Ventuno

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La mattina dopo al posto dei piedi nei calzini ho pezzi di vetro. Ascolto il cigolio del vogatore di

Jesse e Will che sputacchia nella culla, finché lo stordimento diminuisce gradualmente e riesco a


trascinarmi verso il computer.


Digito «dita dei piedi rotte» su Google.


Poi «allergie alimentari».


Poi «sto così male che sono ko».


Poi «abuso minori».


Poi «morirò?».


Nessuna risposta, solo l'ultima pagina piena di link inquietanti che almeno mi distraggono per un

minuto.


Finestre che si spalancano senza sosta sullo schermo, mentre Jesse voga sempre più velocemente.


Cliccò sui Preferiti e vado a pescare uno dei miei amati siti sul confucianesimo. Parte una musichetta


cinese e io mi stendo sul pavimento a occhi chiusi. Voglio sprofondarci dentro, eclissarmi, vorrei

poter ignorare il bambino.


Grida qualcosa, parole in fasce, e io arriccio il naso.


Zitto zitto zitto state tutti zitti.


«Dannazione, Will, smettila di piangere!» sbotta la mamma.


Adesso basta. Devo fare assolutamente qualcosa per i miei piedi.
«Jesse!» urlo battendo col


gesso sul pavimento.
«Jesse, vieni su!»


Lo sento smettere di vogare. Me lo immagino lì con le orecchie tese.


«Jesse, vieni qui!»


Me lo vedo che pensa.


La mia porta si spalanca ed è la mamma con la sua vestaglia rosa e la faccia grigia e Will in

braccio.
«Ti serve qualcosa, tesoro? Perché sei disteso a terra?»


Sollevo la testa. Lei mi fissa. «Volevo solo dire una cosa a Jesse.»


Incrocia le braccia.
«A proposito di ieri sera?»


«Ho fatto una cazzata.»


«Lo so che non l'hai fatto apposta. Sei tanto bravo con lui.»


Ma...


«Ma devi stare solo un po' più attento, Jonah. Come va il polso?»


Ho come la sensazione che la mia voce sia rimasta incollata nella mia testa. Quando riesco a

parlare, somiglia più a quella di papà e di Jesse che alla mia. «Bene.»


Will ricomincia a urlare, lei mi dice qualcosa ma non riesco a sentirla.

Finisco per addormentarmi dopo che la mamma e Will se ne vanno, finché non arriva Jesse. Mi


sveglia lui scuotendomi il petto con una mano.
«Sei uno schifo.»


«Mi sa che sto male.»


«Mi sa che ti sei fatto male.»


«Eh. Sì.»


«Allora? Cos'hai combinato?»


Mi indico i piedi.
«Devo fasciarli. Ho una gran nausea.»


«Ok, aspetta.» Mi prende i piedi fra le mani e io stringo forte i denti. Inizia a parlare, forse solo

per distrarmi.
«Ho fatto cinque ripetizioni. E un'ora col vogatore. La mia resistenza sta aumentando. È importante per l'hockey. Vieni alla partita stasera, vero?»

Break - Ossa RotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora