Capitolo 16 - The Rabbit Hole

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Gli diede una mano ad aprire la porta ed entrare.
Vederlo barcollare era buffo, doveva ammetterlo, soprattutto perché non riusciva a capire se quel suo muoversi goffamente fosse dovuto agli effetti degli antidolorifici sulle sue capacità di coordinamento o al fatto che la caduta l'avesse lasciato a pezzi – letteralmente – ma perfino Alex non era così crudele, se non sadica, da lasciarlo barcamenarsi da solo nella sua personalissima battaglia per l'equilibrio contro la forza di gravità.

Tornare a casa sua, dopo l'episodio del fraintendimento, faceva uno strano effetto. Lasciò lo sguardo scivolare sulle curve sinuose dell'otto laccato in oro affisso sulla porta bianca, completamente immersa nel suo personalissimo deja-vu.
Osservò Sam precederla all'interno dell'abitazione, stavolta per accendere la luce e farle strada. Se non altro, ebbe la certezza di trovare una casa praticamente vuota. Non c'era nessuno, se non una cuccia vuota che presagiva la presenza di un cane del quale, tuttavia, non notò traccia.
Comunque, la sconosciuta ormai identificata come la psicologa di Sam non era in casa, ennesima prova che, se non altro, quello strambo agente dell'FBI diceva la verità.
Dopo qualche secondo di esitazione, finalmente decise di farsi avanti e entrare nel piccolo e stretto corridoio all'ingresso, con la scalinata bianca che conduceva al piano superiore. L'altro la aspettava – sostenendosi con l'aiuto della parete – di fronte ad un arco laterale che apriva su un modesto salotto dalle pareti bianche.
«Cos'è, Black? Hai paura che ti chiuda dentro a chiave?» la provocò, distendendo le labbra sottili in un sorriso che – per quanto potesse sembrare assurdo rintracciarlo sul suo volto – aveva una sfumatura quasi sfacciata. Alex, del canto suo, non si lasciò né intimidire, né mettere a tacere.
«Non credo che sarei io ad aver paura, in quel caso.»
«È una minaccia?»
«Un suggerimento.»
Sam si lasciò sfuggire una risata sommessa, mentre scuoteva lievemente il capo; i riccioli bruni lo seguirono dolcemente nel movimento. Lo raggiunse con pochi passi e, prima che potesse riprendere a camminare da solo (sempre che quel suo oscillare a destra e a sinistra potesse davvero definirsi tale) intrecciò il braccio col suo per sorreggerlo.
Notò l'occhiata breve che le rivolse non appena avvertì il contatto con la stoffa della sua giacca nera che scivolava su quella della camicia e l'espressione imbarazzata sul suo volto mentre si facevano strada a vicenda: la trovò, a suo modo, dolce. Per quanto stesse cercando di rendersi sicuro di sé, Samuel era adorabilmente impacciato.

«Una volta l'hanno fatto.» fu lei a riprendere la parola, stavolta, nel tentativo di rompere da subito la cortina di difficoltà che, in qualche modo, paralizzava entrambi «Due ragazzi sulla ventina; ero parecchio ubriaca e non ricordo come è successo, ma mi hanno chiusa nel loro garage per almeno un paio di giorni».
Seguì un breve silenzio.
Le sembrava qualcosa di divertente da raccontare: così, per spezzare il ghiaccio; lo sguardo a dir poco sconcertato che le rivolse Samuel fu, tuttavia, un ottimo indizio per capire che forse aveva scelto l'aneddoto sbagliato nella sua collezione di ricordi. E dire che non era nemmeno il più inquietante che avrebbe potuto estrarre dal cilindro.
«In un garage?»
Alex annuì con decisione.
«Per due giorni.»
«Due giorni!» le labbra di Sam disegnarono un cerchio perfetto «Diamine. Immagino che la polizia sia intervenuta per tirarti fuori.»
«No, no.» negò lei, scrollando appena le spalle con una certa naturalezza che sembrò spiazzare il povero interlocutore ancora più della rivelazione in sé «Non ricordo cosa è successo il primo giorno, ma il secondo quei due mi hanno offerto una birra e abbiamo stretto amicizia. Erano così fatti da non ricordare nemmeno perché mi avessero portata lì... e adesso mi portano sempre dei muffin alla marijuana a Natale.» impiegò un paio di secondi per realizzare di aver pronunciato quelle parole davanti ad un agente federale; arrovellò la lingua un paio di volte, prima di riuscire a correggersi con un poco convincente «Volevo dire: al cioccolato». Ma fortunatamente, la mente di Sam era focalizzata sulla prima parte del discorso e sorvolò completamente su quel minuscolo dettaglio.
«Hai fatto amicizia con i tuoi rapitori.» lo sentì ricapitolare brevemente, con un'espressione incredula che sembrava a stento contenere una sincera risata.
«Erano tipi a posto!» si giustificò lei col palmo della mano libera alzato, senza però riuscire a mantenere lo stesso contegno «Intendo: rapimento a parte. Ma ho incontrato gente peggiore».
«Ti dirò che la cosa non mi soprende affatto.»
«Mi sarei stupita del contrario.».

Hypnophobia (#wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora