CLAUDIA

1.4K 47 1
                                    

Alex ha fatto bene a portare qualcosa da mangiare. Ho sempre un grosso appetito quando mi sveglio. Mi spalmo un po' di marmellata su una fetta biscottata attenta a non fare danni, già prima sono caduta nell'imbarazzo più totale, non voglio accada di nuovo. Fortunatamente Alex non mi guarda quindi se mi accorgo che mi sto sporcando, posso furtivamente pulirmi. Dopo poco e dopo alcuni morsi alla fetta biscottata, Alex si gira a guardarmi sorridendomi. I suoi occhi per un istante si perdono nei miei poi li distoglie e li posa verso la mia tazzina di caffè vuota.
"Vuoi altro caffè?" domanda afferrando il manico della caffettiera.
"Si, grazie." rispondo di fretta per non farlo attendere troppo. Mi sento di nuovo in imbarazzo quando il suo sguardo si perde nuovamente nel mio per alcuni secondi.
"Hai dormito bene questa notte?"
Mando giù il boccone:"Abbastanza." bevo un sorso di caffè, non capisco se il nodo che ho adesso in gola sia per l'imbarazzo o per la gola secca:"Non so ancora come ringraziarti per l'ospitalità." concludo posando la tazzina sul tavolo, lui mi guarda.
"Non devi, infatti. Per me è solo un piacere." sorride, io mi sciolgo dall'interno come neve sciolta al sole. Quanta gentilezza, non è da tutti fare un gesto come il suo, dopotutto sono una perfetta estranea, potrei rompergli qualcosa o scappare con qualche suo oggetto prezioso. "Certo, dove vuoi che vada con questa neve?" penso con tono sfottente.
"Quindi hai una sorella?" riprendo subito la parola, mi piacerebbe conoscerlo davvero.
"Si, ho una sorella." risponde, non si sbilancia molto quindi comincio ad avere il timore dell'invadenza:"Si chiama Gaia. Dovrebbe avere la tua età, credo." continua, meno male. Mi sento sollevata adesso. Allora non gli da fastidio se gli pongo qualche domanda.
"Io ho venti anni, quasi ventuno."
"No, allora è più piccola. Lei ne deve compiere diciannove." dice alzandosi dalla sedia, io imito il suo gesto e lui mi sorride:"Stai comoda, faccio io." prende il vassoio e ci posa le tazzine vuote, io continuo ad aiutarlo nonostante mi abbia detto di non farlo, lui riprende:"Sembravi più piccola, comunque." sorrido a quella frase ma non do alcuna risposta. Lui va in cucina, io istintivamente lo seguo fino al lavello.
"Lascia, li lavo io." sussurro lui si gira a guardarmi, siamo così vicini da sfiorarci quasi il naso. Deglutisco a fatica poi giro subito il viso verso il lavello, lui si sposta. Ne sono convinta, anche lui è imbarazzato adesso quanto me. Devo dire qualcosa per cambiare l'atmosfera:"E i tuoi genitori, dove sono?" questa è la prima cosa che mi è venuta in mente da dire.
Attimo di silenzio che mi sembra lungo una vita.
"Loro non ci sono più, purtroppo." mi blocco di colpo, lo guardo. E' poggiato al piano cottura, le braccia incrociate, le gambe una davanti l'altra e lo sguardo triste rivolto sul pavimento.
"Mi dispiace, non dovevo chiedertelo. Io..." mi affretto a dire, lui mi interrompe subito.
"Tranquilla, non potevi saperlo." si mette dritto davanti a me, mi guarda cercando di sorridere ma è chiaro che si stia sforzando inutilmente. I suoi occhi continuano ad essere tristi nonostante la bocca stia sorridendo. "Merda." rimprovero me stessa:"Sono morti in un incidente stradale quando avevo dieci anni. Io e Gaia eravamo a casa di mia zia e la notizia dell'incidente arrivò dopo un'ora dall'accaduto. Rimanemmo sotto tutela di mia zia fino ai miei diciotto anni, poi dopo il diploma ho cominciato a lavorare per trasferirmi e mantenere mia sorella. Così adesso siamo qui, questa era la casa con i miei genitori." ascolto la storia con molta attenzione, trattenendo il respiro dall'inizio fino alla fine. Cerco di immaginare il dolore provato per quella notizia o l'inconscio trauma che a quell'età poco si sente ma che crescendo diventa sempre più grande, sempre più forte fino a scoppiare. Una forza più grande di noi, il dolore, che pur controllandolo riuscirà sempre a farti del male. Immagino Alex da bambino, l'innocenza della sorellina, un'età che andrebbe vissuta nella più beata spensieratezza distrutta da una perdita che ti cambia la vita. Un ricordo triste che io ho riaffiorato nella sua mente, mi sento dannatamente in colpa. Non so cosa dire, un "mi dispiace" sarebbe banale e scontato e poi non so se potrebbe infastidirlo sentirselo dire, potrebbe pensare che adesso provo pena per lui e non è ciò che sento.
"Immagino che sei molto legato a tua sorella." frase scontata, ovvia risposta. "Dai Claudia, puoi fare di meglio." "Si, certo. Mi sembra ovvio che sei molto legato a lei e viceversa." la mia mente non ne vuol sapere di formulare frasi dal senso logico.
"Si, sono legato a mia sorella quanto lei è legata a me. Mi è riconoscente ogni giorno per averle costruito un futuro sereno." questa volta le sue labbra si aprono in un sorriso spontaneo e non forzato. Ammetto che adesso il suo sorriso alleggerisce quel peso che avevo sul cuore. Mi sento un po' più rilassata adesso. Ora posso sorridere anche io.
Dopo aver lavato le tazzine e messo al proprio posto la colazione, vado nel salotto dove a scaldarsi davanti il camino c'è Alex. Appena mi sente arrivare si gira verso di me sorridendomi:"Vieni a riscaldarti, avrai freddo." dice spostandosi di poco dal divano per fare spazio anche a me.

Sorrido mentre mi avvicino al divano, le braccia incrociate attorno a me come se mi stessi abbracciando. Mi siedo accanto a lui, posso sentire il suo profumo e ascoltare lo scoppiettare del fuoco sul legno.
"Sai, mi domandavo una cosa." sussurro:"Come fa una persona a parlare di sé a chi non conosce? Eppure tu non sai chi sono a parte il mio nome ma nonostante ciò, ti sei aperto con me. Perché?" lo guardo, lui mi guarda. Ancora una volta quei suoi occhi scuri sono riflessi nei miei come se si stesse guardando allo specchio, come se stesse cercando ogni particolare di sé dentro essi.
"Molte volte è più semplice aprirsi ad un estraneo che ad uno che già conosci. Ti eviti pregiudizi o lavaggi del cervello inutili, tanto il tuo dolore non lo capisce nessuno fin quando non comincia a provarlo sulla propria pelle." conclude smettendo di guardarmi e poggiando la sua schiena al divano.
"Anche io potrei non capire il tuo dolore." sussurro rivolgendo il mio sguardo al camino e al legno che arde al suo interno.
"Lo stai ascoltando, però. E poi non mi importa, mi piace parlare con te, indipendentemente dall'argomento." si blocca di colpo:"E so perfettamente che è solo da ieri che parliamo mala tua presenza mi rilassa così come parlarti o raccontarti qualcosa di me. Mi fa sentire come se a questo mondo qualcuno in grado di ascoltare c'è ancora." conclude quasi come a giustificare le sue emozioni piuttosto che ammettere ciò che sente in questo momento. Ma a me va bene così, è già un grosso passo verso qualcosa che adesso non so definire.

Il ragazzo in maschera (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora