Il nome della psicoioga è dott.ssa Schneider. È scritto con mille ghirigori sulla sua porta.
Il divano di lusso color lavanda odora di rose. Mi ci abbandono e mi torna in mente Charlotte.
Non distante un apparecchio produce un rumore simile al soffio del vento del Nord.
Dopo aver fatto due chiacchiere sulla mia vita sociale, la scuola, il lavoro, i miei sogni e le mie
aspirazioni, mi dice: «Parlami della tua famiglia».
La dottoressa Schneider indossa un bel maglioncino verde e occhiali a punta. Lei mi piace, èstare qui che mi fa schifo.
Faccio il mio sorriso da bravo ragazzo e dico:
«La famiglia Brady ci fa un baffo».
Lei si sposta una ciocca dal viso.
«Non è quello che ho sentito dire.»
Il sorriso svanisce.
«E cos'ha sentito?»
«Che hai un fratello molto malato.»
Mi torturo le dita della mano. Come vorrei che Jesse fosse qui, lo desidero tanto da star male.
«Ok. Be', sì. Abbiamo qualche problemino. I miei dovevano separarsi e invece hanno fatto un altro
bambino, come se Jesse non bastasse.»
«Jesse è il nome di tuo fratello?» Ha un suono diverso pronunciato da lei... più duro, quasimetallico. Non suona male, però sembra più forte rispetto a come lo pronuncio io.
«Sì. Quello più grande. È un'enorme responsabilità per i miei e dovrebbe anche essere la loropriorità, e invece loro cosa fanno? Fanno un altro bambino. Che non la smette mai di piangere. Giuro.
Piange sempre.»
«Be'...»
«E Jesse. Jesse è allergico a tutto. Ma proprio a tutto. E ora che in casa c'è ovunque lattematerno e artificiale, è già tanto se respira ancora. Le cose stanno peggiorando. Lui sta peggiorando.»
«Ti preoccupi molto per lui?»
Abbasso lo sguardo e annuisco, poi all'improvviso inizio a piangere. Succede così velocementeche nemmeno me ne accorgo.
Lei attende un momento, poi mi passa i fazzolettini.
«Vuoi parlarne?»
Non ce la faccio. È come se il cervello premesse per uscirmi dal naso.
«Non voglio stare qui» le
dico.
«Lo so.»
E forse lo sa davvero. Forse quando era piccola e non era ancora una strizzacervelli, i suoil'avevano spedita in un posto come questo, anche se non ne aveva bisogno davvero. Forse sa cosa
significa non sentirsi fuori di testa quando tutti invece ti dicono che lo sei. Forse se lo ricorda ancora.
Cerco di riprendermi. «Questa settimana ha rischiato di morire due volte. Per colpa mia. Io non
so prendermi cura di lui.»
«Quanti anni ha?»
«Sedici. È più piccolo di me solo di un anno e mezzo» rispondo strofinandomi il naso.
«I miei