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Capii che mi servivano i suoi abbracci e le sue parolacce per superare la cosa. Non pensavo che l'avrei mai detto, però era così. Ero ancora troppo persa in me stessa e lui era abbastanza determinato, serio e lucido anche per me. Per fortuna, essendo maggiorenne, non dovetti stare alle regole di mio padre o dei parenti, così quando mi propose di andare a vivere a casa sua, fui libera di scegliere da sola. Mentre gli altri lasciavano rose sulla tomba, io ero a casa a fare le valigie. Mi disse che sarebbe venuto a prendermi in un'ora. Aveva chiesto ad Anne di preparare la camera degli ospiti, ma fu presente anche lui quando ci fu da metterla a posto. Non l'avevo mai visto così preoccupato per qualcuno. Aveva paura per me, non avevo parlato da quando avevo ricevuto il messaggio e per lui non era normale. Bisticciavamo sempre, avevo sempre la battuta pronta e non mi facevo mai mettere i piedi in testa. Vedermi così muta lo turbava ed era normale che volesse assicurarsi di persona che tutto mi andasse bene. Non sarei comunque dovuta andare a casa. Avrei potuto usare i suoi vestiti. Oppure sarebbe dovuto venire con me, come ha detto dopo che mi è venuta a prendere. Ancora oggi avrebbe sensi di colpa, lo so. Non ha l'anima in pace e io non sono ancora tranquilla per questo. Mi dispiace, Dus... perdonami.

Senza la madre in casa, riteneva inutile rimanere lì più del dovuto. Cercò una valigia che potesse contenere vestiti di ricambio almeno per qualche mese. Ci avrebbe pensato dopo a come procurarsene degli altri. Era così di fretta che non li ripiegò nemmeno bene; i pochi trucchi, la spazzola e qualche shampoo, i gioielli e le varie mollette per capelli li buttò tutti in uno zaino. Stava mettendo anche qualche paio di scarpe, quando entrò suo padre.

«Giada, che stai facendo?» chiese sorpreso. Non arrivò nessuna risposta. Smise di starsene sulla porta della camera da letto ed entrò, prese la figlia per un polso e la immobilizzò. «Che cosa - credi - di fare?» ripeté scandendo le parole.

«Mi sembra più che ovvio. Me ne vado di casa.» fu la risposta decisa della corvina.

«No, tu non lo farai. Adesso devi restare tu al posto di tua madre.» obiettò timoroso di dover rimanere a badare da solo alla casa.

«Come se prima non lo fossi stata. Per un paio d'anni ho aiutato la mamma, poi ci ho pensato solo io. Tu però eri troppo occupato a tradirla e ad uscire a bere per vedere che...» Uno schiaffo si stampò sulle guance rosee di Giada. Lei rimase a boccheggiare, mentre il padre si infuriava rapidamente; la prese per un polso e strinse le sue spesse dita attorno all'osso sempre di più.

«Sono affari miei quello che facevo io e tu non devi darmi conto. Sono tutte stupide supposizioni le tue. Io stavo fuori fino a tardi per guadagnare extra e coprire anche le spese mediche di quell'inutile donna che se ne stava solo a letto a rimpinzarsi di pastiglie e barbiturici.» Il padre iniziò a urlare forte, irritato per il tono insolito che aveva assunto la figlia, di solito sempre ubbidiente e al suo comando.

«La mamma in quello stato l'hai ridotta tu. È solamente colpa tua se ha tentato il suicidio. Colpa tua, perché non le stavi vicino, colpa tua perché la lasciavi morire dentro di sé giorno dopo giorno!» Giada si sfogò finalmente. Aveva sempre tenuto dentro tutto. Non era mai uscita dagli schemi. Quel giorno, però... quel giorno sentiva che ribellarsi non era un volere, ma un dovere. Doveva farlo per sua madre, doveva iniziare a ferire anche i sentimenti di quell'uomo sempre impassibile e autoritario. Giada ebbe successo: George le impresse un altro schiaffo, più sonoro del precedente. Ormai la figlia non sentiva più la parte sinistra del viso, il sangue stava scorrendo veloce verso la pelle ferita e cominciò a scendere lentamente da una piccola ferita causata dalla fede al dito del padre.

«Stai zitta, bambina. Stai zitta! È tutta colpa di quella puttana di tua madre. Tutta colpa sua! Io non potevo reggere tutto quel casino che creava. Al lavoro ho perso cariche importanti perché avevo una moglie matta. Ho perso amici per colpa di quella vacca da quattro soldi! Ero costretto a starmene in casa a sentirla lamentare per qualsiasi cosa, a vedere quella faccia da schiaffi che aveva dal mattino alla sera. Tutta colpa sua se ho iniziato a cercare altre donne. Tutta colpa sua che non sapeva fare la normale!» Totalmente fuori controllo, il padre stava stringendo la figlia per la gola, voleva farla entrare nel muro e spingeva con tutta la forza possibile. Spingeva tanto forte da lasciarla senza aria. Aveva i denti serrati e gli occhi strabuzzati, quasi fuori dalle orbite.

Irish coffee and northern poppiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora