-I vestiti non sono altro che indumenti, oggetti che noi indossiamo per non andare in giro nudi come animali. Essi danno personalità all'individuo, ne determinano la personalità dato che preferiamo metterci qualcosa che ci piace... Ma non sempre è così. D'altronde l'abito non fa il monaco, non ti pare?
Kam era davanti il guardaroba di Diletta, accarezzava un vestito bianco delicato, morbido sotto le sue dita. Lo osservava incuriosito, meravigliato da quella stoffa così angelica.
-Pensavo di buttare molti più vestiti, ma questi che vedo sono molto belli, firmati, eleganti e devo ammettere che sono perfetti.
Diletta ascoltava allontanandosi sempre di più da Kam e si domandava perché diavolo stesse parlando di vestiti proprio in quel momento. Dove voleva andare a parare? Le davano fastidio le persone che non andavano dritto al punto, che aprivano bocca solo perché dovevano essere al centro dell'attenzione e che sputavano parole a caso convinti che avessero senso.
-Dall'armadio si può capire come è una persona, infatti ormai dopo un'attenta osservazione, ti conosco; so che sei ordinata, tieni al tuo aspetto e vuoi apparire come una persona elegante, hai una strana ossessione per il colore blu e le sue sfumature... Scommetto che non hai mai fatto sport, infatti non ho trovato un pantalone da ginnastica e neanche una felpa sportiva...
Si fermò da solo, come se gli fosse venuto in mente qualcosa e teatralmente si toccò il mento per riflettere.
-Ma aspetta un momento, neanche dieci minuti fa avevi indosso proprio un pantalone da ginnastica e una felpa sportiva, che strano.
-Non lo è per niente invece.- Si difese Diletta anche se Kam non la stava attaccando direttamente.
-Sono i vestiti che indosso quando sono a casa, mi piace stare comoda.
-E per stare a casa hai un solo pantalone ed una felpa? Non mi sembravi così povera da non comprarti altra roba.
Allargò le braccia per evidenziare la sua tesi, per sottolineare che quella non era per niente una camera povera, tutt'altro. Diletta si sentiva alle strette, perché doveva assillarla in quel modo riguardo ad una stupidaggine come quella dei vestiti? Tenendosi stretto l'accappatoio stava nuovamente chiudendo le sue spalle e inarcava la schiena, come per proteggersi da un imminente colpo.
-Mi pare solo strambo il fatto che proprio il giorno in cui la tua famiglia è partita, tu sei rimasta da sola a casa premeditando una specie di fuga con indosso degli stracci che non ti appartenevano, dato che erano di una taglia molto più grande rispetto alla tua...Lo trovo solamente strano.
-Ti ho già detto che non lo è!
Ripeté lei ostinata.
-Il segreto che ti nascondo è che stavo pulendo, contento? Prima di andare via volevo sistemare tutta la casa e non volevo sporcare i miei vestiti. Soddisfatto, Sherlock Holmes? Anzi, la cosa più strana è questo tuo attaccamento nei miei confronti, che vuoi tu da me?! È più strano il fatto che ti sei messo a studiare la mia roba e dedurre strambe conclusioni! Non hai nulla da fare che entrare nelle case altrui e curiosare nella stanza di una ragazza?
-No.- Disse avvicinandosi pericolosamente, stizzito da quella inaspettata alzata di testa.
-Non ho nulla da fare e potrei anche distrarmi in qualche modo.- La sua mano lentamente si stava avvicinando al suo viso e nel vederla così vicino notò qualcosa di strano che in un primo momento Diletta non capì cosa fosse. Indietreggiando continuò a guardare quella mano che sul dorso nascondeva qualcosa e Kam si accorse della strana curiosità che lei stava provando.
-Non la guardare!- Sbraitò a denti stretti facendo saltare per lo spavento Diletta.
-Non volevo...-Tentò di giustificarsi indietreggiando e abbassando ancora lo sguardo sulle scarpe di lui che si avvicinavano.
-Kam? Kam sei qui? Ti ho sentito urlare.- Provvidenziale, sentendo la voce di Tommy, Kam si tranquillizzò all'istante mantenendo però gli occhi sbarrati su Diletta.
-Che c'è Tommy?
-Ho trovato una cosa assurda! Hanno lasciato la macchina e devi vedere che gioiellino, una da ricconi che vanno di moda adesso.- Disse entrando nella stanza senza neanche chiedere il permesso. Bloccò quel moto di gioia vedendo i due così vicini e gli occhi agitati di Kam. Sospirò, cercando di alleggerire la tensione.
-Ma la vuoi lasciare perdere? Dai vieni Kam, vediamo se c'è benzina.- E corse via, emozionato come un bambino ad un negozio di giocattoli.
Kam rimase fermo come una statua. L'arrivo di suo fratello lo aveva per un momento confuso e con le mani in tasca stava cercando di riflettere. I suoi occhi verdi stavano ritornando poco a poco normali; occhi tristi, occhi stanchi, occhi che stavano vedendo un ricordo molto doloroso, forse la causa che lo ha reso così pazzo. Si mosse di scatto cacciando via quel pensiero e prese il vestiario di Diletta che era rimasto ancora sul letto e il piatto con l'uovo e wurstel freddo ormai disgustoso. Con l'altra mano le prese l'esile polso stritolandolo e la trascinò mantenendo quel glaciale silenzio che riusciva a gelare i vani tentativi di ribellione della ragazza.
"Così fragile e debole..."
La riportò dentro il suo bagno, quello che lei non avrebbe mai immaginato come una prigione e posò da una parte il resto della roba.
-Vestiti e mangia, ritornerò per la cena.- Promise chiudendo poi a chiave la porta di quella cella.
Rinchiusa nuovamente nel bagno, non sapeva per quanto tempo fosse rimasta a fissare quel piatto. Rimanendo imbambolata ripensò a ciò che le era appena capitato; quella finta accusa, il fatto che Kam volesse sapere cose che Diletta nascondeva gelosamente... No... Lei non avrebbe raccontato nulla. Si sarebbe morsa le labbra fino a farle sanguinare pur di non rivelare ciò che pensava, ciò che lei era veramente.
"Una pazza che vuole ancora scappare dalla sua gabbia dorata..."
Rimase a fissare quel piatto finché non le si rivoltò lo stomaco e qualcosa voleva uscire fuori da lei. Davanti al water vomitò la bile che la corrodeva dentro, che la logorava; pulire, l'intrusione, la cattura, il rapimento, la rabbia, il dolore, cercò di rigettare tutto quanto sperando che l'unica cosa che sarebbe rimasta dentro di sé fosse solo lei, solo Diletta.
"Che schifo."
Inginocchiata su quel bianco water, aveva sputato la sua anima, quel poco che le era rimasto dentro. Ormai era vuota, vuota di tutto quanto. Era solamente un involucro, era paragonabile ad uno di quei costosi vasi che tenevano in salotto e che guardandolo l'avrebbero chiamato Diletta...
Kam ritornò come promesso portando una fettina di carne ben cotta senza ovviamente le posate con cui mangiarla. Il ragazzo non si stupì nel vedere il piatto che aveva cucinato in quella turbolenta mattinata per terra e sparpagliato sul pavimento come un'opera post moderna.
-Pensavo fossi una maniaca della pulizia.- Gli sfuggì posando a terra accanto a Diletta la sua cena ed andandosene non rivolgendole altre attenzioni.
Nella stanza illuminata da una luce fredda, immersa in un innaturale silenzio, sentiva i suoi capelli neri bagnati appesantirgli ancora di più la testa. Un rumore attirò l'attenzione del vaso chiamato Diletta. A chiamarla era il suo stomaco che attratto dall'odore della carne ben cotta ordinava capricciosamente del cibo. Diletta era sempre stata abituata a mangiare poco, quel tanto per alimentare il suo corpo, per un breve periodo della sua vita aveva digiunato anche per giorni interi e sentire quell'istintiva fame mai provata, un po' la inquietava.
-Non...Non ho mangiato nulla, solo... Solo un morso.
Quell'improvviso attaccamento alla vita la fece alzare e prendere quel pezzo di carne ancora caldo, lo addentò come un animale e neanche lo gustò inghiottendo i pezzi interi. Lo considerava solamente cibo, non un piatto preparato dai suoi aguzzini, era solamente un alimento che nutriva il suo corpo, una speranza che riempiva quell'involucro. Energia che doveva utilizzare per scappare, forza che avrebbe utilizzato per vendicarsi.
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Mystery / ThrillerDitemi, cosa ci hanno sempre insegnato i nostri cari genitori? Mai aprire la porta agli sconosciuti. Diletta, una ragazza nata in una fortunata quanto soffocante famiglia, non ha seguito questo consiglio, aprendo le porte della sua immensa casa. Gio...