tutti ciò che incontrava. Le persone che incontravo mi osservavano guardinghe. Pedalai più veloce, così da non essere riconosciuta.
Scesi dalla bici ancora in movimento e la lasciai cadere sul prato ricoperto di candida neve. Salii sul portico bianco e bussai alla porta.
Il dottor Miller venne ad aprire la porta, ma non sembrava sorpreso di vedermi.
Cominciai a tremare per il freddo.
- Entra.
Mi fece accomodare sulla poltrona; mi diede una coperta e mi portò una tazza fumante di tè al ginseng.
Lui si versò nel bicchiere di cristallo due dita di whiskey. Arricciai il naso per lo sgradevole odore alcolico.
- Non è un po' presto per bere?
- Forse, ma non sai che noi non possiamo ubriacarci grazie ai nostri poteri di guarigione.
- E allora perché beve?
- Mi sembra un comportamento così umano cadere nei vizi.
Bevvi il mio tè aromatizzato e mi strinsi nella coperta.
- Ho paura.
- Se non avessi paura saresti folle.
- Tutti pensano che c'entro qualcosa in questa storia.
- Roxanne i mostri esistono e se cominci a dar loro ascolto, cadrai con loro.
Guardai il camino acceso, la legna scoppiettava e saltuariamente si vedevano delle scintille incandescenti.
- Ci sono delle cose che non le ho detto.
- E ora sei pronta a dirmele?
- Non lo so, ma credo che se non lo facessi potrei fare del male a delle persone.
- È un'ottima risposta.
- Quando tornai a scuola, dopo l'agressione di mio padre e la mia, ebbi un compito in classe e ricordo che mi sentii male. Tutto girava e non capivo nulla. Giorni dopo il consulente scolastico mi mostrò il mio compito e mi fece notare delle frasi ambigue che non ricordavo di aver scritto...
Il dottore era scosso e pensieroso, una ruga si palesò sulla fronte ampia.
- Cosa dicevano?
- Occhi di fuoco desiderano da tempo ciò che l'uomo crudele gli tolse, entrambi in attesa del risveglio predetto...
Sembrava realmente turbato, guardava pensieroso il bicchiere vuoto.
- Lei sa cosa significhino quelle parole? Sembrano quasi una profezia.
- Dovrei rifletterci meglio.
- Ma non è finita qui-, mi guardò preoccupato.
- Le parole erano posizionate in modo tale da creare il segno maggiore.
Si alzò dal tavolo e andò alla libreria vicino al caminetto acceso e continuava a borbottare. Prese un libro e lo appoggiò sull tavolino da caffè che ci divideva.
Sfogliò qualche pagina e cominciò a leggere.
- Interessante-, borbottò più volte.
Mi spostai in avanti per vedere meglio cosa stesse leggendo. La pagina era ricoperta da simboli strani.
- Era questo il simbolo?-, mi mostrò un simbolo con la forma del maggiore e io feci un segno di assenso col capo.
- Sai cosa sono queste? Sono rune, fonte magica di ogni potere e sapienza.
Quella che hai visto tu si chiama Kenaz, è il fuoco della trasformazione e rappresenta la conoscenza e l'illuminazione.
- Non mi pare una brutta cosa.
- Significa che quando avrai capito chi sei, avverrà la tua trasformazione.
Miller si alzò in piedi per versarsi un altro drink, ma gli cadde per terra il contenitore di cristallo che conteneva del whiskey pregiato. Mi alzai per aiutarlo ma mi fece segno di sedermi.
Si mise a raccogliere i cocci del suo disastro.
- Le posso fare una domanda?
- Certamente.
- Se il dente mi ha lacerato la gamba non dovrei trasformarmi anche io con la luna piena?
Si fermò di colpo e rimase in silenzio per lungo tempo.
- Il dente ti ha ferita dopo che era stato asportato, perciò non hai nulla da temere-, disse esitante.
Mi sembravano delle spiegazione un po' campate in aria.
- Oggi mentre facevo la doccia ho visto del liquido nero uscire dalla mia coscia, perciò mi dica la verità!
Il suo viso era stanco, sembrava invecchiato di una decina d'anni. Lo avevo messo alle strette.
- Ho una mia teoria, ma finché non ne sono sicuro non ne voglio parlare.
- Mi aveva detto che mi avrebbe rivelato ogni cosa.
Si toccò la fronte in segno di rassegnazione e si spettinò i capelli biondi.
- La mia teoria è che abbiate un legame in comune e che questo ti renda immune dal suo morso. Ecco perché hai visto il veleno defluire dal tuo corpo.
Ero rimasta stupefatta, allora era tutto vero, ero legata a quel mostro per qualche oscuro motivo.
La notizia mi aveva sconcertata, non riuscivo a lasciare il mio nuovo ciondolo.
- È per questo che il suo odore è camuffato col mio?
- Difficile a dirsi, ma sono certo che si tratti di pratiche sovrannaturali molto antiche.
- Signor Miller...
- Chiamami pure Daniel.
- Daniel, quando dirà a June che cosa sta per diventare?
- Avevo intenzione di dirglielo oggi-, il mio cuore sussultò.
- Ci potrei essere?-, stava per negarmelo, ma lo anticipai sul nascere - June è testarda e non le crederà. La prego mi faccia essere presente.
- Solo se mi darai del tu-, mi sorrise paternamente.
- Fatti trovare da lei alle due del pomeriggio-, feci un cenno col capo ed uscii dalla porta. Scesi i tre scalini bianchi del portico e raccolsi da terra la bicicletta che era coperta da uno strato ghiacciato di neve. Pulii velocemente il sellino e il manubrio, montai in sella e cominciai a pedalare verso casa. A metà del percorso toccai l'osso attorno al mio collo ed ebbi una sorta di visione. Vidi un grande albero dalle radici bianche tinte di un rosso scuro. La visione durò un nanosecondo, ma fu abbastanza per farmi perdere l'equilibrio e cadere a terra. Per evitare di assaggiare l'asfalto, misi le mani davanti e il risultato fu che le ferite cominciarono a riaprirsi e un punto saltò via. Il ginocchio si sbucciò e cominciò a bruciare.
Delle braccia forti mi sollevarono fino a farmi tornare in posizione verticale.
- Dovresti stare più attenta.
- Alec.
Non ci parlaco da quella terribile sera di Halloween quando lui aveva scoperto che io ero a conoscenza del loro segreto e che ero io l'intrusa alla loro riunione nella foresta.
- Derek è preoccupato per te.
- Sto bene.
- Potresti dirglielo-, mi sentivo in colpa, Derek era sempre premuroso con me, ma dopo averlo visto con il collo spezzato nel mio sogno, temevo per la sua incolumità, perciò cercavo di tenerlo a distanza.
- Non credo tu sia in grado di andare in bicicletta.
Sentivo la mia mano pulsare e la testa mi stava scoppiando.
- Mi daresti un passaggio?
Mi mise una mano sul fianco e io appoggia un braccio intorno alle sue spalle. Come Derek emanava un certo calore, forse era nella loro natura essere più caldi del normale.
Il contatto della sua mano sul mio fianco mi provocò un leggero rossore alle guance.
Mi aprì la portiera della sua bella porsche grigia metallizzata, mi tirò indietro il sedile per poter allungare la gamba dolorante e infine mi aiutò ad entrare. Mentre lui saliva dall'altra parte dell'auto vidi al finestrino Ashley che stava parlando animatamente al telefono con qualcuno. Presunsi che stesse parlando con Victoria del fatto che Alec mi stesse riaccompagnando a casa.
- Ross, io, te e Derek dovremo parlare prima o poi-, mi aveva chiamata Ross?
- So che eri tu quella notte e che Derek ha fatto sparire le tue tracce-, disse infervorato.
- Perché sei arrabbiato, stava solo cercando di proteggermi.
- Ha mentito al branco, alla sua famiglia e a me. Sei una ragazzetta umana, non puoi capire il valore del branco.
- Fermati-, non si fermò.
- Fermati!-, ripetei tremante di rabbia.
Accostò. Aprii la portiera, ma mentre stavo per uscire dall'auto mi prese il polso. Mi guardò intensamente, gli occhi erano incandescenti, potevo sentirne la potenza primordiale da quella distanza. Mi lasciò il braccio e guardò dritto davanti a sè, come se fossi uno scocciatore e che se non mi avesse guardata e avesse fatto finta di niente, me ne sarei andata via. Sbattei la portiera e camminai fino a casa mia con la rabbia come unica fonte di riscaldamento.
Prima mi chiamava Ross, come se fossimo amici, e poi mi diceva ragazzetta umana come se fosse colpa mia della mia natura. Ero così furibonda che quando tornai a casa non notai nemmeno la polizia nel mio salotto.
- Roxanne, che ti è successo?!-, mia madre accorse subito e cominciò a tempestarmi di domande.
La tranquilizzai e le raccontai che mi si era rotta la catena mentre stavo usando la bici ed ero caduta. La mia versione sembrò convincere tutti.
- Lo sceriffo e il suo vice sono qui per porti alcune domande-, comunicò mio padre. Sembrava malato, aveva la pelle screpolata e bianca, gli occhi rossi e scavati, i capelli spenti e scompigliati e il suo abbigliamento non migliorava la situazione. Capii solo in quell'istante che mio padre stava affrontando l'astinenza da plenilunio da solo e un velo di tristezza e compassione coprì il mio volto.
Mi sedetti sul divano tra mio padre e mia madre a cui strinsi le mani e loro mi infusero coraggio.
- Potreste lasciarci soli?-, chiese il vice sceriffo educatamente.
- Preferiremmo essere presenti, dato che nostra figlia è ancora minorenne-, rispose mio padre.
Il vice guardò di sfuggita il suo capo che sembrava al quanto irritato dalla risposta di mio padre.
- Dove ti trovavi tra le tre e le quattro del mattino?
- Avete i video con ora e data!-, mi difendei.
- Abbiamo bisogno di più dettagli.
- Ero a casa degli Oldwood per la festa organizzata da suo figlio.
- Cosa hai fatto durante la serata?
- Inizialmente ero con June Carter e Tyler Park, ma mi era venuta fame e così, mentre cercavo qualcosa da mettere sotto i denti, mi imbattei nel mio fidanzato, Derek Moon. Dopodiché siamo tornati a ballare coi nostri amici, finché non mi sono sentita male e sono uscita dalla casa dove ho incontrato prima Declan che cercava Lucas e poi Alec Oldwood, con cui sono rimasta fino a sentire il grido di Declan.
- Perciò lei non c'era durante il ritrovamento del cadavere.
- No.
- E queste persone possono confermare la sua versione?
- Sì.
- Poi cosa accadde.
- Dopo il ritrovamento del cadavere ci è stato chiesto di tornare alle nostre rispettive case ed io e June ci siamo dirette verso la sua auto, ma captai una presenza, così mi girai, vidi quell'enorme bestia e scappammo.
- Ci puoi riferire in maniera dettagliata lo svolgersi dell'aggressione?
Dovevo stare attenta a cosa dicevo, perché se avessi rivelato troppo mi avrebbero scoperta.
- Ricordo che stavamo correndo. Ho sentito June che veniva strattonata via. Poi ho visto quella bestia che le martoriava la spalla e...
- Descrivilo-, mi interruppe bruscamente lo sceriffo Black.
- Aveva la pelliccia nera, era molto più grosso di un lupo normale e aveva una cicatrice importante sull'occhio destro che non gli permetteva di aprirlo.
- Scusi mi può portare dell'acqua?-, chiese gentilmente il vice a mia madre.
Lei sembrò al quanto disorientata dalla domanda, ma senza discutere andò in cucina.
Capii immediatamente che era una scusa per mandare via mia madre e fare la prossima domanda.
- Di che colore erano?
- Rossi.
- Ne sei davvero sicura?-, chiese guardingo il signor Black.
- Non potrei mai dimenticarmi quegl'occhi.
I due uomini si guardarono a lungo come se stessero avendo una conversazione silenziosa, le sopracciglia si incurvavano e le mascelle si serravano.
- Adesso dobbiamo andare a fare rapporto, grazie di aver collaborato-, ci strinsero la mano, ma lo sceriffo indugiò a lungo fissandomi negli occhi come se celassi un segreto di cui lui era a conoscenza e sapeva della mia colpevolezza.
Mia madre tornò col bicchiere d'acqua.
- Mi spiace ma dobbiamo andare, la ringrazio lo stesso.
Uscirono dalla porta e se ne andarono con tutta fretta.
- Nessuno sa più cosa siano le buone maniere.
Se ne andò in cucina a finire di preparare la torta di mele per June.
- Papà, sei certo di non ricordarti nulla?
- Ricordo soltanto che qualcuno stava chiedendo aiuto nel bosco e quando arrivai nel luogo da cui proveniva quella voce, qualcuno mi colpì forte alla testa. Ci sono solo ricordi confusi nella mia testa.

Mangiai un boccone veloce e poi andai di fretta all'ospedale. Entrata nella stanza trovai June che faceva un pisolino. La vedevo più serena rispetto al giorno prima.
Doveva aver sentito la presenza di qualcuno, perché si svegliò poco dopo il mio arrivo.
- Buongiorno, bella addormentata.
- Cos'è questo buon profumino?-, domandò annusando l'aria.
- Mia madre mi ha chiesto di darti questa-, tirai fuori dalla busta di plastica la torta.
- La mia preferita!
Ci mangiammo una fetta entrambe.
- È un'ottima cosa che ti sia tornato l'appetito.
- Qui mi danno solo brodini. Una ragazza cosa deve fare per avere una pizza?-, le sorrisi debolmente.
- Tutto a posto?
- Domani ci sarà il funerale di Lucas...
- Ci sarò.
- Ma stai appena recuperando le forze e Declan capirà...
- Non lo faccio per Declan, Lucas era anche mio amico.
- Che strano parlarne al passato...
