Se ne versò un altro bicchiere: ah, quel whisky irlandese scivolava giù per la sua gola che era un piacere; lo rinvigoriva, gli grattava via dall'interno tutto il nero che si era addensato nella sua anima, in quegli anni. O forse, in realtà, peggiorava solo le cose.
In ogni caso, Aidan evitò da principio lo sguardo ammonitore di William, che aveva appena accolto nel suo appartamento. Affondò il vetro del contenitore tra le labbra fine e inghiottì come se avesse avuto tra le mani un freschissimo calice d'acqua pura o una tazza di gustoso latte caldo. L'alcol, ormai, non sortiva alcun effetto sulle sue papille gustative, non lambiva la carne viva al passaggio nella faringe: al massimo, poteva scacciargli di dosso quei brutti pensieri che lo tormentavano continuamente.
Responsabilità: che maledizione.
«Non ti chiedo nemmeno se ne vuoi un sorso,» esordì, accomodandosi sulla sua poltrona di pelle senza necessità di chiedere all'interlocutore se avesse voglia o meno di fare altrettanto «tanto rifiuteresti». Di tutta risposta, William scrollò le spalle con noncuranza, affondando le lunghe dita della mano sinistra nella tasca opposta della sua giacca nera ed estraendone un pacchetto di Chesterfield appena comprate ed un accendino dorato, di quelli vecchio stile: un pezzo d'antiquariato d'ottone, che si portava appresso da chissà quanto tempo. Dan, del canto suo, si limitò ad osservarlo mentre tirava fuori dal contenitore una sigaretta – che trattenne saldamente tra indice e medio della mancina – e con la mano libera armeggiava col singolare oggettivo per farne zampillare una fiammella.Il fumo impiegò poco tempo a diffondersi per la stanza: ovunque, tra quelle quattro pareti, aleggiava già un intenso e penetrante odore di tabacco; non se ne dispiacque: Aidan era avvezzo al fumo e alle abitudini di William, col quale aveva collaborato per più anni di quanti desiderasse ricordarne. Sapeva come quel vizio fosse molto più che solo una semplice assuefazione o un mezzo per ammazzare il nervosismo cronico che si portava dentro: fumare, per lui, era quasi un rito quotidiano, un'attività immancabile senza la quale si aggirava come un'anima in pena, incompleta, mancante di qualcosa. Come si disperava, se qualcuno aveva la brutta idea di nascondergli la sua dose quotidiana di tabacco!
E allora, pur di non sentirlo lamentarsi fino alla nausea, che fossero in strada o – più spesso – a casa semplicemente lo lasciava fare.
Rifiutò con un cenno del capo la sua offerta di unirsi a quella sua cerimonia e prese un altro sorso di whisky. Raddrizzò le spalle e abbandonò la testa allo schienale. Quando si sentì comodo, cominciò a interrogare il compagno.
«Che cosa mi porti?»
William si voltò verso di lui, arricciando appena il naso dritto e sbuffando fuori dalle labbra sottilissime una minuscola e vaporosa nuvoletta di fumo. «Che cosa vuoi che ti abbia portato?» borbottò, con la sua voce cupa e profonda, che quasi stonava con la sua forma allungata e slanciata simile a quella di un albero dal tronco fino.
«Hai trovato Nicholas?»
«Certo che sì. Ne dubitavi?»
Dan si concesse un mezzo sorriso. «Di te, mai.» confidò, senza lasciar intendere se il suo tono fosse sarcastico o meno e affogando qualunque altra incertezza a riguardo in un nuovo sorso della sua preziosa bevanda; dopotutto, non c'era da farsi troppe domande sulle informazioni che Will gli forniva: era sempre stato una fonte affidabile per ogni lavoro che gli affidava, come anche per ogni collaborazione sulla quale si accordavano.
Erano le motivazioni che lo spingevano ad unirsi alla causa di volta in volta – per quelle che gli presentava essere – invece, a non essere mai troppo degne di fiducia. D'altra parte, quell'enigmatico individuo liquidava ogni richiesta scomoda in proposito con la lapidaria risposta: "non credo che la faccenda ti riguardi". Da quel divieto in avanti, qualunque tentativo di indagine risultava vano.
In questo caso, tutto quel che sapeva del suo interesse nei confronti della questione era una fantomatica pura curiosità che, associata al giovane Anderson, poteva voler dire tutto e niente. E Aidan, del canto suo, se n'era dissociato in partenza. Erano i risultati che lo riguardavano ad avere tutta la sua attenzione.
«E quindi?»
«Come avevamo detto. Samuel Jackson, profiler dell'FBI.» lo vide stringersi nelle spalle nere, come un corvo che si chiude nelle ali d'inchiostro «Il tipo di tua sorella. Disturbi psicologici a non finire, visite mediche a domicilio praticamente ogni settimana, più pasticche di quante ne abbia prescritte tutte insieme in una sola volta nella mia intera carriera. E io ne ho viste...».
Aidan strinse le labbra e si rigirò il bicchiere di vetro tra le mani; osservò la luce che s'insinuava all'interno dalla finestra rifrangersi sulla sua superficie lucida e levigata. Non era la prima volta che ascoltava questo tipo di storia.
«Che altro hai su di lui?» incalzò, senza sollevare lo sguardo su William; questo dovette ridacchiare: ne riconobbe il gorgogliare sommesso della voce.
«Tutto quello che ti serve sapere.» annunciò subito dopo, senza troppi mezzi termini; cominciò a passeggiare per l'ampio salone, una sigaretta accesa in una mano, l'accendino spento nell'altra. Ogni sua falcata macinava circa un metro.
«34 anni, nato in Louisiana, cresciuto a Baltimora. Perde i genitori in tragiche circostanze e, beh, il trauma lo segna come ci si potrebbe aspettare:» pausa: prese una boccata dalla sigaretta, ne assaporò l'aroma e solo dopo un lungo minuto ricacciò fuori quel fumo liberando completamente i polmoni; riprese fiato, continuò: «rilevanti disturbi del sonno, della personalità, atteggiamenti violenti, problemi relazionali, tachicardia. La cartella riportava tre crisi epilettiche in età adolescenziale, in seguito alle quali è stato ricoverato a Washington per controlli; ma non sembra che abbiano avuto un seguito rilevante in episodi successivi. Adesso collabora con la scientifica della sezione vittime speciali in qualità di agente federale».
«A vederlo, sembrava un tipo tranquillo...»
«Tu non badi abbastanza ai dettagli.»
«A quali dettagli?» un altro sorso di whisky, finché anche l'ultima goccia nel bicchiere non arrivò a inumidirgli le labbra «Non è che ci abbia mai parlato. Potrebbe essere chiunque.»
«Certo, chiunque. E ti ho già detto come si chiamava suo padre?»
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Hypnophobia (#wattys2017)
Paranormal#13 in Paranormale il 22.06.2016 - Grazie di cuore! ♥ Derange one life. Set the world on fire. «Sam, sono io! Sono sempre io! » Dicono che sbagliando, si impara dai propri errori. Alex Black non ha mai impara...