Prologo

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«Sam, ti prego...» lo stava supplicando. Le mani alzate all'altezza del petto, i palmi vuoti rivolti verso di lui e la canna della semiautomatica che le stava puntando contro. Le girava la testa, stava respirando così velocemente da sentirsi soffocare; se avesse dovuto spararle davvero non avrebbe distinto lo scoppio del proiettile che usciva dalla pistola dal martellare del suo cuore che minacciava di esplodere da un momento all'altro. E sarebbe stato meno doloroso - pensava - che continuare a sentire quello sguardo di disgusto, di disprezzo e repulsione sugli occhi che fino a qualche istante prima non avevano avuto assolutamente nulla da temere da lei.

Di quanto si erano sbagliati, in fondo? Quella domanda le martellava dentro come un tamburo da battaglia prima della carica. Credendo di aver conosciuto ogni suo lato, ogni sua imperfezione, ogni suo vizio e fragilità, Sam non aveva che scalfito la superficie di un gigantesco relitto che si trascinava avanti da secoli. Ma ora, ora poteva vederla.
«Sam, sono io!» giurò con voce tremante Alex, gli occhi azzurri e lucidi cercavano i suoi, speculari; un passo avanti «Sono sempre io!». Ma lui le aveva sollevato ancora l'arma contro, le mani gli tremavano appena, strizzava gli occhi come per mettere meglio a fuoco la sua sagoma. Ordinò: «Stammi lontana!».

Non sapeva ben dire, poi, come fosse finita a terra da quel momento; non provava dolore da così tanto tempo che quell'unico colpo che l'aveva trapassata aveva fatto tabula rasa dei suoi pensieri, riducendoli ad un foglio bianco e inespressivo. Non era passato che un istante, ma tutto sembrava procedere così lentamente che pareva un'eternità dall'ultimo respiro che aveva preso. Inspirare faceva male. Sollevò a fatica una mano inzuppata di quel liquido denso e viscoso nel quale era immersa, ne osservò il colore vermiglio quasi rapita, ma non realizzò ancora quello che stava succedendo. Tutto, attorno a lei, era avvolto da una calma innaturale. Erano sparite le urla, le minacce, i timori; anche la voce di Sam era diventata gradualmente un eco distante e soffocato nel silenzio sovrumano che la circondava. Sto per morire? Tutto ciò che provava era un profondo senso di inquietudine che andava gradualmente sfumando con quell'ultima percezione che aveva di sé.

«Alex!»

L'asfalto era freddo e asciutto, il cielo che la sovrastava - la schiacciava - era profondo e nero come ciò che custodiva dentro di lei. Non c'erano stelle, non c'era nemmeno la luna: le nubi coprivano con la loro coltre tutto ciò che riusciva a percepire intorno a lei e nell'aria si avvertiva quell'odore metallico e frizzantino che precede la pioggia. Le veniva quasi da ridere, se pensava all'ultima volta che l'aveva assaporato. Quel giorno.

Il loro primo giorno.

Il loro primo giorno

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Hypnophobia (#wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora