Improvvisamente Damien notò l'orologio, erano le otto e venticinque minuti e si rese conto di non avere ancora avvisato Mark del risveglio della nipote. Uscì in fretta fuori dalla stanza mentre la coda del suo occhio pensò di aver captato un movimento di Jay. Che si fosse scossa per la sua fretta improvvisa? Pescò il telefono dalla tasca e selezionò il numero di Mark maledicendosi.
Me ne dirà tante che non potrò reggerle. - Non aveva mai avuto tanta ragione in vita sua.
«Che cosa?! Avresti dovuto chiamarmi appena si è svegliata! Che ti passa per la zucca, ragazzo?» La sfuriata arrivò come previsto, ma era insostenibile.
«Lo so, Mark, lo so. È che... mi sono perso e...» Tentò di farneticare il ragazzo.
«Perso in cosa? In quella nebbia che ti ha invaso il cervello? Sono passate due ore, volevi che lo venissi a sapere quando sarei arrivato? Hai avvisato qualcun altro, almeno?» Il bidello era inarrestabile.
«No, Mark... io non sapevo...»
«Non sai niente, già! Ora vengo anche io, dille che mi manca poco. Ti ha chiesto qualcosa?» Si informò calmandosi per un attimo.
«No, in realtà non ha ancora parlato, Mark.» Titubante, fece una pausa «E neanche io...»
«Che vuol dire che non le hai parlato? Siete rimasti muti come due pesci uno di fronte all'altro?» Il tono era aumentato in asprezza e vi era incredulità nella sua voce.
«Lei non parla, io non parlo, Mark! Che devo fare? Potrebbe mangiarmi se osassi fare qualcosa di strano.» Tentò di giustificarsi il ragazzo.
Una prima, lunga pausa sospese il dibattito. Con tono più pacato e piatto l'uomo riprese. «Parlare non è strano, McSly.» Damien pensò di sentirvi anche una punta di sconsolatezza. Come biasimarlo. «Adesso mi sbrigo, arrivo subito. Da soli potreste uccidervi, voi due.» Lo sentì borbottare alla fine.
Si salutarono e Damien sospirò prima di tornare dentro. Si fermò prima a risciacquarsi la faccia in bagno, poi tornò in camera per riprendere posto sulla sedia accanto al tavolino.
Abituato ormai ad essere ignorato, si stupì quando notò che Jay aveva preso a fissarlo impassibile. Decise di non darlo a vedere e di proseguire con i suoi piani. Che non aveva, rifletté sarcastico. Lei lo seguì a ogni suo passo e lo sguardo si stabilizzò sul suo volto quando si sedette dalla parte opposta al letto. Si scambiarono una serie di lunghe e tacite occhiatacce che lo fecero sentire dapprima fermo e deciso, in seguito insicuro e scomodo.
Brutto da ammettere, ma Mark ci salverà. Intanto, come perdere tempo? - Si domandò irrequieto.
Vagando con lo sguardo per la stanza, notò il telecomando su una mensola dietro la testata del letto. Chiedendosi se potesse darle fastidio la televisione accesa, ma decidendo di non preoccuparsene eccessivamente, con calma e finta naturalezza andò a prendere il telecomando, prese posto sulla sedia accanto al letto, stavolta, e premette il bottone di accensione. La frazione di secondo che l'apparecchio ci impiegò a mettersi in funzione bastò a farlo preoccupare facendolo pensare che potesse non accendersi, ma non ci fu bisogno di pensare a delle future conseguenze imbarazzanti: la faccia di un giornalista in servizio apparì chiara e composta sullo schermo. Finse di essere interessato al servizio sull'ennesima manovra politica, dopo di che fece un po' di zapping tra i canali. Si fermò sull'episodio di una serie televisiva americana.
Alle prime risate del pubblico invisibile, Damien si trattenne dal ridere con loro, anche se per un motivo diverso. Sentire risate nell'aria di quel mortorio gli sembrò particolarmente divertente e allo stesso tempo patetica come cosa.
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Irish coffee and northern poppies
Ficción GeneralUna fredda cittadina finlandese. Un papavero emigrato e un boccale di birra irlandese. Una storia turbolenta di vite normali, talvolta complicate, di fiducia messa alla prova, di legami difficili da saldare e di sentimenti creduti spenti per sempre...