Ventotto

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È quasi ora di partire per il manicomio, ma c'è ancora una cosa che devo fare. Alle sei, prendo una

mela dal frigorifero. Vado al lavandino e la strofino sotto l'acqua con una tale violenza che, se fosse

viva, sanguinerebbe. Will mi guarda, gridando con il dito in bocca.

Non ho intenzione di toccarlo.

Sento Jesse che russa da metà corridoio. La parte più idiota di me non vorrebbe svegliarlo.

Una parte davvero idiota.


Apro appena la porta. È rannicchiato sulle coperte con le braccia strette al ventre. A ogni respiro


sento quanta fatica fa.


«Jesse.» Gli metto una mano sulla schiena ossuta. «Svegliati.»


Si strofina gli occhi.
«Ehi.» Poi vede la mela. «Che stai facendo?»


«Mettiti seduto. Devo parlarti, ok?»


Si tira su e riporta le braccia all'altezza dello stomaco.


Mi siedo accanto a lui e gli metto il braccio sano sulle spalle.


«Tutto ok?» dico.


Lui annuisce e nasconde il viso sotto il mio braccio. «Non andartene. Non andartene non andartene.»


«Ascolta, Jesse.»


Deglutisce a fatica, lo vedo dal pomo di Adamo.


Non dovevo svegliarlo.


«Non preoccuparti per me mentre sono via. È un ordine.»


«Ok» gracchia.


«Guardami. Jesse, guardami.»


Sta piangendo ma non vuole farsi vedere, che stupido. Ha gli occhi di un rosa acceso e le lacrime

scendono dense come sputi.


«Non starò via a lungo. Tornerò prestissimo. E tu starai bene fino ad allora. Te lo prometto.»


«Ok.»


«Se sento dire che mentre sono via ti fai venire una crisi, giuro che vengo qui e ti uccido.»


Sbotta a metà fra il riso e un attacco di tosse.


«E se mi arrivi al manicomio perchè non mangi... be' questo ucciderebbe me, allora.»


Si porta le mani alle guance. «Non è vero che non mangio.»


«Jesse. Jesse, forza.»


Si mette le mani sulla fronte, lottando contro la voglia di coprirsi le orecchie, cosa che fa sempre

quando è particolarmente sconvolto.


Cerco di calmarlo.


«Io... me la faccio sotto» mi dice.


«Lo so. L'ho capito.»


«Non voglio più avere una crisi.»


«Lo so. Ma non voglio nemmeno che tu muoia di fame. Non mangi da cinque giorni.»


Lui fa sì con la testa.


«Chissà come stai male...»


Lui continua ad annuire, come se non riuscisse più a smettere.


«Non me ne vado se non mangi. Mi metterò a urlare e a scalciare e dovranno trascinarmi fuori di qui con la forza» dico deciso, stringendolo ancora di più fra le braccia. Sono la sua cintura di

sicurezza.
«Ma dopo non credo che mi farebbero uscire per un bel po' di tempo.»


«È un ricatto?»


«Eh sì» dico porgendogli la mela.
«È superpulita, non ti farà star male. Se vuoi rimango qui finché non l'hai finita.»


Se ne sta lì e fissa la mela. «Torna presto, ok?»


«Promesso. E tu puoi sempre venire a trovarmi.»


«Ok.»


«Ora, dico davvero, mangia la mela.»


Ne studia la buccia per un lungo istante, poi mette le labbra fra i denti e scuote la testa.
«Non

voglio.»


«Me ne frego. Te la faccio ingoiare io.»


«No.»


«Te la butto giù per quella merdosissima gola, Jesse» dico alzandomi in piedi. «Mangiala. Ora.»


Lui non si muove, così gli afferro il mento arrossato e cerco di aprirgli la bocca. Lui mi tossisce

addosso.


«Mangia. Mangia la mela.»


Non si muove, non cerca di ribellarsi, né afferra la mela per portarsela alla bocca.


«Non me ne vado se non la mangi, Jesse. Mangiala.»


Solo quando la addenta, lo mollo e lo guardo mentre mastica. Mi tornano in mente tutte le cose


terribili che gli ho fatto. Quella volta che l'ho convinto a venire a saltare sui mucchi di foglie secche


con me e lui s'è gonfiato come una caviglia rotta. Quella volta che stava quasi per morire soffocato

per colpa di una reazione all'uovo e io me ne stavo lì in piedi con l'autoiniettore in mano a leggere le istruzioni, perché non mi ricordavo come funzionava. Tutto il cibo che gli ho fatto mangiare e che poi

l'ha fatto star male. Tutti i principi di crisi che ho fatto finta di non vedere.

Lui mastica e poi manda giù il boccone.


«Tutto bene?»


«Sì.»


Mi guarda con gli occhi pieni di lacrime, con uno sguardo che è un misto di rabbia e


riconoscenza.

Faccio finta di ignorarlo.
«Ok, adesso ascoltami... prenditi cura di mamma e papà. Non toccare Will. Lascia che siano loro a occuparsene, va bene?»


Jesse deglutisce e poi dà un altro morso alla mela.


«E non permettergli di farti andare fuori di testa» aggiungo.
«Ti ricordi tutto quel discorso sulla

famiglia?»


«Tu e il tuo confucianesimo.»


«È una cosa importante.»


Lui dice ok e io l'abbraccio.


«Non credere che me ne andrò prima che tu l'abbia finita.» Lo dico e non mi muovo.


Lui la finisce.

Break - Ossa RotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora