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Più che una discoteca, il Club 39 era un bar con una piccola pista da ballo quadrata dietro la nicchia in fondo. Si trovava in George Street, in un seminterrato. I soffitti erano bassi, come pure i divanetti rotondi e i cubi che facevano da sedie, e la zona del bar era stata costruita ancora più in basso, quindi per raggiungerla i clienti, anche quelli ubriachi, naturalmente, dovevano scendere tre scalini. Chiunque avesse aggiunto quel dettaglio allo schizzo dell'architetto doveva proprio essersi fumato qualcosa.

Di solito il giovedì sera il locale, con le sue luci soffuse, era affollato di studenti, ma ora che il semestre era finito e che l'estate scozzese incombeva su di noi, la serata era tranquilla e la musica bassa, dal momento che in pista non c'era nessuno.

Allungai al ragazzo dall'altro lato del bancone i suoi drink e lui mi porse una banconota da dieci. «Tieni il resto» disse ammiccando.

Ignorai l'occhiolino ma infilai la mancia nell'apposito barattolo. A fine serata ci dividevamo sempre i soldi, nonostante Jo sostenesse che io e lei grazie alla nostra divisa composta da canotta bianca superscollata che lasciava intravedere i miei tatuaggi e jeans neri attillatissimi, riuscivamo a racimolare più mance di tutti. La canotta riportava la scritta "Club 39" sul lato destro in un bel corsivo nero ed elegante. Semplice ma efficace, soprattutto quando nel reparto tette una era ben fornita come Jo.

Craig era in pausa, quindi eravamo solo io e Jo a servire la piccola folla di avventori che andava diminuendo di minuto in minuto. Annoiato, lanciai un'occhiata all'altro capo del bancone per vedere se Jo avesse bisogno di aiuto. Ne aveva bisogno eccome. Ma non per servire qualcuno.

Mentre porgeva il resto a un cliente, lui le aveva afferrato il polso per poi strattonarla verso di sé sopra il bancone, in modo che si trovasse vicinissima al suo volto. Aggrottai la fronte e aspettai di vedere come Jo avrebbe reagito. La sua carnagione pallida si tinse di rosso, e Jo prese a tirare indietro il propri braccio nel tentativo di liberarsi dalla presa del cliente. Il tizio era in compagnia di due amici che, dietro di lui, ridevano. Che bello.

«Lasciami andare, per favore» disse Jo a denti stretti, tirando più forte.

Non essendoci Craig nei paraggi ed essendo il polso di Jo così sottile che avrebbe potuto spezzarsi, la situazione era nelle mie mani. Mi diressi verso di loro, premendo il pulsante sotto il bancone per far intervenire gli uomini della sicurezza che stazionavano all'ingresso.

«Su, dài, tesoro, è il mio compleanno. Soltanto un bacio.»

La mia mano piombò su quella del ragazzo e le mie unghie affondarono nella sua pelle. «Lasciala andare, brutto stronzo, prima che ti strappi un pezzo di mano e te lo inchiodi alle palle.»

Lui grugnì di dolore e si allontanò di scatto da me, lasciando andare anche Jo. «Sei proprio una puttanella americana» gemette, cullandosi la mano tappezzata di profondi solchi a forma di mezzaluna. «Protesterò con la direzione.»

Perché la mia nazionalità saltava sempre fuori in situazioni negative? E che diavolo significava, poi? Eravamo forse in un film per adolescenti degli anni Ottanta? Mi limitai a sbuffare, indifferente alle sue parole.

Brian, il nostro gigante della sicurezza, comparve dietro di lui. Aveva un'aria tutt'altro che divertita. «Problemi, Lou?»

«Sì. Per favore puoi portare questo tizio e i suoi amici fuori dal locale?» Non domandò nemmeno perché. Ci era successo solo poche volte di far cacciare qualcuno, per cui Brian si fidava del mio giudizio sulla situazione.

«Forza, ragazzi, muovete le chiappe» ringhiò. I tre, codardi com'erano, pallidi in volto e ubriachi fradici, si trascinarono fuori dal locale seguiti da Brian. Sentendo Jo tremare accanto a me, le posai una mano sulla spalla per confortarla. «Tutto okay?»

Sei bellissimo, staseraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora