Quattordici

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Mi chiudo il casco, rabbrividendo come sempre al solo pensiero che mi rimanga incastrata la pelle


nella fibbia.
«Pronta con la videocamera?»


«Tanto perché tu lo sappia, non sei obbligato a farlo.» Naomi si rigira le tenaglie nella mano

sinistra. Brillano alla luce della luna.


«Sta zitta.»


Lei s'innervosisce.
«Ti sei già rotto la mano oggi. Credevo volessi stare a casa con Jesse.»


«Ho rotto la mano sbagliata. E Jesse sta dormendo.»


Certo che dorme. Per forza, sono le quattro di mattina.


Naomi sbuffa e si mette la videocamera sulla spalla.
«E chi sono io per fermarti?»


Nessuno. Nessuno può fermarmi. Mi porto il gesso al naso.
«Iniziamo.»


«Prima dobbiamo entrare, genio» dice indicando il cartello SPRING MANOR COUNTRY CLUB


e pulendosi le tenaglie sui jeans.
«Questo è il piano: io spezzo i lucchetti, tu ti spacchi come un vero

campione olimpico e vediamo quanto siamo veloci a entrare e uscire di qui.»


Mi stiro le braccia dietro la testa e poi tendo le costole, accertandomi di essere il più possibile

sciolto.
«Sicura che la piscina sia vuota?»


«Fidati, Jonah, ho un sesto senso da figlia di custode. Tutti svuotano la piscina in inverno.»


«Dio benedica le tue origini proletarie.»


«Eh già.»


Poco distante sento il verso sommesso di un gufo - ce ne sono tanti da queste parti ma averlo così

vicino mi dà l'impressione che qualcuno ci stia spiando.


Sembra che dica
«tuuu-tuuu», in tono d'accusa.


Ho sapore di cemento in bocca. Devo tenere chiusi gli occhi e deglutire più volte per farlo andar

via. È solo suggestione, non significa nulla.

Ho bisogno di rifarlo, lo sento fin dentro ogni mio osso ancora intatto. Devo diventare più forte.

Devo diventare più forte. E questo è l'unico modo. Atterrare di faccia in questa piscina vuota sarà la

mia salvezza. Deve esserlo per forza.


Quando riapro gli occhi, è ancora più buio.


«Nom» dico.


Lei è tutta impegnata a rompere il lucchetto del cancello.
«Ci sono quasi.»


«Fa un freddo cane.»


Lei è avvolta in un cappotto nero con una cinta intorno a quella sua vita invisibile.
«In tasca ho

dei guanti. Prendine uno per la mano sana.»


Le infilo una mano in tasca e ne tiro fuori uno. Sono talmente sudato che l'odore di lana bagnata

mi entra subito nel naso.

Lei contrae le labbra e finalmente riesce a spezzare il lucchetto. «Ecco» esclama sistemandosi il

berretto e mettendosi le mani sotto le ascelle. «Andiamo.»


Arranchiamo fra l'erba bagnata finché non raggiungiamo la piscina più grande. Profondissima al


centro ma bassa ai lati, come una gigantesca scodella conficcata nel terreno. In piedi ai bordi, io e

Break - Ossa RotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora