4 Capitolo

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2 Giorno

Freddo, era l'unica cosa che sentiva sdraiata dentro quella vasca. Non percepiva nemmeno più la sua rabbia, la collera che era cresciuta fino a scoppiare, che la costringeva a muoversi come se fosse affetta da epilessia. Si dimenava per liberarsi dalla cintura di suo padre con cui le avevano legato le mani dietro la schiena, ma alla fine la stanchezza aveva preso il sopravvento su tutto, anche sulla sua ragione ed era piombata in un sogno più oscuro e freddo della morte.

Si risvegliò il mattino seguente, con il viso schiacciato nella vasca su cui si era posata accorgendosi che con la bocca aperta aveva sbavato. Si alzò di scatto sentendosi sullo stomaco un pesante senso di vergogna, si sentiva sporca, umiliata nel non poter usare le sue mani per pulirsi, per liberarsi ed uscire da quella situazione.

Frustrata si posò di nuovo nella sua vasca a riflettere; due sconosciuti erano entrati nella villa, due gemelli, apparentemente uguali, ma con due caratteri totalmente differenti. Due estranei che girovagavano per la sua casa fregandosene delle leggi e della polizia e lei non poteva fare nulla dato che il telefono era staccato e il cellulare rotto. Nemmeno un vicino che fosse nelle vicinanze e che sentisse cosa stesse realmente succedendo. Era da sola, del resto lo era sempre stata.

Un bussare la riportò nel presente, un bussare sulla porta leggero, quasi non volesse veramente disturbare a cui lei ovviamente non rispose.

-Diletta, sto per entrare.- Aprì la porta lentamente, controllando che non ci fosse nulla di strano e trovò la ragazza rannicchiata dentro la vasca senza che si facesse vedere in viso, non si girò neanche per vedere quale gemello fosse. Lo sentì fare tre passi e lei non fece altro che impietrirsi.

-Non ti avvicinare.- Cercò di dire furente, ma la voce che uscì fuori era roca e flebile, un sussurro che sicuramente lui non aveva sentito. Inginocchiata su quella vasca, chiusa in sé stessa, qualcuno cercò di entrare nella sua fortezza; le mise con una strana delicatezza le mani sulle spalle per poi aiutarla ad alzare il busto.

-Dai Diletta, alzati.- le sussurrò caldamente vicino all'orecchio, dopo tanto tempo quel tepore caldo stava sciogliendo il freddo che sentiva. La mise seduta come una bambola, con i capelli neri che volevano fuggire dall'elastico azzurro che li imprigionava in quella coda alta, la pesante frangia scompigliata, gli occhi rossi e la bocca sporca della sua stessa saliva. Cercava ancora di nascondersi, di non guardarlo anche se le era di fronte, di richiudersi nuovamente in sé stessa per non farsi vedere in quello stato. Con della carta igienica, le pulì la bocca e le disse, -Devi scendere giù in cucina, stiamo facendo colazione.- e stava per uscire dal bagno.

-Aspetta.- Lo fermò riacquistando la voce ed alzando lo sguardo. Gli occhi azzurri di lei incrociarono altri ancor più chiari, limpidi ed ingenui, ma quegli occhi non potevano rispecchiare la sua anima. Ora che lo vedeva in viso, doveva essere Tommy, il gemello che aveva suonato alla sua porta, dalla frangia castana che gli copriva la fronte, un ragazzo bello come se ne vedeva poche volte in giro, che attentamente ascoltò quello che lei aveva da dire.

-Puoi slegarmi?- tentò la ragazza, accennando alla cintura che le imprigionava le mani. Tommy la guardò per un istante sospettoso.

-Non posso. Scapperesti.

Voleva tanto rispondere 'Ovvio che tenterò di scappare.' Ma anche se avesse voluto, quasi non riusciva ad alzarsi, aveva le gambe molli, si sentiva stanca ed intorpidita e in quelle condizioni non avrebbe neanche affrontato uno dei fratelli, figuriamoci due. Si trattenne cercando la sua espressione più supplichevole che avesse nel suo repertorio.

-Ti prego, non tenterò di scappare, neanche avrei la forza di correre. Le braccia mi fanno molto male, non mi sento più le mani! E poi...

No, non lo avrebbe mai detto. Appena aveva pensato all'ultima frase, se la rimangiò in un boccone vergognandosi.

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