Il mattino dopo mi sveglio alle 5.57 e sento lo squic squic del vogatore di Jesse, scendo di sotto e
trovo la mamma che mangia un toast col bambino in braccio.
«Ciao.»
Ha la bocca piena, così mi fa solo un cenno con la mano. Vado in soccorso di Will che nelfrattempo è diventato cianotico a furia di piangere.
Se lo tieni abbastanza vicino all'orecchio mentre piange, non riesci più a pensare.
Il che non è male.
«Volevo parlarti» mi dice la mamma.
Ma come fa questa frase a farti sempre rivoltare le budella?Mi fa cenno di andare a sedermi accanto a lei. Will è più calmo che mai, il pianto si è
trasformato in un rantolo d'insofferenza.
Mi siedo e provo a concentrarmi su Jesse che voga e Will che frigna, tutto piuttosto che su di lei.
«Non sono riuscita più a parlarti dopo l'incidente. Tu come stai?»
«Bene mamma. Ho preso qualche aspirina.»
«Ottimo» dice mandando indietro i capelli con una mano.
«Stai continuando a pregare?»
Oh, che palle.
«Sì, mamma.»
Lei sospira e mi prende la mano.
«Ci sentiamo tutti in colpa per ciò che ti è successo, Jonah.»
Chissà se è solo una cosa dei genitori religiosi, dirti quello che provano, intendo. Ma soprattutto,chissà se è solo una cosa dei figli cattivi, non volerselo sentir dire.
«Perché?» chiedo.
«Sono solo scoordinato.»
Lei fa scivolare la punta delle dita sulle labbra.
«Se c'è qualcosa di cui vuoi...»
«Non c'è niente.»
Will è ripartito e mamma è costretta a urlare per farsi sentire.
«Sai bene che io e tuo padre tiamiamo tanto...»
«Lo so, mamma. Grazie.» Giuro che non ho idea di cosa c'entri questo con tutto il resto. PrendoWill in braccio e lo cullo fino al lavandino, poi prendo una spugna e comincio a strofinare i ripiani.
A bassa voce mamma dice: «Lo sai però cosa fa, vero? Tuo padre ti sminuisce. Mette te e Jessel'uno contro l'altro».
«Smettila. Non potrei mai mettermi contro Jesse.» Nemmeno se volessi.
Lei abbassa lo sguardo e segue la decorazione del tavolo di legno con un dito. «Be'... senti, nonè che potresti parlargli allora?»
«Che cosa?»
«Parla con papà. Digli che stai bene, che in casa va tutto bene. Che la famiglia è sempre nei tuoipensieri.» Le sue labbra si ripiegano su se stesse.
«Solo questo.»
«Diglielo tu. Io non ci entro nei vostri casini.»
«Jonah.»
«No. Tu parli con papà e io penso a Jesse. Questi sono i patti.»
Non ce l'eravamo mai detti a voce alta, ma nel corso degli anni avevamo stretto questo tacito accordo. Aveva funzionato, finché non era arrivato Will. Adesso eravamo dispari.
«Tuo padre non mi ascolta mai» dice grattando via la parte bruciata dal toast.
«Non farmi questo. Io non sono il tuo terapista. Trovatevi un consulente matrimoniale. Pagalo con
i suoi soldi. Questi non sono affari miei.»
«Ma certo che lo sono.»
Appoggio Will sul ripiano della cucina e mi verso del succo d'arancia.
«Devo prepararmi per
andare a scuola.»
«Smettila, Jonah.»
«Ascolta. Non ho voglia di parlarne con te. Sto bene.
Va tutto bene. Sono solo caduto dallo skate. Capita. La gente cade sempre.»
«Sì, ma non si rompe sempre le ossa.»
«Non avevo né gomitiere né ginocchiere. Sono un irresponsabile. Punitemi. Ma smettetela difarne una tragedia.» Finisco il succo. Lascio perdere i fiocchi d'avena. Mi lavo via dalle mani la
saliva del bambino, tiro fuori le pastiglie di Jesse e vado di sotto con una Coca in mano.
Lo trovo lì che riprende fiato seduto sul bordo del vogatore con i gomiti appoggiati alle
ginocchia.
«Soddisfatto?»
Lui fa sì con la testa.
«Sì, ho fatto mezz'ora non stop.»
«Sei un mostro, fratello.»
Lui tossisce.
«La mamma è incazzata?»
«Più o meno. Le fa solo bene. Il suo cuore ha bisogno di fare un po' di esercizio» dicoporgendogli le pasticche.
«Le passerà.»
«Lo so» risponde lui mandandole giù a secco.
«Le passa sempre.»