Trenta

31 2 0
                                    

«Hai mai pensato al suicidio questa settimana?»


Faccio no con la testa. Il dottore inforca gli occhiali che poggiano su un naso che sembra un

becco e avvicina la sedia al mio letto. A quanto ne so, tutti i dottori portano gli occhiali. Questo qui.

La dottoressa Schneider. Quelli del pronto soccorso. Persino l'immunologo di Jesse.


Non mi viene in mente il pediatra di Will, ma sono quasi sicuro che porti gli occhiali anche lui.


«Fatto uso di droghe?» mi chiede.
«Alcol?»


«Questa settimana?»


Lui solleva lo sguardo dalla cartellina. Dietro le lenti enormi intravedo i suoi occhi storti. Usa lo

stesso profumo da uomo del mio professore di matematica. Penso che annegherò in questo puzzo di

sudore speziato.


Lascio correre le dita sulle lenzuola.
«No. Niente droghe e niente alcol.»


Una lattina di birra in macchina con Naomi non conta, vero?


«Ti sei fatto del male questa settimana?»


Faccio sì con la testa.


«Provi dolore adesso?»


«No.» Giusto alla testa e alle maledette dita dei piedi, ma nulla mi sembra reale e non dico

niente.


«Va bene, allora...» Mi mette un braccialetto al polso. «Avrai un incontro con me una volta al

giorno dopo pranzo, ok? I pasti vengono serviti obbligatoriamente tre volte al giorno. Le attività si


svolgono al piano inferiore. Uno dei tuoi amici ti mostrerà come arrivarci.»


Amici?


«Il coprifuoco è alle undici - mi raccomando. Uno dei nostri volontari verrà a visitarti prima che

tu vada a letto e quando ti svegli. Ci sono infermiere a vostra disposizione tutto il giorno e tutta la

notte, in caso avessi bisogno di assistenza.»


«Ok.»


«Durante il giorno svolgiamo attività come manualità e ginnastica. Sono obbligatorie. E questo è


tutto.»


«E... che faccio tutto il resto del tempo?»


Giocherella con le maniche. Mi sa che è più in imbarazzo di me.
«Tenere un diario non sarebbe

male. Poi riceverai le visite dei tuoi familiari. Magari anche di un amico.»


Per un attimo cerco di immaginarmi Charlotte che entra in questo posto ma è solo un sogno, lo so.


«Non devo fare niente?»


«No. Questa non è una prigione, Jonah. Tu sei qui per dei controlli e per ricevere una diagnosi,


non una punizione. Puoi tenere con te il tuo cellulare e altri effetti personali. Hai la maggior parte

della giornata libera, per rilassarti, parlare con gli altri ragazzi. Siamo convinti che un periodo di

riflessione non possa che giovarti e, allo stesso tempo, spronare tutti a impegnarsi a stare meglio.

Il nostro obiettivo è quello di farvi raggiungere l'autosufficienza, ecco perché le nostre regole


sono così semplici - prendetevi cura di voi stessi e degli altri pazienti nel comune intento di guarire.


Avrete a disposizione in ogni momento medici e infermiere per qualsiasi necessità.»


Poi mi stringe la mano e mi augura una pronta guarigione e... cavolo, quanto sono stanco. Mentre


mi infilo sotto le coperte, una ragazza appare sulla porta ma si blocca subito, con la punta del piede


pronta a fare un passo, e mi dice:
«Scusa. Volevi rimanere solo?».
Sembra uscita dalla vita reale, a giudicare da ciò che indossa, poi la riconosco, è Mackenzie, la volontaria dell'accettazione.


Riemergo di colpo da sotto la coperta.
«No, entra.»


Ha con sé l'aggeggio per misurare la pressione.
«Sono qui solo per un controllo veloce. Vogliono


sempre conoscere le tue condizioni al momento dell'ingresso nella casa di cura.»


«Ok.»


Mi infila la fascia al braccio e inizia a gonfiarla con la pompetta.
«Come stai oggi?»


«Non c'è male.»


«Nostalgia di casa? Hai bisogno di qualcosa?»


«Sto bene, i miei mi verranno a trovare domani.»


Annuisce.
«I tuoi sembrano carini.»


«Lo sono.» Se solo bastasse.


«Fratelli o sorelle?»


«Due fratelli più piccoli.»


«Io sono figlia unica. Ho sempre desiderato avere dei fratelli. Combinano guai?»


Sorrido.
«I miei sì.»


Sta in silenzio mentre sgonfia la fascia e conta i secondi con l'orologio.


«Ottantadue su cinquanta. Be', almeno non sei stressato.»


«Non sono il tipo che si stressa.»


Sembra studiarmi, con il capo inclinato da un lato. «Quante ossa rotte hai? Se posso chiedere...»


«Diciotto, al momento, incluse le dita dei piedi.»


«Oh cavolo. Come hai fatto?»


Come si fa a spiegare tutto questo a qualcuno che non ha mai nemmeno conosciuto Jesse?


Lei mi fissa, allora le sorrido e dico:
«È una lunga storia».


Mi restituisce il sorriso.
«Be', magari un giorno me la racconterai. Hai manualità alle 15.30, ok?

Al piano di sotto, esci dall'atrio, a sinistra. Non fare tardi.»


«Ok, grazie.»


Poi si ferma sulla soglia e mi dice:
«Chiamami se hai bisogno di qualcosa».


Mi addormento e sogno Charlotte. Sta cercando di dirmi qualcosa ma non riesco a sentirla perché


quel maledetto bambino strilla a più non posso.

Break - Ossa RotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora