26.1 Silenzio ostinato

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     Il tramonto si stava dipingendo nel cielo oltre il vetro della finestra quando Jay riemerse dai meandri del suo inconscio. Non era sola in camera, non erano soli nemmeno Mark e Damien; un ragazzo più giovane di suo zio ascoltava e annotava a tratti ciò che veniva raccontato con voce grave. Quel viso gli era familiare.

Ma certo! Il dottor Ficcanaso. - Pensò sprezzante.

«Se non ho mai avuto la forza di impormi e farmi rispettare è perché non mi sento una figura genitoriale per lei, sono più come il suo migliore amico.» Stava ammettendo lo zio.

«È comunque ciò che di più vicino ad una tale figura Jay abbia.» Gli fece notare lo psicologo.

«Non me la sono mai meritata una tale autorità.» Continuava Mark. «Non volevo perdere l'unica cosa rimasta dal legame con mia sorella e ho accettato di ospitarla e di garantire per lei al college, ma ciò non fa di me suo padre.»

«Offrire una casa, un'istruzione, affetto; stando al tuo racconto superi persino suo padre. Per quanto possa odiarti per una sgridata, un consiglio, una dritta, rimani il suo unico appiglio solido in questo posto. Non potrà allontanarti troppo.»

«Ciao, Jay.» Pronunciò improvvisamente Damien, che si era accorto dei suoi occhi attenti e temeva non fosse nei piani dello psicologo che lei sentisse la loro chiacchierata.

Il dottor Jonas Niemman, infatti, si alzò insieme a Mark e non proseguì più la seduta. Si diressero entrambi ai piedi del letto della paziente, mentre Damien rimase sulla sua sedia vicino al tavolino.

«Ciao, piccola! Come ti senti?» La salutò lo zio raggiante in viso.

«Buongiorno, Jay.» Lo seguì a ruota il giovane dottore, ma con tono più formale.

Nessuno dei due ricevette risposta, solo diffidenza. La ragazza li ignorò entrambi e spostò lo sguardo in direzione della finestra. Lo zio, tuttavia, dimostrò la sua delusione; si voltò verso Damien, ma uno sguardo e un cenno del capo gli stavano ripetendo per l'ennesima volta un "te l'avevo detto", così tornò a guardare il suo papavero con più forza d'animo.

«Hai fame?» Provò a domandare l'uomo. A Damien sembrò di vederla sospirare di incredulità. «Stamattina ho portato della frutta. C'è anche l'uva nel caso volessi fare un po' di merenda o una cena veloce.» Neanche un briciolo della sua gioia veniva trasmesso alla nipote. Il freddo nella stanza si stava iniziando a percepire.

«A me andrebbe un po' di uva, Mark. Posso?» Si intromise l'irlandese sinceramente interessato allo spuntino. A un cenno del capo dell'uomo, Damien si mise a frugare nella borsina di plastica, a cercare una ciotola in un armadietto accanto al letto e a lavare in bagno la frutta, per poi tornare a sedersi e a guardare la televisione per spiluccare grossi acini verdi. In conclusione aggiunse solo: «Non ti risponderà, risparmiati la fatica.»

In effetti, qualcun altro oltre al dottore aveva capito che la paziente si era chiusa in un ostinato silenzio e che, probabilmente, avrebbe perseverato nel suo compito per almeno qualche altro giorno.

Viscido essere... - Mentalmente Jay cercava gli insulti peggiori per quell'insofferente ragazzo che si stava mangiando la sua uva! - Fai anche lo strafottente, eh? - Continuò rabbiosa.

Qualche minuto più tardi lo psicologo si congedò e consigliò al signor Cormack di comportarsi come sempre e di "lasciare che il bozzolo si schiuda da solo". L'uomo tornò ai piedi del letto a cercare nuovamente un contatto con la nipote. Quando la sorprese a fissare la ciotola di Damien e il grappolo mezzo spoglio con lo sguardo di chi non mangia da mesi, scoppiò a ridere e attirò l'attenzione di entrambi i ragazzi. Jay tornò immediatamente a fissare fuori dalla finestra dilatando le narici per la rabbia vergognosa che covava e quando lo zio le fece notare quanto fosse orgogliosa e cocciuta, lo zittì con il pensiero.

Irish coffee and northern poppiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora