Una manica, poi l'altra. Indossata la giacca nera, infilò il cellulare nella tasca sinistra e tirò fuori da quella destra le chiavi del locale. Orario di chiusura: quattro del mattino. Mentre si passava una mano tra una ciocca corvina e l'altra della sua folta criniera nera, Alex si chiedeva quale fosse il dannato squilibrato che avesse l'intenzione di entrare in uno stramaledetto diner alle quattro del mattino e che, per giunta, si portasse dietro una buona scorta di coraggio per chiedere anche qualcosa alla cucina, tra l'altro chiusa da un pezzo. D'altra parte, era pur sempre quel lavoro che le permetteva di sopravvivere con uno stipendio al minimo sindacale e un appartamento che occupava abusivamente con la sua coinquilina senza decidere di suicidarsi una volta per tutte, quindi quella domanda se la faceva, ma aveva anche il buon senso (il più delle volte) di non porla pure al proprietario, che nel peggiore dei casi si sarebbe offeso e l'avrebbe licenziata, mentre nel migliore le avrebbe dato ragione e l'avrebbe licenziata comunque.
Uscì a passo svelto, richiudendosi la porta alle spalle e voltandosi subito dopo per inserire la chiave nella fessura della serratura e girarvela un paio di volte. Bene, turno finito: ora la aspettavano un paio d'ore di riposo prima di un'allegra sveglia alle sei del mattino, una doccia fredda e veloce dopo aver bellamente ignorato la colazione e un altro turno di lavoro come babysitter a casa di una coppia di drogati benestanti che non avevano abbastanza tempo per farsi di eroina e, contemporaneamente, badare ai propri figli.Scrollò le spalle, rinfoderando le chiavi nella tasca e preparandosi a tornare a casa. In fondo, la vita a Brooklyn non era così male. Aveva passato momenti peggiori, nella sua vita, e sicuramente non poteva lamentarsi rispetto a quando era stata processata dal tribunale dell'Inquisizione o a quando aveva rischiato il rogo in pubblica piazza con l'accusa di stregoneria. Ma sì, in fondo non aveva aspettative tanto alte, forse perché nella vita non aveva mai ottenuto poi granchè e limitarsi ad una sopravvivenza ai margini della società umana, tutto sommato, le bastava. C'erano sicuramente altri vampiri che se la passavano meglio di lei, certo, ma avevano deciso di perseguire la loro natura e lei, che non uccideva qualcuno da almeno una trentina d'anni, non poteva lamentarsi dell'esistenza grossomodo tranquilla che si era guadagnata. E poi... un'ombra. Un'ombra? Un'ombra e quindi un cliente?
Forse era più probabile che si trattasse di un malintenzionato, certo, ma quando si voltò le iridi azzurre di Alex Black finirono con l'incrociare quelle del famoso squilibrato delle quattro del mattino che aveva tutta l'aria di voler entrare nel locale, visto come ne scrutava l'interno dalla vetrina per capire se ci fosse ancora qualcuno per servire ai tavoli. Le veniva quasi da ridere.
«Mi spiace, amico, siamo chiusi.» suggerì, mostrandogli il mazzo di chiavi tintinnanti che aveva nuovamente - e prontamente - recuperato dalla tasca del cappotto nero. Lo sconosciuto si voltò immediatamente verso di lei, lo sguardo un po' perso vagò sulla sua figura per almeno un minuto prima di permettergli di formulare una risposta. Alex lo scrutò con una certa curiosità: era un bell'uomo, alto, con le spalle larghe incartate in una giacca troppo grande, occhiali fini e le labbra sottili schiuse in un commento rimasto muto. Ma tutta la curiosità si dissolse nel disinteresse più totale alla luce del fatto che erano le stramaledettissime quattro del mattino e tre minuti e che quell'individuo dall'aria perplessa la stava deliberatamente derubando delle sue meritatissime quasi due ore di sonno. Sollevò la mano libera e schioccò le dita davanti allo sconosciuto per risvegliarlo da quello stato di catalessi nel quale sembrava improvvisamente piombato «Ehi? Mi hai sentito?».
Quello sbattè le palpebre un paio di volte, frastornato; sembrava esser appena precipitato nella realtà direttamente da un altro pianeta. Peccato che quello non fosse il quartier generale della NASA e che lei non fosse un'attrice di un set cinematografico di Spielberg.
«Siamo chiusi!» ribadì, stavolta prestando attenzione a scandire bene le parole che uscivano dalle sue labbra. L'individuo annuì distrattamente, portandosi una mano al volto e passandosi l'indice e il pollice all'attaccatura del naso, nell'intento probabilmente di frenare in qualche modo un gran mal di testa. «Sì, sì, io... mi dispiace. Volevo solo qualcosa da bere.» finalmente parlò, la voce rauca e impastata, le labbra che tremavano sensibilmente. Alex si concesse un'altra breve occhiata allo sconosciuto, prima di congedarsi da lui: il suo volto era teso, gli occhi gli scivolavano continuamente verso il basso, a fissare il terreno, ed erano cerchiati da occhiaie scurissime e profonde. Aveva tutta l'aria di dover affrontare dei terribili postumi da sbornia.
Si rinfilò in tasca il mazzo di chiavi e, sollevando le sopracciglia con un'espressione che aveva dell'eloquente, suggerì semplicemente: «Credimi, bere è l'ultima cosa di cui hai bisogno, in questo stato». L'osservazione dovette infastidire il poveretto, che si rabbuiò di colpo e, corrucciato, replicò seccamente: «Non intendevo qualcosa di alcolico.» lo osservò allontanare la mano dal volto e, finalmente, sollevare lo sguardo verso di lei «Sono in servizio e devo tornare a lavoro tra meno di un'ora.».

STAI LEGGENDO
Hypnophobia (#wattys2017)
Paranormal#13 in Paranormale il 22.06.2016 - Grazie di cuore! ♥ Derange one life. Set the world on fire. «Sam, sono io! Sono sempre io! » Dicono che sbagliando, si impara dai propri errori. Alex Black non ha mai impara...