Ventinove

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La casa di cura Randelly sembra tutto meno che una casa. «Casa di cura» è solo un altro modo per

chiamare gli ospedali. Questa è marrone ed è nascosta da un groviglio di ciliegi, come se i fiori


servissero a farla sembrare meno brutta.

La mia borsa ce l'ha papà. La mamma suona al citofono e ci annuncia. La porta si apre con uno

stridore insopportabile.

Ebbene sì. Sono entrambi fuori di casa. Hanno lasciato il bambino con Jesse, la cosa in assoluto

più sbagliata da fare in questo momento.


«Che bella sala d'attesa» dice la mamma studiando le tende e la tappezzeria. Devono aver

spruzzato un sacco di spray al limone, perché riesco a sentirne il sapore persino fra i denti.


Papà e io avanziamo lentamente verso l'accettazione.
«Lui è Jonah McNab» dice papà.
«È qui

per dei controlli.»


Chissà chi gliel'ha scritto il discorsino.


La ragazza dietro il banco indossa una maglietta da volontaria e mollette coordinate fra i capelli.


Non avrà più di diciott'anni. Mi chiedo che genere di persona muoia dalla voglia di fare volontariato

in un posto del genere. Deve essere un po' pazza anche lei.

Ha un'aria tipo «ti sto studiando e tu non te ne accorgi nemmeno».


«Ciao. Io sono Jonah.»


Papà mi lancia un'occhiata per zittirmi. Come se avessi infranto una delle Leggi dei Matti.

Ma lei non ci bada. Mi sorride.
«Io sono Mackenzie. La tua stanza sarà la 215, Jonah. Si trova al

secondo piano, ok? L'ascensore è là e il dottore verrà a visitarti entro un'ora.»


«Ok. Grazie.»


Mi avvio verso l'ascensore insieme a mamma e papà. Le porte si aprono e dentro c'è già un altro

ragazzo. È scalzo e indossa il pigiama. Sembra normale, magari un po' schizzato.

Mi fa un cenno di saluto mentre entro, poi, punta lo sguardo sui miei.
«Sei nuovo?» dice


sollevando solo un angolo della bocca, come per non farsi sentire.

Io annuisco.


«Benvenuto nel clan.»


Be'. Mi sono sempre piaciuti i clan.

I miei si scambiano un'occhiata fra l'indispettito e il preoccupato. Sì, sì, ho capito. Non vogliono


che io stringa amicizia con i ragazzi di qui ma... si aspettano davvero che io non parli con nessuno


per tutto il tempo che dovrò stare in questo posto?


«In che stanza sei?» mi chiede il tipo.


«215.»


«Io 212. Se passi di lì, fammi un saluto.»


La mia stanza è proprio accanto all'ascensore, sulla sinistra. La porta della camera del tizio è

poco prima della mia, lui la apre con un colpo d'anca ed entra.


Papà mi posa una mano sulla schiena mentre apre la porta. Il letto e la scrivania sono inchiodati

al pavimento, ma ci sono anche un tappeto logoro, un termosifone che sgocciola e un armadio - ok,

Break - Ossa RotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora