Capitolo dodici

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Eric

Non pensavo che le ragazze Abneganti indossassero questo tipo di mutande così sgambate. Ne osservo in particolare una, di pizzo bianco trasparente.

Carina. E le starebbe anche bene addosso...

Mi sveglio dai miei pensieri solo dopo che vedo Alexia fissarmi incredula.

Sto per risponderle ma è con un solo asciugamano striminzito, che le copre solo il lato b e il lato a. Ha l'acqua ancora gocciolante addosso. Alzo le mani e nascondo la testa sotto le coperte. Appena sento la porta del bagno richiudersi, noto che si è messa proprio quelle mutande. Boccheggio, in cerca di aria.

Ora vado lì in bagno e la... tossisco, per calmarmi lì sotto e soprattutto per fermare questi pensieri. Sì, è carina. Ma non quel carina, quell'altro carina. Ma neanche... fanculo. Continuo a prepararle la valigia, o meglio, lo zaino, e ci infilo anche dei trucchi. Nel caso si voglia rendere carina per i suoi assassini.

«Okay.. possiamo andare.» sussurra, afferrando il suo zaino e andando verso la porta.

Guardo il suo fondoschiena, e noto che è be'.. molto morbido alla vista.

Ringhio, sorpassandola e andando a grandi falcate da Quattro. Spero che almeno lui potrà aiutarmi, anche se è uno squinternato.

Che diavolo mi sta succedendo!?

Alexia

Eric se ne va, lasciandomi notevolmente indietro e dandomi addirittura una spallata.

Ma che diavolo gli sta succedendo!?

- - -

Vedo Eric parlare con Quattro, che qualche volta mi rivolge veloci occhiate.

«Ma di cosa state parlando!?» sbotta Zelda, stringendo i pugni e cercando di spingere violentemente Eric, con la conclusione di rischiare di cadere. Ma non Eric, bensì lei.

«Nanetta, stai ferma e torna dalla tua amica.» sbotta Eric, tornando a guardare Quattro.

Ero così felice di come stavano andando le cose tra me e quel decerebrato: dei semplici amici.

Quando eravamo dei semplici trasfazione, gli ho sempre dato filo da torcere, soprattutto perché ero un Abnegante, e lui non si aspettava un carattere così forte in una piccola sedicenne com'ero un anno fa.

Bisticciavamo ogni giorno, eravamo quelli che sul ring si picchiavano di più - anche se, Eric, nonostante fosse considerato spietato e senza cuore, a me non ha mai dato dei colpi fortissimi - e si prendevano più a parolacce. Poi, incominciammo a trovare l'uno nell'altro la forza, e delle motivazioni per dare sempre di più, per competizione. E ci piaceva, quell'odio competitivo che cresceva in noi ogni giorno.

Non ho paura quando ci sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora