Capitolo 23 - Reflection

132 27 14
                                    

Stava aiutando Dmitrij a vestirsi.
Erano insieme, lei e Vladimir, ad assistere il fratellino: lui gli sistemava la piccola giacca sulle spalle minute, lei guidava le braccine paffute dentro le maniche. Il bambino rideva, divertito: ogni tanto le rivolgeva lo sguardo furbo, poi una smorfia dispettosa, talvolta perfino qualche capriccio per evitare di dover uscire.
Non gli piaceva farsi vedere in società; piuttosto, preferiva restare alla villa per giocare con i fratelli maggiori, farsi raccontare qualche storia da zia Magdalina. Come dargli torto, d'altra parte? Anche Beth non amava destreggiarsi tra la folla e fingersi una persona ordinaria.
Però quel giorno era necessario che si facessero forza a vicenda.
«Andiamo, Mitja.» lo incoraggiò Erzesebeth, infilando ogni bottone all'altezza del busto nell'asola corrispondente «Soltanto per questa sera. Se sarai bravo, ti canterò quella canzone che ti piace».
Sollevò lo sguardo per incrociare le iridi azzurre ed intense del piccolo - lo stesso colore di tutta la discendenza Romanov - ed accarezzargli la chioma corvina con le dita sottili.
«D'accordo?».

Ma quando lo fece, di Dmitrij e di Vladimir non c'era traccia. L'ampia sala nella quale si trovavano, illuminata dalla luce del sole che trapelava dai drappeggi pendenti dalle finestre, era svanita nel nulla; aveva preso il suo posto una vecchia camera da letto piuttosto buia, colma di giocattoli disordinati e libri aperti.
Le piccole mani che ora cercavano le sue non erano quelle di suo fratello minore, né del gemello. Erano gli arti minuti di un bambino che doveva aver visto da qualche parte, in una memoria lontana e ormai sbiadita. I suoi occhi verdi la scrutavano con una vaga perplessità.
«Chi è Mitja?»
Aveva come l'impressione di aver già vissuto quel momento.

«Chi è Mitja?»
Alex aprì gli occhi di soprassalto, balzando in piedi dalla sedia sulla quale era accasciata poco prima e rischiando, per poco, di investire l'ultimo cliente della serata intento ad avvicinarsi al bancone per lasciare una magra mancia come compenso (probabilmente adeguato) del servizio ricevuto.
Sbatté le palpebre un paio di volte, ancora frastornata dal sonno e con gli occhi pieni di quella breve visione che l'aveva accompagnata nei pochi minuti di riposo che si era involontariamente concessa.
Aveva sognato tutto. E ora, davanti a lei, una poco diplomatica Catherine le scoccava occhiate cagnesche traboccanti di rimprovero.
«Chi è Mitja? Il tuo nuovo datore di lavoro?» la rimbrottò senza riguardi, con entrambe le mani sui fianchi in quella che a Walter piaceva chiamare "la posa della lavandaia" «Perché, di questo passo, ti farai licenziare».
Di tutta risposta, Alex spalancò le fauci in uno sbadiglio decisamente poco aggraziato, che fece inorridire la coinquilina già di per sé piuttosto irritata.
«Sono solo stanca.» si giustificò, quindi, tornando a sedere «Stanotte non ho chiuso occhio». Ed era vero: suo fratello aveva pensato bene di alzare il gomito più del solito, la sera precedente, forse in preda ad un momento di acuto sconforto. Il risultato era stata straordinaria sbornia per lui (della quale portava i postumi in quel momento, probabilmente rintanato sotto le coperte del suo letto tra una bestemmia e un'imprecazione) e una notte in bianco per lei a sostenergli la testa sulla tazza del gabinetto.
«È sul nuovo arrivato che avresti dovuto tenere quell'occhio!» la rimbeccò ancora Cat, stavolta indicando un ragazzo dalla chioma rossa che si destreggiava tra i tavoli dispensando sorrisi e qualche battuta che di tanto in tanto strappava pure qualche risata.
Alex lo seguì con lo sguardo assonnato e impiegò un lungo minuto ad associare quel viso allegro al nome di Daniel Walsh. Per quanto ne sapeva, si trattava di un giovane immigrato dall'Inghilterra con la necessità di un lavoro adatto a mantenersi in modo più o meno dignitoso. Non appena aveva saputo del posto vacante lasciato dalla scomparsa di Errol, aveva tentato col proporsi nel ruolo di tuttofare e, a dirla tutta, se l'era cavata anche piuttosto bene: puliva in maniera decente, non aveva fatto un fiato quando gli avevano mostrato l'uniforme (tornata casualmente all'originale color giallo senape) e portava con sé un pacchetto di sigarette che sembrava essere ben disposto ad offrire alle colleghe, punto non indifferente della lista di prospettive positive.

Hypnophobia (#wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora