27. Di male in peggio

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     La camera della quattrocentrotré era in condizioni migliori di quanto ricordasse. 

Forse quando Mark è venuto a prendere dei cambi per Jay ha sistemato un pochino. - Rifletté Damien, preoccupato all'idea che l'amico avesse visto il disastro che aveva lasciato dietro di sé dopo essere rimasto a torturarsi e a bere per giorni. Decise che non gli importava più di tanto né di quello che poteva aver pensato Mark, né del fatto che di lì a poco avrebbe potuto riportare la stanza in quello stato, così appoggiò la borsa con le birre sulla scrivania e se ne aprì una. La bevanda gli scese gelida giù per la gola e gli raffreddò per un attimo i pensieri caotici e bollenti.

Suo padre doveva smetterla di imporre regole e stabilire qualsiasi cosa e aspettarsi che il figlio non si imponesse, pensò il ragazzo. Non poteva farsi una vita sua se doveva sempre seguirlo ovunque e ricominciare sempre da capo; sempre che volesse farsela una vita sua, ma questo non aveva importanza. In fin dei conti, finché non aveva la possibilità di decidere se lo volesse o no, non poteva nemmeno saperlo, giusto? L'irlandese cercava di rimanere in piedi, cercava ogni scusa per non vacillare e non darla vinta al padre. Non voleva pentirsi di quella decisione presa con così poco preavviso. 

Poco? Lo sapevi che tutto questo sarebbe successo fin dal momento in cui ti aveva detto che vi sareste trasferiti in Finlandia. Sapevi che sarebbe arrivato il momento in cui ti avrebbe detto che dovevate nuovamente girare pagina e ancor di più lo hai sospettato, anzi ne hai avuto la conferma, quando ti ha telefonato e ti ha chiesto di incontrarvi oggi. - La coscienza di Damien si era immediatamente scongelata e cercava di fare ordine in quella mente così scombussolata. - È possibile che mi pianti in qualche appartamento a Firenze e non si faccia vedere per mesi, come è successo quest'anno. Mi chiamerebbe ogni tanto per cinque minuti di formale conversazione promettendo che si sarebbe ritagliato qualche buco nei suoi programmi per stare con me, ma poi quando arriverebbe davvero il momento della visita, sarebbe per dirmi che andiamo in Marocco. O a Singapore. O all'inferno. - Concluse furioso il rossiccio, diventato in faccia dello stesso colore dei capelli.

Dopo tre birre e un hamburger aveva già messo da parte l'orgoglio. - Non sarebbe male trasferirsi e dimenticarsi di tutti i problemi e le persone in cui sono incappato qui. Non è mica compito mio fare tutto quello che sto facendo ora. - Si disse consolandosi. - Non ho mai avuto dei semestri o degli anni così problematici da nessun'altra parte. Come potevo sapere che sarei capitato in un manicomio? - Nella sua mente iniziò un dibattito. 

Come se ti dispiacesse che le cose si siano movimentate un po'. Gli unici drammi che hai vissuto finora sono stati gli addii a quella manciata di amici che ti facevi di volta in volta o alle ragazze che si erano innamorate o di cui ti eri invaghito a malapena. - Rispose una vocina nella sua testa riccioluta. - E come rimane con Jay, se te ne vai? - Ribatté un debole senso di colpa che ricacciò subito indietro pensando che, dopo tutto, lei lo odiava e basta. E che aveva Mark accanto. Lui, invece, non poteva servire a niente, veniva solo respinto e mai apprezzato. Le lezioni ormai erano irrecuperabili e la disputa in tribunale non dipendeva certo da lui. Daphne si sarebbe fatta una ragione dopo la sua partenza, o magari sarebbero rimasti in contatto in qualche modo.

Le birre erano finite, ma i pensieri erano aumentati. All'improvviso, uno fra tutti si illuminò: e se tornasse dalla madre? Ma non sapeva dove fosse al momento, né se lo avrebbe accolto o se, come punizione per suo padre, sarebbe stata più severa della decisione di restarsene lì.

Restare qui... - Due parole lampeggiarono nel cervello di Damien e tentarono di dare vita ad un'idea azzardata. Non fece in tempo ad inquadrarla esattamente; la notte era scesa silenziosa sulla città e la stanchezza sulle sue palpebre. Si addormentò vestito sul letto disfatto e dormì così profondamente da non sentire nemmeno gli squilli del telefono l'indomani mattina. Alle undici di mattina aveva già accumulato sette chiamate di Mark e due di suo padre.

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