Mi prese la mano tra le sue.
- A che ora è?
- Comincerà alle tre del pomeriggio.
- Perché hai quella schifezza al collo? È tipo un souvenir?-, domandò indicandomi il seno.
- È il mio tesoro.
- Ti lascio per due giorni e sei diventata Gollum?-, cominciai a ridere di gusto, quando il dottore entrò gelido nella stanza. Il suo viso era praticamente impenetrabile, non riuscivo a capire in quale stato emotivo fosse.
- Ciao June, come ti senti?
- Per essere stata uno spuntino, abbastanza bene-, il dottore incurvò le labbra per un istante.
- La tua amica ed io volevamo parlarti di una faccenda molto importante.
- Sto morendo? Lo sapevo, sto morendo.
- No! Non stai morendo!-, mi affrettai a cancellare quella terribile idea dalla sua mente.
- Meno male-, appoggiò di nuovo la testa sul cuscino.
- L'animale che ti ha morsa, non era un semplice lupo. Era un licantropo.
- Quand'è che dovrebbe far ridere?
- Non è una barzelletta, è la verità, anche mio padre è stato morso dalla stessa bestia-, spiegai.
- Voi vorreste farmi credere che adesso con la luna piena mi trasformerò nella donna lupo e andrò in giro a sbranare campeggiatori, perderò il pelo e ululerò alla luna?
- È difficile credere alle nostre parole me ne rendo conto, perciò ti darò una piccola dimostrazione-, chiuse gli occhi e quando li riaprì erano sulfurei.
- Lenti a contatto-, confermò lei.
- Glielo avevo detto che sarebbe stata dura-, dissi a bassa voce.
- Non ho altra scelta allora...
Andò alla finestra e abbassò le tapparelle, lasciando la luce all'esterno. Poi chiuse la porta a chiave.
- Cosa sta succedendo?-, chiese June. Nemmeno io ero certa di quello che intendesse fare il dottor Miller.
Rimase in silenzio con gli occhi chiusi e lo sguardo rivolto al soffitto.
Cominciò a togliersi il camice, poi le scarpe e infine la camicia.
- Ma che cavolo...
In quel momento capii cosa volesse fare e le tappai la bocca immediatamente, così che non potesse urlare.
Sentivo le ossa che si spezzavano per ricombinarsi in una forma nuova. Le unghie e le orecchie cominciarono ad allungarsi e i denti diventarono zanne, gli occhi ritornarono di un giallo puro. Poi dalla sua pelle cominciarono a spuntare dei peli lunghi che diventarono pelliccia in pochi istanti, la mascella si allungò fino a diventare il muso di un lupo. La spina dorsale si incurvò lentamente fino a costringerlo a mettersi a quattro zampe. Un grosso lupo dal manto cenere era seduto davanti a noi. June aveva gli occhi sbarrati, potevo sentire il cuore batterle all'impazzata, ma non gridò; rimase ferma e ammutolita, mentre io, nonostante ci fossi già passata, ero rimasta scossa.
- Non sono pazza, vero? Lo hai visto anche tu il mio dottore fare uno spogliarello e poi diventare un lupo.
- Purtroppo sì.
- Quindi lui è una persona.
- Sì.
- Ed è un licantropo.
- Sì.
- Ed io e tuo padre siamo lupi mannari.
- Come fai a sapere la differenza tra un licantropo e un lupo mannaro?
- Tutti la sanno-, feci una smorfia.
Miller cominciò a trasformarsi di nuovo in uomo e quando fu nudo, voltai lo sguardo, mentre June continuò a guardarlo incredula persino quando cominciò a rivestirsi.
Le diedi una pacca sul braccio per farle notare che doveva essere imbarazzata, ma era come in un'altra dimensione.
Miller dovette ripetere tre volte il suo nome per catturare la sua attenzione.
- Tra pochi giorni ci sarà il plenilunio, perciò non avrai tempo per assestare il tuo nuovo corpo, potresti anche rigettare la trasformazione.
- La ringrazio per la lieta novella.
- Non c'è da scherzare, il padre di Roxanne ha avuto un mese per farsene una ragione e accettare la sua nuova natura, ma non è detto che riuscirà a trasformarsi-, quelle parole furono come uno schiaffo in faccia.
- Adesso riposati June, hai bisogni di tutte le tue forze per affrontare la luna piena.
Si sistemò i capelli allo specchio e uscì dalla stanza.
- June...
- Adesso devo assimilare questa notizia inaspettata, ti chiedo gentilmente di lasciarmi da sola.
- June...
- Ci vedremo domani al funerale.
Con occhi bassi uscii dalla sua stanzal, poi me ne tornai a casa con nuovi dubbi e nessuna reale risposta alle vecchie questioni.

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