Quarantatre

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La prima sensazione è la polvere.


La sua voce scivola verso di me.
«So che sei sveglio. E non pensare che non sia più arrabbiato

con te solo perché hai una stupidissima infezione mortale.»


Mi si sollevano gli angoli della bocca.
«Jesse.»


«Ciao. Apri gli occhi.»


Lo faccio, così lentamente che mi sembra quasi di non muovere le palpebre. Le lenzuola bianche

si accartocciano sotto di me come carta da macellaio.


Tutto è bianco e lento.


Jesse è seduto accanto al mio letto, con le maniche tirate su fino ai gomiti, le mani possenti in

grembo.


«Pensavo di risvegliarmi e vedere gente in piedi accanto al mio letto con dei fiori in mano» dico.


«Ti sei già svegliato un po' di volte. Ma deliravi e non puoi ricordartelo.»


«Oh.» Sbatto le palpebre e riesco a sentire le mie ciglia. «Da quanto tempo sono qui?»


«Qualche ora.»


«E come diavolo ho fatto ad arrivarci?»


«Hai chiamato Ellie. Ellie ha chiamato Charlotte. Charlotte ha chiamato me.»


«Ah.»


«E ti ho trovato insieme a Will che dormivi in una pozzanghera a mezzo isolato da casa nostra. Ti

ho portato qui...»


«Will sta bene?»


«Sta bene, sì» dice Jesse ridendo.
«Meglio di... ehi, ti senti bene?»


La seconda sensazione è il dolore.


«Tutto bene?» mi chiede.


Mi mordo il labbro.


Mi fa male la mano. Mi fa male l'ago nell'altra. Mi fa male la testa. Ma sembra tutto così

distante, e annuisco. Un aggeggio fa bip e smette ogni volta che stringo il pugno. Lo faccio per un po'

di volte e guardo le mie dita che si piegano. Sono vivo. I morti non stringono il pugno. I morti non

hanno più nulla contro cui combattere.


Mi mordo la punta della lingua e sento che la gola mi si stringe.

Ho ancora entrambe le mani. E sono ancora vivo.

La terza sensazione è l'euforia.


Sono ancora vivo.


Le pareti sono pulite e chiare. Alla tv ai piedi del letto c'è un idiota che si sta facendo tatuare.

Sento voci calme provenire da lontano.


«Ci hai fatto quasi morire di paura» dice Jesse.


«Lo so.»


«Devi smetterla.»


«Ok.»


«Smettila di combatterci, devi smettere ora.»


Non dico niente.


Lui si strofina il mento. «Guarda fuori.»


Mi volto verso la grande vetrata che mi separa dalla vita del corridoio. E vedo Charlotte.
L'agrifoglio che ha fra i capelli preme contro il vetro. I suoi occhi castani fissano i miei. Sono

Break - Ossa RotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora