Capitolo 9 - Home

271 45 37
                                    

«Samuel Jackson.»
Aveva appena finito di raccontargli tutto. Nick si portò la sigaretta alla bocca, appoggiato com'era ai gradini di granito della scala al secondo piano del palazzo abbandonato, inspirando a fondo e assaporando l'inebriante gusto del tabacco; Alex lo osservò sollevare distrattamente gli occhi grigi nella penombra di quell'immensa sala vuota e umida verso il soffitto gocciolante, ed assottigliare lo sguardo come se stesse cercando di leggervi qualcosa.
«Come l'attore? Quello di Pulp Fiction?»
Alex non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Certo, proprio un tipo da Pulp Fiction! Immaginare un tipo tutto sommato tranquillo come poteva essere Sam nei panni di uno spietato e teatrale killer direttamente uscito dall'universo di Tarantino era quanto di più ridicolo e incongruente potesse capitarle per la mente.
«Ti prego! Neanche lontanamente!» replicò quasi subito, sforzandosi di restare seria senza nemmeno troppi risultati; ma Nick aveva già cominciato a imitare con le dita la sagoma di una pistola, puntando l'arma immaginaria alla tempia dell'interlocutrice: «E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te.» recitò, con voce così volutamente profonda da apparire ridicola, buffa.
Alex scoppiò a ridere e l'amico le fece eco subito dopo.

Tra gli svariati personaggi che Alex aveva incontrato nella sua lunga vita, Nicholas Smith occupava decisamente una posizione particolare. Anche lui era stato un sopravvissuto della Maison: lì si erano conosciuti.
Era alto – molto più di lei – ma anche incredibilmente magro, tanto che se si fosse sollevato la t-shirt dei Black Sabbath che indossava sotto la camicia a scacchi rossi e neri aperta frontalmente, era sicura che avrebbe potuto contare ogni sua costola sotto la sua pelle tirata, chiarissima. Pallido, il suo volto affilato e sottile – sul quale spiccavano gli occhi chiari – era incorniciato da una pioggia di corte ciocche biondo cenere.
Non aveva l'aspetto, né l'accento di un newyorkese – non sembrava nemmeno americano, ma un qualche turista dell'Europa continentale – e Alex non avrebbe mai potuto immaginare che un tipo del genere sarebbe finito a dirigere il più grande giro di spacciatori di metanfetamina a Brooklyn.
Era poco più che un ragazzo, fuggito da casa troppo presto e accortosi del proprio errore troppo tardi. Suo padre era finito in prigione a seguito di una frode fiscale finita male, sua madre si impasticcava dal momento in cui aveva visto il marito ammanettato dalla polizia, così su di lui erano cadute responsabilità che non era in grado di gestire ed aveva finito col passare di psicologo in psicologo, tra un'espulsione da scuola e l'altra, per dei comportamenti indisciplinati che non si era nemmeno mai accorto di aver assunto. Era fuggito per pura voglia di liberarsi, di ricominciare da zero e annullare tutto quel che era stato fino a quel momento, tutto quello che gli era stato costruito sulle spalle senza che nemmeno se ne rendesse conto o avesse possibilità di obiettare.
E così aveva incontrato lei.

Nicholas non era nemmeno il suo vero nome, che comunque non si era mai sentito in vena di rivelarle, non perché mancasse di fiducia nei suoi confronti, ma semplicemente perché c'erano tratti del suo passato che non desiderava ricordare: e Alex aveva rispettato questa sua volontà senza opporsi. Anzi, fu forse questo tratto che condivideva pienamente con lui ad avvicinarglielo tanto.
Attrarsi l'un l'altra era stato estremamente facile.
Alex marchiò col suo nome ogni prima volta di Nick, anche la sua discesa rapida verso l'illegalità per la quale, in un modo o nell'altro, s'era sentita direttamente responsabile. Tra la vita ricca di opportunità che avrebbe potuto riprendersi e quella che attualmente conduceva Nick c'era del sangue versato che non avrebbe mai potuto restituire a nessuno.

«È più un tipo da A Beautiful Mind.» riuscì a spiegare, non appena il diaframma smise di bastonarle i polmoni; la reazione del compagno fu esattamente quella che si aspettava: sopracciglia sollevate ed un'espressione a metà tra l'incredulità e il disincanto. Immaginare una come lei, una ragazza dei sobborghi di Brooklyn, a scambiare quattro chiacchiere amichevoli con un brillante agente di Manhattan non poteva che essere una pura astrazione.
«Scherzi?»
Eppure, le piaceva. Parlare con Sam, osservare le sue labbra distendersi in brevi e timidi sorrisi quando sollevava la mano per salutarla, notare i suoi gesti nervosi e frenetici ogni volta che qualcosa – anche la situazione più sciocca e ordinaria – lo metteva in difficoltà.
«Giuro.» confermò, sfilando la sigaretta di mano a Nick per rubargli un tiro; come sempre, le sue unica boccate di fumo poteva scroccarle solo dai pacchetti altrui. Espirò quasi subito, il tempo di riassaporare quel gusto intenso, al quale non era più troppo abituata, e restituì il cilindro di carta e tabacco al povero derubato, scontrandosi con il suo sguardo di rimprovero, che si faceva di secondo in minuto più affilato e tagliente.
Lo vide afferrare la sigaretta con un gesto brusco, per poi spegnerla subito dopo sulla parete alla quale, fino a quel momento, s'era poggiato con la spalla sinistra.
Alex stirò le labbra e si morse le guance, distogliendo le iridi azzurre da quelle argentee di lui, sferzanti come sottilissime lame di ghiaccio. Dardeggiò la sala spoglia e umida, come cercando una via di fuga da quella situazione. Conosceva abbastanza bene quel ragazzo da sapere che tutta quell'improvvisa ostilità non dipendeva certamente da una sigaretta scroccata.

Hypnophobia (#wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora