Capitolo 27.

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Distolsi immediatamente lo sguardo dal pugnale e lo alzai verso i giganti luminosi che si facevano sempre più vicini. Minho e Harriet si rivolsero ai rispettivi gruppi, spostandoli, mettendoli in posizione; le loro grida e i comandi venivano spazzati via dal vento prima ancora che riuscissi a sentire qualcosa. Mi guardai intorno spaesata. Tutti sapevano cosa fare. Tutti tranne me.
Lanciai uno sguardo ai mostri e la nausea improvvisa si aggiunse al senso di panico. Osai spostare gli occhi dal gigante giusto il tempo di guardare il cielo. Fili di lampi si biforcavano e formavano archi sotto le nuvole scure, che sembravano sospese a una decina di metri sopra le nostre teste. L'odore acre dell'elettricità permaneva nell'aria.

Riabbassai immediatamente lo sguardo, terrorizzata all'idea di trovare la faccia di uno dei mostri a un palmo dalla mia. Ma per mia fortuna, quando i miei occhi ricaddero sulla terra, notai che la creatura più vicina a me si trovasse ancora a una decina di metri.
Sembrava avermi scelta per combattere con lei e la sua direzione non cambiava. Continuava a fare grandi falcate verso di me e ogni volta che i suoi piedi – se così potevano definirsi –  toccavano terra, era come se il cuore mi balzasse in gola.
Non avevo mai combattuto con nessuno in vita mia, esclusi gli Spaccati – anche se ero riuscita a sopravvivere per miracolo – e durante la battaglia con i Dolenti non ne avevo affrontato neanche uno.

Minho e Harriet erano riusciti a disporre i due gruppi in un unico cerchio quasi perfetto, rivolto verso l'esterno. Mi affrettai a raggiungerli e mi unii a loro.
Stephen era vicino a me e in quel momento mi sentii un pochino rassicurata: era stato lui a salvarmi dagli Spaccati una volta, forse lo avrebbe rifatto in quel momento.
Ma cosa sto pensando?  Mi schiaffeggiai mentalmente, esterrefatta dei miei stessi pensieri. È il momento di scoprire di che pasta sono fatta e se me la so effettivamente cavare da sola.
Annuii come a confermare il mio pensiero e mi accorsi di essere l'unica senza ancora l'arma in mano, fatta eccezione per il pugnale.

Infilai il piccolo coltello nella cintura e pregai che non cadesse all'improvviso, poi cavai l'arco dalla spalla e sfilai una freccia dalla faretra, caricandola sulla corda già tesa.
Feci un profondo respiro, come a prepararmi alla battaglia imminente.
Le ultime nefandezze della W.I.C.K.E.D. erano solo a dieci metri di distanza.
Stephen mi diede un colpetto nelle costole con il gomito. Mi voltai e vidi che stesse indicando una delle creature, per assicurarsi che sapessi che aveva scelto il suo avversario. Annuii decisa, passando poi lo sguardo verso le creature e feci un cenno verso quella che avevo pensato essere mia fin dall'inizio.

In quel momento era come se io avessi scelto lei, ma sapevo che fosse esattamente il contrario. Otto metri.
Strinsi il mio pugno attorno all'arco e mi meravigliai di quanto il mio braccio risultasse saldo, invece di tremare. Attesi con pazienza il segnale di Minho e, quando all'improvviso il Leader gridò qualcosa che non capii – ma ero certa fosse l'ordine di partire, dato che era simile a un ruggito –, scattai all'avanti verso la creatura senza nemmeno sapere esattamente da dove partire.

In quel momento un mucchio di pensieri affollarono la mia testa: preoccupazione per Newt, per Minho, per Frypan, per Thomas e persino per Stephen, nonostante la sua sfacciataggine.
Pensai ai Dolenti, alla mia corsa con Chuck e Thomas nel Labirinto per raggiungere la Scarpata e saltare nella Tana; ai Radurai che lottavano e morivano perché potessimo digitare il codice e fermare tutto.
Pensai a tutto ciò che avevamo passato per arrivare a quel punto, a scontrarci ancora una volta con un esercito biotecnologico mandato dalla W.I.C.K.E.D.

Mi domandai se valesse ancora la pena di cercare di sopravvivere, nonostante tutto. Poi mi venne in mente l'immagine di Chuck che moriva, di Gally che voleva che sopravvivessi a tutti i costi, di Newt che mi abbracciava preoccupato, dicendomi che non mi avrebbe mai lasciata sola.
E quello fu determinante.
Fu come ricevere uno schiaffo in faccia di prima mattina: mi risvegliò da quei nanosecondi di dubbi e di paura che mi avevano paralizzato il cervello.

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