Capitolo 26- Lontano da tutti, lontano da lei.

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Il telefono mi vibra in tasca. "Sono già arrivati..."

Alis mi sta ancora disinfettando i graffi, ma la scosto con violenza e torno rapidamente in camera, rivestendomi. Non fa in tempo a chiedermi qualcosa che sono già scesa dalle scale con la mia roba sotto braccio.
-Ehi, che fai?
Chiede, trattenendomi per il gomito una volta arrivate all'ingresso. "Non doveva sapere dei graffi... Nessuno doveva saperlo... Invece mi sono lasciata guardare e curare da una ragazza che conosco da poco più di due mesi, come fossi un cane bastonato! Posso benissimo cavarmela da sola!"
-Lasciami andare.
Le intimo, senza riuscire a guardarla. "Non voglio abbia il controllo su di me. Nessuno ce l'ha, ne i miei genitori, ne  tanto meno lei."
-Dimmi cosa ti è preso, Shey.
Chiede con voce ferma, guardandomi con un'espressione preoccupata.
-Io non prendo ordini da nessuno!
Grido, strattonando via il braccio dalla sua presa. Apro la porta d'entrata e corro fuori, nel buio glaciale della sera.
Corro senza fermarmi. Corro per restare senza fiato. Corro per raggelare quella rabbia che ancora bolle dentro di me. Corro, perchè fuori dalla villetta non c'è nessuna macchina ad attendermi.
Il messaggio era un e-mail dalla scuola. "Da domani hanno inizio le vacanze invernali".
Un pessimo momento per avercela col mondo.

Mi dirigo verso casa con passo veloce, deciso, sferrando pugni e calci ad ogni muro che trovo, con il brutale intento di ferirmi le nocche, già screpolate per il freddo. Perchè quei graffi non mi bastano, e il nervosismo non passa. Voglio sentire il sangue scorrermi sulle dita, voglio sentire il dolore farsi strada nei miei muscoli. Voglio sfogare la rabbia sopita per i miei genitori, per la mia debolezza, per i maltrattamenti, e per lei. 
Mi sono di nuovo aperta con qualcuno, qualcuno che potrebbe ferirmi più di chiunque altro. "Perchè ho corso questo rischio? Perchè mi sono fidata così ciecamente di lei?" mi chiedo, mentre lascio un attimo di respiro alle mani martoriate. Le gambe si bloccano nel momento in cui noto, in piedi in un angolo, un giovane con una felpa scura e un cappello da baseball calato sul volto, le mani lungo i fianchi. 
E' fermo, immobile, funereo, gli occhi spalancati dallo sguardo di ghiaccio puntati su di me.
Mi guardo intorno in cerca di qualcun'altro, tenendolo sott'occhio, ma non trovo nessuno. Muovo lentamente un passo, e poi un altro, con cautela, la paura folle che il giovane possa scattare da un momento all'altro verso di me.
Non si sposta di un millimetro, seguendo i miei movimenti soltanto con lo sguardo. Dopo un'ultima occhiata a quell'individuo comincio a correre, sperando di non averlo alle calcagna, e arrivando finalmente sotto il portone di casa mia.
Con il cuore in gola citofono a mio fratello, che mi fa entrare senza prestare attenzione alle ferite e al fiatone che mi ritrovo. Mi butto sotto la doccia, dimenticandomi di avvisare i nostri genitori, ancora turbata da quell'inquietante figura che mi fissava, come fosse senza vita. "Avevo già visto una scena del genere... Ma dove?"  
Sotto il getto caldo sento bruciare il collo e le mani nei punti sanguinanti, ma non mi sposto. "Ho sbagliato a dire quelle cose ad Alis, e ad averla allontanata..." rifletto, ripensando a tutto quello che fin ora quella ragazza ha fatto per me. Non mi ero mai aperta così tanto con nessuno, e non avrei saputo trovare persona migliore con cui discuterne. Il senso di abbandono torna a farmi visita quando le lacrime iniziano a mescolarsi con l'acqua scrosciante.

"Non mi ha mandato alcun messaggio, e probabilmente non vuole più saperne di me... Da quando sono comparsa nella sua vita non ho fatto altro che crearle problemi. Sono più le volte che si è presa cura di me che quelle che abbiamo passato a ridere insieme. E ora le ho detto di lasciarmi stare..." 
Spengo l'acqua, ma non riesco a fare lo stesso con i miei pensieri, che nel lugubre silenzio dell'appartamento diventano sempre più rumorosi.

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