Capitolo 15.

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Cominciammo nuovamente a camminare, dirette a cercare un accampamento che fosse più nascosto e meno individuabile rispetto al precedente. Per tutto il tragitto Thomas non aveva più detto una parola. Non seppi con certezza il perché, ma forse si era semplicemente stancato e arreso.
Magari la continua salita gli aveva tolto il fiato e non voleva sprecare il poco ossigeno che aveva nei polmoni. Dopotutto eravamo tutti stanchi e le continue e ripide salite non miglioravano di certo il nostro stato.

Continuammo ad avanzare, con lo sforzo che ci bruciava le gambe. Fortunatamente un dirupo scosceso alla nostra sinistra ci manteneva all'ombra mentre camminavamo, ma era ancora tutto caldo, secco e polveroso.
Le ragazze diedero a Thomas qualche sorso d'acqua, giusto per non farlo morire disidratato prima del tempo, ma sembrava quasi che al suo stomaco non arrivasse nemmeno una goccia, data la sua espressione.

Arrivammo a una grossa spaccatura nella parete a est, mentre il sole di mezzogiorno esplodeva sulle nostre teste, una palla di fuoco dorata decisa a ridurci in cenere una volta per tutte. La grotta era poco profonda, entrava una dozzina di metri nel fianco della montagna. Ovviamente tutte pensammo che quello fosse l'accampamento ideale per sistemarci senza essere notati e disturbati.
"Bene così." constatai esausta. "Accampatevi pure qui. Io e Harriet legheremo Thomas a quel brutto albero." ordinai indicando lo scheletro bianco di una quercia, le cui radici erano rimaste aggrappate al suolo roccioso anche se doveva essere morta da anni. "A questo punto diamogli anche del cibo, così non si lamenterà tutto il giorno e ci lascerà dormire in pace."

Mentre le altre ragazze sistemavano coperte e zaini qua e là, io e Harriet portammo Thomas alla quercia per legarlo con la stessa corda che avevamo utilizzato per il sacco. Strattonai il ragazzo fino all'albero e qui, sgraziatamente, lo gettai contro il tronco facendolo gemere silenziosamente.
Harriet mi passò la corda e iniziai a legarla attorno al suo busto, lasciando le sue braccia libere, stringendo e strattonando qualche volta. Potevo sentire il fiato di Thomas sul mio collo e il suo sguardo di puro odio continuamente fisso su di me, tuttavia non aveva detto una parola e per mia fortuna non aveva opposto resistenza.

La corda iniziava a terminare e mi venne improvvisamente un'idea brillante: feci in modo di lasciare il nodo dietro la sua schiena, cosicché avrei dovuto sporgermi verso di lui per attorcigliare tra di loro le due estremità della corda.
Quando mi avvicinai verso di lui e di conseguenza appiccicai il mio petto al suo, attaccai appositamente le mie labbra al suo orecchio e sussurrai una frase velocemente: "Fidati di me."
Lui sussultò, forse stupito di quel gesto, così mi allontanai velocemente e lasciai Harriet e Thomas da soli, senza voltarmi a vedere l'espressione del ragazzo.

Continuai a camminare, dirigendomi verso Stephen che nel frattempo aveva procurato per entrambi due coperte e le stava sistemando a terra, con fare noncurante.
Quando lo raggiunsi alzò immediatamente lo sguardo e mi rivolse un sorriso di intesa e pietà: "Hai finito per oggi?" chiese passandomi una merendina e dell'acqua.
Annuii e poi indicai le coperte stese a terra: "Dove le hai trovate?" chiesi curiosa.
"Sonya me le ha date." spiegò stendendosi sulla sua e frugando nello zaino.

"Alla buon ora. Poteva darcele quando stavamo morendo di freddo." sbuffai scocciata. Quella ragazza era l'intelligenza fatta a persona. "A proposito: credo abbia una cotta per te." borbottai, facendogli l'occhiolino. Non volevo permettere a Stephen di leggermi nella testa. Non volevo che capisse quanto quella messa in scena avesse drenato tutte le mie energie e l'allegria.
Il ragazzo sembrò apprezzare la battutina, perché rise di gusto e mi fece cenno di sedermi.
Mi chinai e appoggiai il mio corpo a terra senza riuscire ad aggiungere altro. Non volevo aprire di nuovo la bocca. Avevo detto delle cose così orribili senza battere ciglio e avevo fatto delle cose crudeli e inammissibili.

Perché io? Perché non poteva farlo qualcun altro?
Come se la mia mente si divertisse a vedermi soffrire, iniziai a ricordarmi dei bei tempi passati. I giorni della Radura erano ormai finiti, ma vivevano in me come se fossero appena cominciati.
La Scatola, il Labirinto, i nuovi Fagiolini, la prima volta che Thomas era uscito dalla Scatola e gli altri avevano capito che si chiamasse Rebeca, quando in realtà si stava solo ricordando il mio nome.

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