Prologo

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PROLOGO

Inghilterra, 1876

No! Non adesso!
Stava succedendo di nuovo: aveva cominciato a sudare ed aveva avvertito un crampo allo stomaco.
Erano i segni premonitori che stava per avere uno dei suoi attacchi. Il cuore accelerò i battiti, quasi volesse scoppiargli in petto, mentre il sangue scorreva rapido nelle vene. Si sentiva soffocare... sapeva di diversi sbrigare a chiamare aiuto prima di perdere i sensi.
Si alzò a fatica dalla sedia e, reggendosi alla scrivania, si diresse verso il cordone del campanello per chiamare la servitù, allungò il braccio e, non appena strinse le dita sulla corda, cadde al suolo... le gambe non lo reggevano più.
Un rumore di passi nel corridoio e finalmente Kakashi, il suo maggiordomo, aprì l'uscio, fissando, sorpreso, la figura del suo padrone che giaceva a terra con espressione sofferente.
"Dannazione! Milord vi sentite male? Iruka sbrigati! Ho bisogno d'aiuto!"
Insieme ad un paio di domestici, Kakashi riuscì a trasportare il duca fino alle sue stanze e, procuratosi un catino per farlo vomitare, congedò il resto della servitù.
In quegli ultimi sei mesi scene del genere si erano ripetute spesso e lui sapeva ormai cosa fare: gli somministrò una dose di laudano per farlo addormentare e applicò dei panni gelati sulla pelle accaldata.
Assistette tutta la notte il suo padrone, che non smise un attimo di tremare, almeno finché il medicinale non fece il suo effetto e il sonno lo vinse.

* * *

Sasuke Uchiha, quarto duca di Remington , si risvegliò solo due giorni dopo.
Mosse leggermente le dita della mano sinistra e pian piano aprì le palpebre, cercando di abituarsi alla fievole luce che filtrava dalle tende.
Dove diavolo sono?, pensò.
Una voce lo riscosse mentre esaminava il soffitto e si rendeva conto di trovarsi nelle proprie stanze.
"Vi siete svegliato milord? Vado subito a chiamare vostro cugino!"
Voltò appena la testa e vide un lembo della giacca di Kakashi, che scompariva velocemente attraverso la porta.
Aveva avuto una crisi. Di nuovo. A distanza di neanche una settimana dall'attacco precedente.
Da quando si era sentito male la prima volta erano passati sei mesi e la diagnosi dei quattro dottori da cui si era fatto visitare era stata sempre la stessa: problemi cardiaci. Gli stessi che aveva avuto suo padre prima di morire nell'incendio della loro casa insieme a sua madre dieci anni or sono.
Gli avevano dato al massimo un anno di vita.
L'intensità degli attacchi aumentava di volta in volta, stava sempre peggio e impiegava sempre più tempo a riprendersi.
La prima volta che gli avevano diagnosticato la cardiopatia si era quasi messo a ridere ed aveva detto: "Non credevo neppure di averlo un cuore!"
Ma quando gli altri specialisti a cui si era rivolto gli avevano dato il medesimo responso, si era dovuto arrendere di fronte all'inevitabile realtà che sarebbe morto prima di compiere venticinque anni.
Questa volta aveva avuto paura davvero. Non di morire, lui non aveva mai temuto la morte.
In quanto secondo genito della casata il suo destino era intraprendere la carriera ecclesiastica o quella militare e, non amando la vita monastica, aveva ripiegato sulla seconda.
Aveva partecipato a molte battaglie, camminando spesso con la morte al proprio fianco, e si era abituato alla sua compagnia. Ma sul campo di battaglia puoi combattere, dare fondo alle tue forze, brandire la spada o il fucile per tenere lontano il Tristo Mietitore e se sei abile e fortunato riesci a sopravvivere. Con la malattia non è così.
Si sentiva... impotente. Non poteva fare niente a parte stringere i denti e resistere al dolore. A volte aveva pensato che potesse essere una punizione per aver usurpato il posto di suo fratello Itachi, ma sapeva di essere in torto.
Lui non aveva mai voluto il titolo di duca. Fin da bambino sapeva che sarebbe toccato a suo fratello in quanto primogenito e gli stava bene così. Lo ammirava, lo stimava, gli era fedele e affezionato. E poi a lui stavano strette le regole della società, amava l'avventura, essere un militare gli piaceva, si era goduto quella libertà, almeno fino a due anni prima, quando gli era stata recapitata una missiva in cui Itachi gli diceva di aver rinunciato alla carica in suo favore e di non cercarlo.
Nessuna spiegazione. Nessuna giustificazione. Niente.
Solo un ti voglio bene fratellino. Sii felice.
Inutile dire che lo aveva cercato per mari e monti senza trovare traccia di lui, finché non era stato costretto a prendersi cura delle proprietà di famiglia. Aveva accettato di diventare il nuovo duca di Remington, ma aveva intenzione di restituire il posto ad Itachi non appena lo avesse trovato.
La scoperta di essere malato gravemente e di rischiare di morire aveva però messo Sasuke con la spalle al muro. Aveva paura di morire da solo, senza poter vedere suo fratello un'ultima volta e col passare del tempo un desiderio bruciante si era fatto spazio nel suo cuore.
Il cigolio della porta lo distrasse dalle sue riflessioni. Il volto di suo cugino Obito, un mix di preoccupazione e sollievo, fece capolino dall'uscio.
" Ci hai fatti davvero spaventare Sasuke!" disse, accomodandosi sulla sedia lasciata libera dal maggiordomo.
"La crisi stavolta è stata molto forte, hai dormito due giorni!"
Sasuke ignorò le sue parole, fissò le sue iridi in quelle del cugino e gli disse: "Chiama Orochimaru, ho bisogno di parlare al più presto con lui!"
Obito lo guardò con una strana espressione, per poi rispondere: "Va bene, ma a cosa ti serve quella viscida serpe?"
"Lo saprai presto."

* * *

Molto lontano dalla dimora di campagna degli Uchiha, precisamente nell'East End di Londra, una giovane donna di ventitré anni rientrava nella sua umile e quasi fatiscente casa.
"Sono tornata!"
"Bentornata, Sakura!" la voce sottile di sua sorella gemella le diede il benvenuto.
Posata la giacca accanto alla porta, si diresse con passo stanco verso la piccola camera alla sua destra.
"Ino! Come ti senti?"
"Un po' meglio." le rispose la sorella, ma Sakura, vedendo il suo volto pallido in contrasto con la luminosità dei suoi occhi azzurri, non le credette neanche per un momento.
" La mamma?"
" È ancora al lavoro."
Da quando il padre era morto, lasciandole con un'ipoteca da pagare e un mare di debiti, le tre donne avevano dovuto lasciare la propria casa per trasferirsi in un quartiere più povero.
Ino, che soffriva di una grave forma di tubercolosi, era costretta a stare a letto, mentre Sakura e la madre si erano rimboccate le maniche e cercato un lavoro.
Era stato difficile all'inizio abituarsi alle privazioni che quella nuova vita imponeva loro, ma la cosa peggiore era stata vedere le condizioni di Ino peggiorare di giorno in giorno.
Per pagare le medicine la signora Haruno faceva la lavandaia e tornava sempre a casa con le mani rovinate e consumate dal sapone acido che usava per lavare; Sakura invece lavorava come apprendista infermiera presso il medico che aveva in cura Ino, ma non potevano andare avanti così. I soldi bastavano a malapena per sopravvivere e quella casa/baracca umida non era un posto salubre per un malato di tubercolosi.
Dopo aver preparato un misero piatto di minestra a base di cipolle, cercò di far mangiare Ino, facendole compagnia, e le spazzolò delicatamente i lunghi capelli biondi, finché il sonno non la vinse.
Non possiamo andare avanti così. Di questo passo Ino morirà.
Mentre una lacrima, sfuggita al suo controllo, le solcava uno zigomo, desiderò con tutto il cuore che qualcosa o qualcuno cambiasse la sua vita.

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